In un a parte, da opera napoletana e chissà se tipico dei bassotti a pelo ruvido, Pelèo cane da tana non aveva smesso, ma ringhiare non è la parola, di esprimere come poteva il suo disappunto e un vago partir-partir-bisogna. Un cane sente il dovere di mettere in guardia chi capisce che da sé non è capace di mettercisi, di assumere senza pensare una cautela, un all’arme, una prudente circospezione ai valichi tra qui e lì, tra te e me. A motivare Pelèo con maggiore forza, è presto detto, c’era che l’anziana, con un fil di voce e indifferente alla presenza e di Pelèo e di Bergomasco, e non in danese o in altra lingua pellegrina bensì in italiano, stava borbottando ad anello due terzine di endecasillabi, più o meno queste, Chiave chiavetta chiava oh maledetta/scoccate sprizzate scintille ammille /ammille rotate in rota perfetta //La chiave ch’è mia rendi, fetente/ti sfido, sgrido bada, t’accido/te tristo minchione oh brutto impotente. Bergomasco non fu del tutto sicuro di quel che sentiva ma sentì in chiaro e all’improvviso, cioè ricordò che era venerdì oggi, buffo vero dire era oggi, e non solo che era venerdì, ma il tredici e ‘stu fatto insieme con quest’altro della lanzichenecca seduta dove secondo la sua sensibilità non avrebbe dovuto né doveva stare seduta, tutto questo lo dispose, lo stava disponendo malamente assai. Nel marasma delle punture nella pelle d’uovo del suo ego impaurito, Bergomasco avrebbe voluto scacciare l’intrusa però non si mosse. Stava lì in piedi ad aspettare che l’anziana si levasse di torno e l’anziana si levò alla fine e Bergomasco ebbe modo di misurarla quant’era piccola, bassa, non cresciuta come uno non dovrebbe essere che non appartenga a una stirpe di nani ducali; e i tratti del volto sotto la berretta floscia e la frangia di capelli come scappati da una casa che non avevano e che le coprivano la fronte fino agli occhi di chissà quale colore, gli parvero simili a quelli di un sasso ; e tu immaginatelo come puoi ‘stu sasso. Bergomasco, ah Bergomasco ovvero il suo inconscio, della cui presenza mai aveva dubitato, mimetizzò con la destra volante per aria uno scongiuro con un’indice e un mignolo rattrappiti. A due passi si apriva nel bosco e sottobosco un sentierino della forestale, quasi invisibile se non a chi ne sapesse, erto e comodo non tanto e che dalla via sterrata con quelle sue pietrone d’inciampo, scorreva a perdersi tra le fratte : pungitopo, saggine, e data la stagione, trionfi sgargianti di ginestra. Bergomasco lo imboccò, Pelèo, chiamò con la sua mai perduta cantilena dell’est e si affrettò giù per il sentierino indifferente alla possibilità se sì se no, avrebbe potuto incappare in una vipera in transito. Non incappò e dopo una mezz’orata con Pelèo che gli galoppava davanti nel suo ruolo più gradito di guida, si ritrovò di nuovo sullo sterrato in fronte alla porta del suo castello di Castanelli. Al valicare il portale d’ingresso al borgo e nella corte, nella piazzetta che si apriva subito oltre e poi ancora gira e rigira per i vicoli fino all’uscio di sua casa, ora come fosse piantata sui suoi bastoncini da passeggio, ora come scrutasse col naso da turista all’insù, ora con un occhio sbarracato nei suoi di Bergomasco che non sapevano capacitarsi, Bergomasco, lui ebbe la sensazione, l’impressione, la come la chiami, di incrociare due, tre, quattro volte la donna dal volto di sasso. Bergomasco trafficò a furia con la serratura, aprì la porta, diede il passo a Pelèo, poi passò lui impigliandosi non seppe in che cosa, si divincolò e subito la schiantò, la porta, pesante com’era dietro di sé ; tirò il paletto e il fiato. Pelèo a salti sul divano a spampanarsi tra i cuscini. Bergomasco fu illuminato in quel momento stesso da una lampadina interiore.
Al suo scrittoio, o scrivania, o tavolo da lavoro, stava aperto il suo portatile. Bergomasco sedette, aprì un nuovo documento e batté sulla tastiera : La dama dell’acciarino : un’indagine di Andersen, aggiunse subito dopo. Salvò il file. Non gli era mai capitato di indagare su quell’autore sicché, seduto davanti alla sua macchina, fu preso da quel misto di eccitazione e orgoglio di chi si considera non soltanto un tutto sesto di bello e di buono ma addirittura un per-àsper-adàstra. Prese un largo fiato e subito dopo a battere sui tasti, rapido rapido – governava le dieci dita perché in passato aveva seguito un corso di dattilo – omettendo come era abituato le maiuscole e punteggiando con una certa frenesia, tanto poi avrebbe aggiustato : un soldato e che tipo di soldato. un tipo in stivaloni e mimetica, lo zaino, la pistola penzoloni sul fianco. un fucile da paura a tracolla e la baionetta infilata nella cintura, camminava sulla via di … Qui Bergomasco scrisse dapprima Damasco poi pigiò canc delete, e sospese tre puntini omissivi, avrebbe deciso a suo tempo quale luogo descrivere, macché Damasco. Continuò : una bella via punteggiata da due filari paralleli di cipressi. profumati. oltre, una distesa di ulivi a perdita d’occhio e grandi ma grandi. alti, e con dei tronchi che uno poteva pensare avessero vissuto coi ciclopi. e aperti alcuni, come ingressi di capanne e tali che fosse capitata una pioggia, uno e più di uno avrebbe potuto correrci dentro a ripararsi e farci anche un pisolino. cammina cammina il bel soldato avvista una vecchia, non proprio vecchia, abbastanza, seduta su un sasso chissà come capitato lì a bordo strada, e grande e grosso e che, al soldato parve proprio che era comodo da sedersi. la donna non faceva nulla e a prima vista sembrava una stracciona, una barbona, o una di quelle che coi loro carretti carichi di mercanzie, a volte trainati da cavalli sfiniti, accompagnavano in un tempo remoto gli eserciti in marcia e a volte erano loro, come si dice, a tirare la carretta. una carretta più piccina ma non meno pesante di ogni cosa che possa servire a un soldato in marcia. borracce, razioni addizionali di cibo…. e soprattutto preservativi… tanti tipi di preservativi nei loro pacchetti colorati di promesse. “bahhhh fantasie”- pensò il soldato. tutta grigia come la cenere la donna tra le gambe teneva appoggiato un bastone nodoso. da pastore con un manico naturale ricurvo in cima. e, “o buongiorno, mio bel sergente maggiore” – prese a salutarlo la donna che riconosceva i gradi alle truppe – “mi faresti mica un favore ché sono vecchia e tutta un dolore?” disse così e il soldato si fermò per quel così bel detto ai suoi gradi e al suo amor proprio. “scoltami sergente maggiore… guarda mi faresti il favore di entrare in quell’ulivo laggiù… quel grande lo vedi che ha il tronco come un portale da passarci sotto agilmente non fossi io così vecchia… ah non sai quanto… là c’è una botola, aprila e scendi e …
Qui Bergomasco non sapeva come far proseguire la storia ovvero se con la sequenza del soldato che entra nell’albero cavo, trova una botola di ferro sotto un strato di terra e di sassi, la apre e precipita quasi per una scaletta di ferro fino a un cunicolo artefatto, scavato nel tufo, trova un interruttore e accende le luci e incontra, qui come in Andersen tre stanze, tre cani dagli occhi rotanti e tre casse ma, Tre perché mai tre se una ne basta – si disse biascicando lo spuntino di pane sciocco e prosciutto, crudo, lo detto del contadino che tanto gli piaceva e tagliato ben alto, a metà mattina ore dieci e trenta circa – E perché mai tre cani che allungano soltanto il brodo e nessuno ha più voglia di leggere troppo col sospetto che occorra leggere tra le righe quando sono già tante quelle in nero su bianco. Decise che un cane fosse bastante e che avrebbe introdotto Pelèo, certo inteso come guardiano ma con un nome diverso. La questione di non poco conto era sul chi avrebbe dato da mangiare là sotto a un cane bassotto.
Il fuoco che era durato acceso nel camino per tutto il tempo della scrittura e dello spuntino del mattino e della merenda al pomeriggio era ridotto a una brace cionca ma gli era a quel punto smorcato un pittìtto, avrebbe scritto Camilleri, e con quel pitìtto smorcato alé sciarpa, giacca e cappello e via a cenare per l’unica nel borgo posteria, privativa sali tabacchi, alimentari, osteria Nonno Nanni. Bevve molto quella sera, un po’ perché il vino gli sembrava migliore del solito anche se era il solito, un po’ perché sempre, quando riusciva a ingranare la marcia alta della scrittura, si ricompensava con vino in quantità e con grandi mangiate di ogni delicatezza ; sicché quella sera si congratulò col Nanni per dei pici cacio e pepe e poi arrosto arrotolato con patate rifatte, cioè saltate, stufate e finite, rifatte appunto nella polpa di pomodoro, ricetta di un tale Zenone, e infine, per non privarsi di nulla, una gran fetta di castagnaccio, una georgica di castagne, uvetta, pinoli, litri d’olio e rosmarino. Trovò azzeccato un finale al vin santo prodotto lì nella fattoria da il conte – non di preciso dal conte in persona ma dai suoi operai, questo sia chiaro, il conte metteva etichetta e corona –. Bergomasco uscì nel freddiccio della notte e per il gran bere, appena fuori, sentì un brivido, si raggricciò e corse a casa. Non fosse stata l’abitudine a rimproverarlo, si sarebbe buttato a letto vestito e senza lavarsi nemmeno i denti. Ma prevalse l’abitudine contratta nell’infanzia di darsi una lavata di corsa. Indossò poi il pigiama di flanella scozzesona, i calzettini da notte, e piombò sotto i coltroni pesantissimi del suo letto. Sì Bergomasco era un tipo freddoloso.
Nel più nero della notte lo visitò in sogno l’anziana lanzichenecca e nel dove del sogno gli ripeteva Chiave chiavetta chiava oh maledetta/scoccate sprizzate scintille ammille /ammille rotate in rota perfetta //La chiave ch’è mia rendi, fetente/ti sfido, sgrido bada, t’accido/te tristo minchione oh brutto impotente ; poi chissà come, con un unghiata delle unghie a sciabola che di colpo le spuntavano dalle dita, voilà, gli tagliava la testa. Saltò su nel letto Bergomasco, si confortò a sentire il peso di Pelèo che gli ronfava accanto beato e si riaddormentò. A sogno svanito, il mattino appresso e ancor un po’ appesantito dalla grande mangiata della sera avanti sentì il bisogno di ravvivare il fuoco nel camino e siccome del giorno di ieri non era rimasta che cenere in fiocchi, si divertì a ripetere l’incantesimo del fuoco con l’acciarino. Poi fece colazione, cioè bevve un’intera cuccuma di caffè – e qui un autore di romanzi di successo avrebbe aggiunto : nero e bollente –. Non gli capitava mai ma, senza lavarsi, vestirsi né pettinarsi, poi prese e riprese a scrivere. Bergomasco scriveva di getto e non di necessità inanellando fatti e cose e azioni in un ordine definitivo, cronologico o diacronico o che è, quello che poi avrebbe poi avuto. In altre parole gli capitava di correre al finale prima di aver sviluppato il centro o addirittura definito l’incipit del racconto ; gli succedeva di saltare della parti sui cui tornava molto dopo, buttata giù magari una brevissima nota, a penna talvolta, su un pizzino dei molti di carta riciclata che teneva nel cassetto dello scrittoio. Bon : Il sergente maggiore aveva stipato lo zaino tattico, le tasche della tenuta mimetica, della giacca, dei pantaloni e persino delle mutande e dei calzini, ogni minuto spazio era pieno di soldi. carta moneta frusciante di fresca stampa, fogli da cinquecento a mazzette ben fascettate come solo nel film di spionaggio e di narcos ne aveva viste. in tutto il sergente maggiore calcolò di avere sottratto al bassotto là sotto di guardia, due milioni e mezzo. un’esagerazione di soldi che stando ai rapidi conti che s’era fatto prima di tornare su dalla vecchia, gli sarebbe bastata per vivere alla grande fino alla fine dei giorni, “foglio di congedo permanente effettivo e addio alle armi”, sussurrò risalendo la scaletta di ferro. La vecchia lo aspettava contenta all’ombra che il tronco cavo dell’ulivo faceva. “ mi hai portato ciò che ti ho chiesto sergente”…