
Data di pubbl.: 2025
Pagine: 110
Prezzo: € 12,00
Rocco Giudice è un poeta che si prende cura delle parole e la sua poesia è un navigare nel mare della letteratura.
Poeta colto dalla forte formazione novecentesca nei suoi versi tesse la trama di un racconto esistenziale, scava nei temi dell’esistenza, cogliendo gli aspetti più intimi del logos e delle sue conseguenze temporali.
Da Qed edizioni, nella collana stèresis, è appena uscito In linea d’aria, una raccolta dall’impronta crepuscolare.
Per il poeta la poesia è una forma di energia, la poesia è la musica che manca alla musica per essere poesia. Nella poesia, perfino il silenzio è un’eco della musica che non ha bisogno di suono per esistere: l’assenza che illumina un mondo che non ha bisogno di null’altro per esistere, nemmeno di esistere.
È proprio intorno alla figura dell’assenza che il poeta ragiona e sente il peso specifico delle parole.
Ed ecco che la poesia diventa l’atto del nominare, quel chiamare con una voce interiore le cose e dare un nome al tutto che ci coinvolge e ci travolge.
«Fossi chiamato a dare al mondo un senso, / a stabilire il quale direzione spinge / a cosa porta l’ala del tuo sangue: / tu non conosci nemmeno le lettere / ossute del tuo volto, ruvido suono / che la lingua addenta invano, / postilla d’apocrifo silenzio / che in uno stesso, illeggibile segno, / confondendo cancellatura e scrittura, / ha inciso nel tuo ogni altro viso».
Cioran scrive che poesia significa deliquio, abbandono, arrendevolezza al fascino. E siccome ogni fascino è sparizione, chi potrebbe trovare una sola poesia esaltante? Essa ci fa scendere verso il supremo.
Rocco Giudice conosce lo spazio che occupano le parole e affida alla poesia e al suo pensiero il corso del loro andare sulla pagina.
Ed ecco che il poeta diventa l’artefice del divenire, il custode delle solitudini e dei mutamenti, il minatore, come scrive Caproni, che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las secretas galerías del alma
Giudice con le sue parole allo stato solido annega e nuota nel concetto di assenza, prende tra le mani la vita, e scrive tra una categoria del possibile e una caduta nel futuro.
«Ci sono anch’io in quel silenzio che stordisce / gli angeli che ci fanno innamorare d’un sogno / ed è tutto il rumore del mondo cui manca / la tua voce, mentre sento la mia staccarsi / dal pianeta: e tutto grida perché non ci sei. / Io solo taccio – parlando, scrivendo, vivendo».
Quello che rimane è l’estasi del disincanto in cui il poeta non è nella poesia più di quanto in proporzione occupi un posto nel paesaggio: e ci trascina con sé in questo spaesamento che investe anche noi, senza che questo procuri angoscia.
In linea d’aria lo schianto è vicino. Anche se l’ora presente è smarrita, il poeta sta nel mondo e ha il compito di riempire il caos.