Grandi Riflessi – Catullo: poesie d’amore

Titolo: Cupido. Le più belle poesie d’amore della latinità

Traduzione e cura di: Roberto Gagliardi

Anno di pubblicazione:1979

Prendiamo ispirazione dall’articolo Azul y no tan rosa e la letteratura amorosa latina (http://www.gliamantideilibri.it/archives/41321) per approfondire il discorso su Catullo in quanto, pur essendo uno dei più celebri poeti dell’antichità classica, ancora molte sono le incertezze e le incomprensioni o le false credenze che lo riguardano.

Gaio Valerio Catullo proveniva dalla Gallia Cisalpina (Nord–Est Italia) e in particolare dalla città di Verona. Sappiamo appartenesse ad una famiglia potente e facoltosa, tuttavia i dati sulla sua biografia sono incerti e confusi. Visse una trentina d’anni e gli studiosi moderni fanno risalire la sua nascita all’ 82 o 84 A.C. La vita del poeta si svolse tra Roma e la Cisalpina e, grazie ad alcuni suoi carmi, sappiamo che non fu totalmente estraneo alla vita politica.

Molto sappiamo sulle sue vicende amorose, come afferma Roberto Gagliardi, nell’introduzione al capitolo 3° Lesbia: il tormento d’amore, del libro Cupido le più belle poesie d’amore della latinitàdi Catullo, Lucrezio, Orazio, Ovidio, Tibullo, Virgilio- Savelli editori : “Il liber catulliano contiene, fra le tante cose, poesie nate dall’amore per Lesbia e poesie che riflettono un amorazzo per un ragazzino, Giovenzio […] l’amore per i ragazzini era un fatto pacifico nell’antichità greco- romana” (pag. 55).

Sappiamo che l’amore con Lesbia fu tormentato, appassionato e disperato. La donna era probabilmente Clodia, sorella del tribuno della plebe P. Clodio Pulcro e moglie di Metello Celere. In realtà Catullo non fu solo poeta d’amore, ma un’altra esperienza importante fu l’amicizia con Callimaco, Lutazio Catulo e i cosiddetti poetae novi.

Di Catullo conosciamo 116 componimenti poetici, divisi in carmina docta, nugae polìmetre e 48 epigrammi elegiaci.

Probabilmente le maggiori influenze gli furono date dai poeti ellenistici, i poeti greci e i tragici.

Sicuramente, i più ricordano il poeta per la celebre Odi et amo: quare id faciam fortasse requiris, Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non so, ma è proprio così, e mi tormento.)

Distico in cui Catullo si rivolge ad un interlocutore e dichiara il suo sentimento di amore-odio. 

Oppure per il Carmina, V in cui diceva a Lesbia:

Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.”

Ma ci sono anche poesie meno ricordate come quella  Presso la tomba del fratello 

Portato per molte genti e per molti mari
Sono giunto, fratello, a queste meste offerte funebri,
Per donarti l’estremo dono di morte
E per parlare invano col tuo cenere muto
Dal momento che la sorte mi ha strappato proprio te,
Ohimè infelice fratello ingiustamente strappatomi.
Ora tuttavia intanto accogli quelle cose che secondo l’antica consuetudine degli avi
Sono a te offerte in triste tributo come sacrificio funebre,
Accoglile grondanti assai di pianto fraterno,
E per sempre, fratello, addio.

O quella A Cesare: “Andarti a genio, Cesare, non è la mia passione. Né di sapere se sei “bianco o nero”.

Tuttavia spesso nella poesia amorosa catulliana si colgono anche parole scurrili o maledizioni nei confronti dell’amata e, siccome le cose non sono mai come appaiono, “il confine fra un Catullo che è disperato d’amore e che quindi maledice Lesbia e la invoca con tenerezza struggente, e un Catullo finissimo manipolatore di parole, che per rappresentare la disperazione d’amore disegna se stesso intento a mormorarsi “Odi et amo”, essendo più interessato al fluire del ritmo che a spiare sul volto dell’odiosa amata le reazioni, è un confine labile, che può essere segnato però con una mano che non trema” (pag.56). L’autore continua spiegando che si porrà il problema della sincerità e artificiosità che si ritroveranno anche in altri poeti successivi come ad esempio Dante, Petrarca o Shakespeare.

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