
Autore: Juli Zeh
Data di pubbl.: 2019
Casa Editrice: Fazi editore
Genere: letteratura contemporanea
Traduttore: Madeira Giacci
Pagine: 178
Prezzo: 18,50 €
L’anno nuovo di Juli Zeh è un doppio sogno, un traumnovelle sospeso tra la Germania e Lanzarote.
Henning lavora presso una casa editrice. Theresa, sua moglie, è un’assistente fiscale. Bibbi e Jonas, i loro figli, hanno due e quattro anni. Henning cova in sé un’irrequietezza strana. Si avvicinano le festività natalizie e il Capodanno del 2018. Henning decide di prendere in affitto per la sua famiglia una “casa-fettina” su quell’isola delle Canarie, carica di elementare, arcaica bellezza, e battuta da venti impetuosi. Una casa-fettina da “sessanta euro al giorno”, con un letto da un metro e quaranta, un’altra stanza con lettino, culla e “un fasciatoio completamente equipaggiato, con tanto di salviette umidificate, olio per neonati e una piccola provvista di pannolini”. Riparo modesto e minuscolo, se confrontato con le sontuose ville dei ricchi disseminate nei luoghi più spettacolari di Lanzarote. Henning è felice così. Laggiù, nel tepore perenne di Playa Blanca, nel cuore dell’oceano Atlantico, Gottinga è una città lontana. Il freddo continentale non sfiora le palme nate su quella terra vulcanica. L’unico cordone ombelicale con la madrepatria è rappresentato da Luna, sua sorella, più piccola di lui. Henning e Luna sono legati da un sentimento di amore fraterno, non privo di una sfumatura caliginosa e oscura.
Una COSA (in maiuscolo nel romanzo) assilla il protagonista, lo prende alla sprovvista, lo atterra nei momenti meno opportuni. Il fiato gli si mozza in gola, le gambe vacillano, il mondo gli si accartoccia davanti agli occhi e allora per Henning è necessario appiattirsi al muro, afferrare gli argini e attendere che la tempesta passi. Gli attacchi di panico si allungano come i tentacoli di un ricordo represso. L’ansia lo divora.
A Lanzarote, Henning pare aver esorcizzato i suoi demoni. È un’illusione. Durante la cena dell’ultimo dell’anno all’albergo Las Olas, “turno primo, inizio ore diciotto, quattro portate, fine ore venti e trenta, poiché alle ventuno arrivano i clienti successivi”, Theresa si allontana, spinta dalla brezza dell’allegria, attirata dai brindisi augurali, forse sedotta dal tiro mancino del desiderio. Ad un altro tavolo, il numero ventiquattro, alcuni francesi trattengono Theresa per consumare con lei spumante e amabili chiacchierate. E lì c’è lui. Misterioso uomo, anch’egli francese: l’ètranger. Una presenza aliena, un’ombra perturbante di ascendenza schnitzleriana.
Alla musica seguono i saluti. La serata festaiola termina prima della mezzanotte e la famiglia torna nella sua provvisoria dimora, timbro di fabbrica del turismo medio-borghese. Le mura della casa-fettina, membrane fragili, non riparano Henning dal terrore eccitante del sospetto. La notte ispessisce i dubbi. Mani troppo strette, volti eccessivamente vicini, “corpi incastrati come pezzi di un puzzle”. Il pensiero del ballo tra la moglie e il francese affiora prepotente, insinua una possibilità sgradevole. Theresa ha immaginato di tradirlo? La COSA si mobilita, spinta all’arruolamento da quell’incontro imprevisto, e torna a bussare alle viscere di Henning.
L’anno nuovo è arrivato e Henning, incalzato dal mostro, inforca una bicicletta. Un orrore sordo scuote il quarantenne tedesco. Notte pessima, notte di terrore. Mai, prima di allora, Theresa era stata indifferente ai suoi richiami di aiuto, mai lo aveva respinto nel momento del bisogno, mai aveva calcato la distanza, urlato freddamente il disagio e lasciato intendere il rischio prossimo di una separazione. E (sarà un caso?) dopo la serata appena trascorsa… La sua affannosa scalata dell’Atalaya è il sottile artificio narrativo nonché metafora, utilizzato da Juli Zeh per legare le varie stanze del romanzo. L’equipaggiamento del ciclista, inadatto e vagamente ridicolo, tradisce la foga di uno strappo alle consuetudini, indica la brusca svolta comandata dalla COSA. Pena, paura, espiazione: l’isola è un purgatorio di pietra lavica. Lassù, oltre gli ostili tornanti del monte, riposa Femés, borgo di case stretto tra valli, picchi e strade sterrate. Henning arranca sulla cresta ripida, si ferma per accumulare fiato, poi riprende a salire, stirando il suo fisico verso i limiti dello sforzo tollerabile.
L’anno nuovo è un romanzo di visioni e di deviazioni oniriche. Una patina di irrealtà si stende sugli eventi, minandone la regolarità. L’azione del protagonista, quel pedalare ostinato, energico, disperato, apre un varco, una porta che conduce ad una dimensione arcana. In questa hanging rock ambientata alle Canarie fa capolino un’atmosfera sovrannaturale. La psiche alterata è un coltello che taglia il tessuto del reale. “Henning distoglie lo sguardo, si concentra sulla meta, la carreggiata sulla cima, dove la strada scompare tra i ristoranti. Ma c’è qualcosa che non va. Ha a che fare col giardiniere, quell’uomo ha qualcosa d’irritante. Henning lo guarda e distoglie nuovamente lo sguardo, poi lo guarda ancora, ma non capisce cosa lo disturbi. L’uomo gli dà le spalle, il cappello calcato ben bene sulla nuca. Henning rabbrividisce, come se non fosse un essere umano. Allora capisce cos’è che non va. Il giardiniere sta in una posizione sbagliata. Dà le spalle a Henning, e dunque rivolge il volto verso il vento. L’acqua della pompa dovrebbe andargli contro, inzupparlo completamente. È impossibile innaffiare in quella posizione. Quello che il giardiniere sta facendo è assolutamente impossibile”. Spettri troppo reali invitano Henning a proseguire, a non cedere alle lusinghe della fatica. Oltre, c’è un premio inaspettato. La guarigione è possibile. In mezzo, però, c’è una tremenda soglia da valicare.
La scoperta si compone di déjà vu. Sopra Femés c’è una galleria d’arte. È una casa che osserva dall’alto la vallata. Un muro è invaso da una colonia infinita di ragni, un pozzo è abitato da una frescura inquietante. Una volta di vetro, affogata in un mare di luce solare, e un divano confinato in un angolo, sono le ultime barriere tra la verità e il rimosso. Si delineano i contorni dell’incidente, e dalle acque del tempo emerge il porto sepolto. Nel rifugio solitario, ora abitato da Lisa, artista cinquantenne anch’essa tedesca, tanti anni prima deflagrò un litigio definitivo, l’innocenza si cimentò con lo Spavento e la COSA, parassita psicofisico parente delle creature filosofiche di David Cronenberg, si insediò sotto la pelle di Henning.
L’orizzonte muto dei ricordi è la destinazione di Henning. Origine e fine coincidono. Il sogno vigile strizza l’occhio all’abisso della memoria. La coscienza adulta è un fiore che sboccia sulle macerie del trauma. Quando il bambino era bambino, proteggeva sua sorella Luna dalle mani della notte. Quando il bambino era bambino, cercava di aprire, assetato e avido, un brick di succo d’arancia. L’anno nuovo è un romanzo asimmetrico. Il capitolo dell’abbandono è un capolavoro di prosa con punte di lirismo, un’elegia del coraggio e un monumento letterario allo smarrimento esistenziale.
Juli Zeh scandaglia con cura il vissuto e le percezioni dell’età infantile. Il suo talento, già dimostrato nello splendido Turbine, è confermato. “Henning parla con l’universo. Promette all’universo di fare qualsiasi cosa, se solo gli riporta indietro i genitori. Farà sempre il bravo e non farà mai più arrabbiare Luna. Metterà in ordine la sua stanza e quando entrerà in macchina non si trastullerà, e dopo cena non farà i capricci per avere un altro gelato”. Impossibile rivelare altro, pena rovinare il gusto della lettura. Juli Zeh ci sussurra che dobbiamo sempre misurarci con l’incertezza. SMS come ammonimenti, sassi dipinti come premonizioni. La vita eccede la verità… e nessun sogno è interamente sogno.
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