Deleyva nasce come associazione culturale nel 2012 a cura dei soci fondatori Emmanuele Jonathan Pilia, Emidio Battipaglia, Alessia Paola Roberta Rinaldi con l’intento di indagare le possibili sinergie tra gli sviluppi tecnici, artistici, architettonici, filosofici dell’uomo, e la sua evoluzione autodiretta, apparentemente avviata verso una mutazione in senso postumano.
Come è nato il vostro progetto editoriale e da cosa deriva il vostro nome?
É un nome che richiama il territorio da cui provengo, Deleyva è il nome di una antico feudo di una famiglia spagnola a nord di Milano, rivale dei Borromeo, che si è estinta alla fine del ‘500. È un nome che non è più comparso nei registri ufficiali, quindi su internet il termine non dava risultati. È stato uno strategemma di marketing per emergere su Google, così è facile trovarci. Siamo nati nel 2012 dall’incontro con Emanuele Pilia, critico d’architettura e professore alla Sapienza, che si occupa di approfondire discipline tradizionali come le arti figurative nell’era della digitalizzazione. La casa editrice è nata convogliando gli interessi di estetica e fashion con l’architettura e il design in Italia.
Cosa vi aspettate dalla partecipazione all’Incubatore?
È la prima volta che partecipiamo all’Incubatore e intendiamo tornarci l’anno prossimo. È stato interessante essere parte di questo mondo editoriale fatto di piccoli editori. Abbiamo avuto la percezione che la nostra piccola realtà, confrontandoci con gli altri, sia sulla buona strada, perchè abbiamo suscitato molto interesse e crediamo che sia il primo passo per avere una buona visibilità a livello nazionale. È essenziale il confronto con gli altri, grandi e piccoli editori, per migliorare.
Quali progetti avete per il futuro e cosa si sta già realizzando?
Un romanzo che abbiamo pubblicato di recente e a cui teniamo molto è Citymakers, della collana di Transarchitettura, che riassume una serie di pensieri, spesso utopici, sulle città del futuro, legate alle tematiche del bene comune, in un’ottica positiva. Qui all’Incubatore abbiamo presentato la nostra ultima pubblicazione: Ricostruire la moda italiana. Abbiamo un convegno a Roma a maggio per presentare i libri di Lebbeus Woods e un progetto di bio-mimetica, che farà da sfondo a una mostra all’EXPO del 2015 con oggetti di design di consumo semplice biodegradabili, modelli di edifici con materiali resistenti in caso di terremoto e sostenibili in caso di distruzione.
Quali sono le peculiarità della vostra linea editoriale?
Prima di tutto vogliamo portare in Italia autori a cui altre case editrici per ragioni economiche non sono interessati, un po’ radicali, forse eretici, che precettano linee di innovazione per il futuro spesso non condivise o osteggiate, come Lebbeus Woods. Trattiamo generi quali l’architettura, della collana Transarchitettura, lo studio del fashion e la moda italiana, della collana Fashionologia, e altri legati alla bio-etica, filosofia, antropologia e bio-medica.