Chi ha paura del ‘rosa’?
E con ‘rosa’ non mi riferisco al colore preferito dalle bambine (a volte anche fuori tempo massimo) ma alla letteratura ’al femminile’, quella che ora viene, più correttamente, definita romance.
Quella che gli uomini ‘veri’ non leggono (io però ho le prove del contrario), quella a cui nessun intellettuale (giornalista, scrittore, docente universitario) si è mai avvicinato se non per questioni squisitamente professionali (ce tocca) avvertendo sempre la platea (magari formata anche dalla sola autrice) che lui/lei i romanzi rosa non li ha proprio mai letti e che dovendone parlare ha semplicemente ‘letto qui e là’ il libro e facendolo usa il tono di chi sa di avere la tua comprensione (non vorrai mica che io…?).
Come se tutto ciò che attiene a questo genere non faccia parte della vita. Come se non ci si innamorasse, non ci si struggesse per amore, non si scrivessero poesie e non si coronassero i sogni tutti i giorni che il Signore manda sulla terra.
E questo vale sia per gli uomini che per le donne. Perché (udite udite) anche gli uomini hanno il batticuore per amore.
Anche se poi, a voler essere proprio proprio sincere, a voler fare ‘coming out’, devo ammettere che anch’io in realtà ho nutrito grandi pregiudizi verso questo genere letterario.
Come prova a mia discolpa posso però portare un ritratto del periodo in cui la mia fanciullezza si è consumata, che poi sono gli anni ’70, gli anni di piombo quando il privato era ben lungi dall’ essere pubblico ed era ‘la società’, ‘la comunità’ ad avere il sopravvento sull’individuo (che poi, entro certi limiti, tanto male non era). Ecco in quegli anni a noi adolescenti o poco più mai sarebbe venuto in mente di leggere un romanzo ‘rosa’, si leggeva Simone de Beauvoir, ‘Noi e il nostro corpo’, il Siddharta, si andava al Cineforum a vedere i film di Bergman e se proprio proprio si sentiva voglia di un libro ‘romantico’ ci si concedeva (con un po’ di vergogna, invero) ‘Love Story’ sdoganato dalla morte della protagonista e dalla parvenza di ‘lotta di classe’.
Poi…poi è arrivato l’esame di Letteratura Inglese II, e lì c’era Miss Jane Austen che mi aspettava. Già all’incipit ero sua. Ironica, leggera ma acuta e sempre estremamente divertente. E poi romantica, romantica, romantica.
Ora, non che io da lì mi sia messa a leggere la Delly o Liala, ma certi film della filmografia inglese e certi libri (su tutti il Diario di Bridget Jones) me li sono concessi. Con vero piacere.
E ho imparato (e non solo in letteratura) ad avere uno sguardo più curioso e meno carico di pregiudizio, a basarmi solo sulla qualità della scrittura come unica discriminante e così quando mi sono voluta scrivere qualcosa ‘per me’ è lì che sono andata, nel luogo popolato di amore, lieto fine e batticuore e non perché volessi sfuggire alla realtà, no, ma perché desideravo un luogo dove ricaricarmi e poi, rasserenata e consapevole che nella vita tutto può succedere (e anche di questo ho le prove) , affrontare di nuovo il mondo là fuori.
Virginia Bramati vive e lavora a Milano. Per Mondadori ha pubblicato Tutta colpa della neve (e anche un po’ di New York), nato dal passaparola in rete e pubblicato poi in edizione cartacea da Mondadori, e Meno cinque alla felicità! sempre per Mondadori.
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