Il confine del paradiso – Esmé Weijun Wang

Titolo: Il confine del paradiso
Autore: Esmé Weijun Wang
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: Lindau
Genere: letteratura americana, narrativa contemporanea
Traduttore: Thais Siciliano
Pagine: 414
Prezzo: € 19,50

Nella Cina premoderna era diffusa una forma di matrimonio combinato, chiamata tongyangxi. Una famiglia con un figlio maschio, generalmente preadolescente, adottava una figlia femmina di pari età o un po’ più piccola, allo scopo di crescerla fino alla pubertà. Una volta pronti all’atto sessuale, il maschio e la femmina si sposavano per garantire la prosecuzione della stirpe. La giovane donna era destinata alla cura dei genitori adottivi. Era una forma di matrimonio poco costosa, una sorta di assicurazione sul futuro stipulata da famiglie di bassa estrazione sociale, spesso appartenenti alla Cina rurale. Dichiarata fuori legge dai comunisti nel 1949, la pratica del tongyangxi ha resistito sull’isola di Taiwan fino agli anni Sessanta/Settanta del Novecento, quando l’affermazione della modernità economica e la diffusione capillare dell’istruzione la declassarono a scomodo retaggio di un lungo passato segnato dalla povertà.

Il confine del paradiso, romanzo dell’esordiente Esmé Weijun Wang, tradotto da Thais Siciliano per la casa editrice Lindau, è una storia di follia mentale e di dolore privato, di disagio culturale e di faticosa rinascita. A Gillian Nowak, bellissima ragazzina adolescente, talentuosa pianista, figlia di David e del suo primo amore, Marianne, spetta l’incredibile ruolo di tongyangxi in terra americana. Ad aumentare il senso di estraniamento, aggiungiamo che il suo compagno di vita, designato da implacabile volontà materna, è il fratellastro William. Jia-Hui, alias Daisy, moglie taiwanese di David, madre adottiva di Gillian, madre naturale di William (altro genio del pianoforte), pianifica le nozze innaturali. Per comprendere come sia possibile che ciò accada, in un contesto familiare di partenza tutt’altro che sfavorevole, occorre riannodare i fili del racconto e tornare all’inizio.

La famiglia Nowak, cattolica, di origini polacche, è insediata nel quartiere di Greenpoint, a Brooklyn. Peter, il capostipite, è presidente e proprietario della Nowak Piano Company. David, l’unico figlio di Peter (soprannominato Ojciec) e Francine (Matka), si innamora di Marianne, della famiglia Orlich. Marianne ha un fratello, Marty, segretamente omosessuale. David sviluppa molto presto le stranezze che ne caratterizzeranno l’esistenza fino ai conclusivi, tragici giorni. Affetto da manie ossessivo-compulsive, si allontana dal mondo e soprattutto abbandona ogni frequentazione della chiesa locale, un’assenza notata dal vicinato, in particolare dai conformisti, tradizionalisti Orlich, consci del forte legame tra i due giovani. Le voci corrono. Alla morte di Ojciec, David, incapace di reggere le sorti dell’azienda di famiglia, la vende a George Pawlowski, braccio destro del padre, ad una cifra considerevolmente alta, sufficiente a garantirgli una rendita permanente. L’abbandono dell’attività rappresenta per lui il punto di non ritorno: la romantica relazione con Marianne è troncata dal rude padre di lei. La ragazza, innamorata, si rifugia in convento. David invece si avventura oltreoceano, approdando a Taiwan, dove Marty svolge servizio nella Marina.

Il confine del paradiso è costruito per stanze, secondo una progressione temporale che dal 1935 conduce al 1972. Ad ogni stanza corrisponde una voce narrante diversa, ora David, ora Daisy, ora Marianne, ora Gillian… Ne risulta un affresco corale e contraddittorio, percorso da una crepa che, da impercettibile, si allarga a voragine. Esmé Weijun Wang, inserita dalla prestigiosa rivista letteraria Granta tra le migliori autrici degli ultimi dieci anni, riversa nel romanzo gli echi del suo personale calvario. Sul suo blog, la scrittrice rivela di aver combattuto la malattia di Lyme, un morbo che può comportare gravi complicanze neurologiche, e di aver sofferto di schizofrenia.

David a Taiwan incontra Jia-Hui, avvenente incantatrice di uomini in divisa, figlia della tenutaria di un bordello. Si sposano e si trasferiscono negli Stati Uniti. Matka, la madre ormai anziana, rompe i rapporti con il figlio. A San Francisco, la salute mentale di David degenera in comportamenti autolesionistici, e Jia-Hui, ribattezzata Daisy, deve combattere per portare a termine una difficile gravidanza. Comprano a poco prezzo una casa immersa nei boschi, a Polk Valley, duemila abitanti, comunità scelta a caso, in una contea remota della California, al confine col Nevada. L’abitazione è un rifugio-fortezza lontano dalla strada, pressoché invisibile. David e Daisy puntano all’autosufficienza: pochi contatti, acquisti essenziali nel supermercato vicino, gestione oculata delle finanze, educazione dei figli gestita direttamente dal padre. Figli al plurale, perché la nostalgia dell’amore perduto spinge David a cercare Marianne, ora suora, a scovarla con facilità in un convento vicino, a sedurla, a metterla incinta, ad avere con lei una figlia. Marianne, espulsa dall’ordine, donna randagia, senza meta, è costretta a cedere Gillian ai Nowak. Solo alla morte di David, per suicidio, dopo un biennio passato in un ospedale psichiatrico, scatta il piano, già accennato, di Daisy: trasformare la bambina nella tongyangxi di William.

Lasciamo al lettore il piacere il scoprire il resto della storia e l’impegno di sgranare il rosario di lutti, fughe e ritorni. Il confine del paradiso è un romanzo dalla trama insolita, dura, perturbante. Ogni capitolo svela retroscena emotivi profondi e presenta sfumature psicologiche sorprendenti. Al centro vi è il nodo gordiano della follia, declinata come tracollo dei canali di comunicazione tra sé e l’esterno. Sul fondo, però, vi è una questione altrettanto radicale: il problema del nominare gli eventi che accadono attorno a noi, e sulla nostra pelle. Il termine incesto compare solo alla fine, per bocca di una sconvolta, rediviva Marianne. Prima, ovvero prima dello scandalo, è relazione affettuosa, dedizione reciproca, complicità non priva di accenti spirituali. Una tongyangxi è una giovane donna che rientra in una dinamica culturale, per quanto aliena ai costumi occidentali. Daisy è una torbida corruttrice psicolabile? O forse la sua incoscienza nasconde un desiderio, quello di stabilire, appunto, il confine di un presunto paradiso e di cementare per i figli, orfani del padre, un nido incorruttibile, inviolabile, refrattario perfino agli incendi? Oppure, è solo un’immigrata piegata da un’invincibile ignoranza delle regole civili e dalla fobia dell’ignoto?

Esmé Weijun Wang, grazie a una scrittura limpida e sincera, sottolinea l’estraniamento linguistico e lessicale di Jia-Hui, anche attraverso alcuni espedienti narrativi, ad esempio lasciando, nei tentativi di dialogo tra lei e gli americani, in primis con la suocera Matka, dei trattini, spazi bianchi a simboleggiare vacanze di significato. Sono espressioni che l’immigrata da Taiwan non sa tradurre, travisa o distorce. La disintegrazione valoriale nasce da questo scarto, esordio infelice nella promised land. Non solo: tutti i nomi propri dei personaggi principali sono sostituiti da soprannomi. L’appropriazione della realtà e l’avvicinamento alla vita altrui, sembra volerci dire l’autrice, deriva da una mossa del linguaggio che traccia un limite, includente ed escludente al tempo stesso. I due fratelli-amanti sono bilingue, ennesima arma a doppio taglio, legame privilegiato (tra di loro, con la madre) e strumento di cesura rispetto al contesto più vasto. Fissare il movimento del reale, celebrarlo in una visione unica e inconfutabile: è l’obiettivo di David perseguito nel suo hobby, la tassidermia di animali selvatici. Un hobby non innocente, un volto della mania.

Il confine del paradiso racconta un’America oscura, esplora l’altra faccia del Sogno, la faglia tra pubblico e privato, dove inciampano le buone intenzioni. Nell’implosione finale, “qualcosa fugge verso il bosco, sembra un cervo”. O un fantasma, qualcosa che muore per risorgere, un essere colto nel suo processo inevitabile di metamorfosi.

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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