Io e Lucio Battisti – Pietruccio Montalbetti

Autore: Pietruccio Montalbetti
Titolo: Io e Lucio
Editore: Salani
Genere: Biografia / Autobiografia
Numero di pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2013
Costo: 13.90 euro

A tratteggiare di fretta l’immagine di Battisti viene alla mente il casco di riccioli neri, il foulard perennemente intrecciato sul collo, un fisico minuto, se non fragile. Una magrezza tipica di un periodo che non ci appartiene più, di anni in cui si mangiava e si viveva diversamente.

Si fa più fatica ad immaginarsi Lucio Battisti obeso, seppur bambino. Schivo sì, timido pure, schietto… perché no? Ma obeso?

Questo è soltanto uno dei tratti che costringono ad interrompere la lettura di Io e Lucio di Pietruccio Montalbetti (Salani), ritagliarsi un momento per assorbire le informazioni e immaginare. Il libro di ricordi del leader dei Dik Dik è un continuo E se? non perché ipotizzi o presenti situazioni alternative a quelle reali, quanto perché dischiude porte prima sconosciute, offrendo l’illusoria sensazione di aver rotto quell’incantesimo del silenzio che ha costruito il mito Battisti quanto le parole di Mogol.

L’importanza e la profondità dell’orma di Battisti nella musica leggera italiana è innegabile, tanto che ribadirlo è quasi superfluo e forse per questo il Lucio del libro al successo arriva soltanto nelle ultime pagine e quasi di sfuggita. Qualche traccia, soltanto un cenno fra un pranzo in trattoria e una telefonata in piena notte.

E sempre in negativo.

Il Battisti cantante nazionale non sorride mai. Nasconde i ricci, la bocca, il foulard, nega gli autografi e rifiuta gli inviti. Lo dice anche chiaro e tondo: io questa vita non la immaginavo e non mi piace, e allora se ne allontana prima di tutto fisicamente, relegandosi in quella casa che l’avrebbe tenuto in grembo fino alla morte prematura.

Della forza di volontà del ventenne delle prime pagine rimane un’ostinazione alla privacy quasi incomprensibile per chi è abituato al mondo dello spettacolo del 2000 e oltre. Un atteggiamento che non può che risultare antipatico e che in qualche modo giustifica la curiosità con cui il lettore ricerca gli aneddoti tra le (troppe) parole che l’autore conserva per sé.

Non sono tanti, bisogna ammetterlo: i quadri “da fan” si possono contare sulle dita di una mano. Com’è nata Non è Francesca, quella volta in cui si era intrufolato sul palco di Sanremo, deserto, e ha sognato di avere davanti a sé il pubblico che poi avrebbe rifiutato, la chitarra più piccola del normale che non ha mai cambiato, l’incisione di Emozioni.

Il resto del libro si divide tra una caratterizzazione di artista così generica e conosciuta che potrebbe essere indossata anche da Madonna, David Bowie, Blixa Bergeld, Morrissey etc. (la ricerca della perfezione, l’impuntarsi sull’idea, la forza di volontà, la vivace curiosità verso le novità) e il racconto di un ragazzo qualunque, che non sa ancora se crede in Dio e che non ha paura della morte, ma di essere dimenticato sì.

“L’idea di morire non mi spaventa” disse Lucio infine, “ma quel che temo è il fatto di non lasciare nessuna traccia del mio passaggio. Vorrei fare qualche cosa per cui essere ricordato per sempre. È il mio unico cruccio”.

Lo schizzo del giovane Battisti si forma su pochi tratti ripetuti che sembrano quasi studiati per riscuotere il consenso del suo pubblico: la semplicità contadina, la schietta onestà, l’interesse verso gli ultimi, la sensibilità.

Quello che incuriosisce di più è la difesa del buon nome che Montalbetti fa di sé ed estende al vecchio amico, ripetendo, con parole sempre diverse, il concetto eravamo bravi ragazzi. Non è chiaro se questa difesa sia eretta contro l’immagine contemporanea di musicisti e cantanti o l’idea che la generazione precedente alla loro aveva di quelli che chiamava (con un termine oggi squisitamente retrò) capelloni. Il risultato è una ingenuità che non sempre convince (come il loro tacito e pacifico rifiuto delle droghe leggere) ma sicuramente intenerirà chi di dovere.

A conclusione di libro Battisti non è meno sfuggente di prima, una sorta di ologramma in bilico fra la determinazione al successo e l’amara consapevolezza che il coraggio di vivere, quello, ancora non c’è.

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