Autore: Bertolotti, Luca
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: Fandango
Genere: Narrativa
Pagine: 319
Prezzo: Settembre 2018
“Sono apparsa dal nulla sulla spiaggia di San Michele Arcangelo
che avevo tre anni, forse addirittura quattro, nessuno
è mai riuscito a stabilirlo con certezza. Così, di punto
in bianco, fra piccoli gozzi tirati in secca e una bracciata di
legna putrescente lasciata sulla battigia dalle mareggiate.”
(pag. 9)
Inizia così, in modo singolare e misterioso, il libro “La bambina falena”. Come spesso accade, è stato il suo titolo, altrettanto singolare e misterioso, ad attrarmi.
Racconta la storia di Greta, una bambina che, all’età di tre o quattro anni, viene ritrovata, sola e fradicia, su una spiaggia della riviera spezzina. Senza famiglia, senza passato, persino senza nome, dato che il nome Greta le viene assegnato seguendo le strane sillabe che lei stessa pronuncia.
La sua dolorosa infanzia e adolescenza, trascorrono prima con la famiglia a cui è stata affidata dopo la consueta lunga trafila burocratica, poi solo con Alfredo, e, dopo di lui, con la zia.
All’età di vent’anni, Greta è una giovane donna, che ancora non riesce a decidere quale direzione dare alla sua vita. Condizione comune a molti suoi coetanei, se non fosse per l’insanabile ferita che l’abbandono le ha inferto, e per la debilitante malattia genetica che le è stata diagnosticata, la sindrome di Ehlers-Danlos, a conferma della sua costante sensazione di estraneità e diversità.
“derivava pur sempre da questa mia pelle di cui
diffidavo sempre di più.”
(pag. 32)
“…perché tutto d’un tratto ero incazzata nera.
Perché l’invidia mi divorava, ora che essere
diversi significava semplicemente essere sbagliati.”
(pag. 25)
Ciononostante, Greta ha in sé una forza tale da non lasciarsi andare alla disperazione, ma di trovare il coraggio di affrontare il grande enigma del suo passato, ripartendo dalla spiaggia dove era stata trovata anni prima.
Da lì, intraprende un duplice viaggio: uno fisico, attraverso il paese, su per la salita verso la collina, la rimessa, fino al bosco; e uno mentale, a ritroso nei pochi ricordi della sua memoria, fatta di brevi fotogrammi, luoghi, volti e profumi. E come in ogni viaggio, Greta incontra dei compagni: Lorenzo, Hansel e Sissi, gli abitanti della casa nel bosco, i misteriosi Paolo e Miriam.
Prigioniera di un mondo in cui il tempo sembra essersi fermato, Greta riesce a ricongiungersi alla sua famiglia, ma le risposte alla miriade di domande che da sempre la assillano, minano i precari equilibri su cui è stata costruita, portando alla luce remoti orrori.
Un rocambolesco finale porta nuovamente Greta sulla ‘sua’ spiaggia. Non più sola questa volta, ma con la sua famiglia – che lei stessa ha salvato dalla rovina cui era votata – con un passato e una nuova vita davanti.
Sullo sfondo, il mare, simbolo di rinascita, elemento naturale contrapposto alla innaturale violenza cui miseria e disperazione inducono.
All’esordiente Luca Bertolotti va il merito di aver costruito una storia con tasselli tematici e temporali sfalsati, che progressivamente si uniscono, svelando l’intero mosaico.
Con uno stile schietto, lucido e diretto, ci accompagna nel complesso e delicato mondo di Greta, facendocelo toccare con mano. Come per lei la pelle è il riferimento primario, a causa della sua malattia, così anche noi proviamo sulla nostra pelle le sue emozioni: con lei, avvertiamo il calore dell’affetto e il gelo della solitudine; come lei, sentiamo addosso il fastidio dei vestiti umidi e della sabbia appiccicosa, il dolore alle articolazioni e il peso dell’incudine sulla caviglia.
Il titolo del libro promette fiabe e magia, e in fondo, “La bambina falena” non tradisce.
C’è una bambina abbandonata, ci sono Hansel e Gretel, il bosco, la casetta (di marzapane), la strega (e forse anche gli orchi).
Ma soprattutto c’è la magia. Non quella di formule o bacchette, ma la forma più vera che possiamo incontrare nella vita di tutti i giorni: quella di chi accetta, con coraggio e umiltà, la propria condizione, e difende con tutte le sue forze il diritto di essere felice, senza mai rinunciare alla speranza.
“Mi ritrovai la faccia premuta contro i ciottoli umidi.
Poi mi misi a respirare l’odore di femmina
di capodoglio. Lo trovavo piacevole, anzi straordinario.
Un po’ come trovare anche la più semplice forma di vita
su di un pianeta come Marte.
E poi non aveva neanche piovuto.”
(pag. 311)