Finestra vista mare – Ariel Fonseca Rivero

Titolo: Finestra vista mare
Autore: Ariel Fonseca Rivero
Data di pubbl.: 2020
Casa Editrice: Ensemble
Genere: Raccolta di racconti
Traduttore: Laura Mariottini e Alessandro Oricchio
Pagine: 78
Prezzo: € 10,00

Finestra vista mare raccoglie sette brevi racconti firmati dal giovane scrittore cubano Ariel Fonseca Rivero. Ensemble Edizioni rende accessibile ai lettori italiani questa mirabile opera d’esordio, con la traduzione di Laura Mariottini e Alessandro Oricchio. Nella sua premessa, Mariottini riporta sinteticamente alcune celebri interpretazioni critiche del genere narrativo del racconto (Cechov, Poe, Hemingway, Cortázar…), per accostare poi l’autore a una serie di riferimenti letterari interni ed esterni all’isola prime di entrare nel merito del suo stile particolarmente originale e autentico, mentre Oricchio chiude il volume con un’intervista molto interessante allo stesso Ariel Fonseca. Una splendida illustrazione di Francesco Dezio, una conturbante sirena adagiata sul fondo del mare, si presta a copertina della versione italiana.

In Dignità, Jorge e la moglie Cintia passeggiano con la figlioletta in braccio tra le vetrine di una città inaccessibile, ostile. Una maglietta, una bambola, un sapone sono beni semplici eppure, per loro, troppo cari. Cambio di scena. Una sovrastante miseria sgretola le pareti di casa. Cintia imbocca a fatica Dayani. Una minestra insipida, biancastra, si aggruma nel piatto. Le uniche scarpine della bambina si stanno rompendo e Dayani rischia di rimanere scalza. Il padre, all’alba, si alza e cammina fino alla culla. “Non ci sono soldi. Se potessi comprare almeno un riparo per i piedini nudi della bimba…” Ed è allora che un’idea frulla nella testa di Jorge. A Cuba circolano auto con la targa dell’autonoleggio per stranieri. Jorge sale su una di queste. “Nel letto dell’hotel, Jorge è nudo. L’espressione serena, lo sguardo fisso e distante”. Carne, bibite, birra e… scarpine. In cambio della dignità. La moglie comprende, non si offende, sorride, lo abbraccia. In Castello di carte, la ventenne Mariela è mortificata dalla povertà di sua madre, “tutti gli sforzi che fa per renderla felice pur avendo poco o niente”. La madre di Mariela merita una ricompensa. Quando, nelle camere d’albergo, il suo corpo si concede agli uomini, la sua mente apre velleitarie vie di fuga verso il benessere, rapprestato da un immaginario castello. Dopo una doccia in attesa della cena (quanta fame in questi racconti!), Mariela esce dal bagno: l’amante spagnolo è sparito insieme agli olezzi del suo insopportabile tabacco. “Sul pavimento sono rimaste solo carte da gioco sparpagliate. La stanza è vuota. La porta ancora spalancata”.

Ariel Fonseca ha dichiarato a Oricchio che le sue non sono storie necessariamente vere, ma storie che comunque potrebbero accadere. I personaggi qui ritratti somigliano a persone che l’autore incrocia quotidianamente nel tragitto per recarsi al lavoro (è un informatico): la donna che spazza per terra, la signora affaticata dalla routine delle mansioni domestiche, la giovane coppia impegnata a fare acquisti. Nella sua prosa concisa c’è la Cuba contemporanea, di ogni giorno. I racconti di Ventana al mar sono attraversati da una silenziosa, acuta violenza, più psicologica che fisica, una violenza che corrode. In Matrimonio, “Eliza non riesce a credere a niente di ciò che sta vivendo: né al vestito bianco che la avvolge, né agli invitati”. Eliza ama una donna. Quella donna è la sorella di suo marito. “Marcos sembra sul punto di scoppiare per il troppo amore. Eliza non ha ancora scoperto dove sia andato a finire il suo, di amore”. In Inquilino, racconto quasi fassbinderiano per il gelo interiore che inchioda i gesti e le parole, Christopher lascia Lena. Christopher l’ha tradita. “Lena non mangia più neanche un boccone, studia minuziosamente ogni movimento della città che la circonda… Dentro di lei c’è qualcosa che cresce dolorosamente come un inquilino fastidioso che arriva senza essere stato invitato”. Un anno dopo, Lena riceve una telefonata dall’altra donna. Christopher è morto. Lena si affaccia sulla città. “Sul balcone, il vento giocherella con i suoi capelli”. In Così, tanto per dire, l’infame Pablo lascia che l’amico Juan si approfitti di sua moglie, narratrice in prima persona del suo disagio e del suo riscatto. “La polizia non tarderà ad arrivare. Non voglio che mamma sia l’ultima a sapere che ho deciso di mettere fine ai tuoi maltrattamenti una volta per tutte”.

I protagonisti dei racconti addensano in sé il vissuto sociale di Cuba, le contraddizioni e gli atavici pregiudizi che recano sofferenza e incastrano l’individuo in un reticolo di castranti limitazioni. Sono le donne, in particolare, a uscire vittoriose, nello sforzo esercitato contro le avversità, nel desiderio di respingere ciò che gli altri considerano fatale e inevitabile, nella volontà di reagire all’accaduto. Ne Il sogno, la giovane Carmen è irretita dal suo fidanzato sfaticato di nome Carlos. Astuto manipolatore, Carlos la convince a imbarcarsi in un’attività basata sulla produzione di dolci di zucca fatti in casa (chiaro segno di un’economia sospesa tra autarchia e mera sussistenza). Poi Carlos varca il confine invisibile, la soglia tra l’isola e il mondo, se ne va con la promessa di un ricongiungimento impossibile. A Carmen restano solo i pezzi di zucca impigliati nei capelli e il conforto di una madre sconsolata. Finchè… “Deve preparare ciò che porterà con sé: le magliette rotte, i pantaloni rammendati, le foto dove lei e Carlos sorridono, le altre no, non vale la pena conservare i ricordi tristi, la sua prima bambola e la scatola di sigari. Possiede pochissime cose”. Partire, rompere l’assedio del mare, infrangere il muro d’acqua. Ecco Cuba e i cubani, oggi. Il mare, però, secondo Ariel Fonseca è anche “il colore azzurro della calma, il profumo e il rumore delle onde che danno sollievo”. In Cavallucci marini, racconto bellissimo, l’amore tra due donne, Sara e Laura, è spezzato dall’improvvisa voglia di maternità di Laura e dall’irruzione di un uomo, Javián, nelle loro vite. Il titolo nasconde un’allegoria che estrinseca presto il suo significato crudelmente ironico: è il maschio dei cavallucci marini a fungere da incubatore durante la gestazione ed è Sara a restare incinta dopo lo stupro di Javián. Sara tramuta l’estremo oltraggio in scelta, dono, sacrificio. “La bambina piange disperata tra le braccia di Sara che canta una ninnananna per calmarla, ma non ci riesce. Sara ha dimenticato di essere una sirena. Il mare è la sua casa, dunque sua figlia non può respirare fuori dall’acqua”. La magia amniotica è una metamorfosi, una transizione di stato non revocabile.

Ariel Fonseca vive nella pittoresca Sancti Spíritus, una delle sette villas originali di Cuba, fondata dal conquistador Diego Velázquez de Cuélla nel 1514. Lo scrittore evidenzia, tra i fattori negativi del risiedere in provincia, l’impossibilità di partecipare alla vita culturale della Capitale. Di recente ha fatto rumore la repressione del movimento San Isidro, un collettivo di giovani artisti, poeti, musicisti e intellettuali con sede in uno dei quartieri più poveri dell’Avana. I mezzi d’informazione ufficiali hanno addossato ai manifestanti l’accusa di essere “agenti dell’imperialismo”. Sebbene l’opera di Ariel Fonseca non sia dichiaratamente politica, nei suoi personaggi è possibile rilevare un discorso di emancipazione personale che passa dai sensi, dall’erotismo agito in funzione di risposta all’ambiente esterno, dalla collisione cercata o comunque ottenuta tra intimità “scandalosa” e opprimente sfera pubblica. “Il cubano è battagliero per natura”, afferma l’autore, “lotta in ogni momento della sua vita per avere ciò che vuole o di cui ha bisogno”. È una verità incisa nella carne dei suoi personaggi. La scrittura di Ariel Fonseca, lucida, lirica, affilata, a tratti onirica, riesce a toccare con soprendente levità i tasti dolenti dell’esistenza. Dalle ceneri della violenza sorge una terribile bellezza. La bellezza di chi spera, la bellezza di chi resiste, la bellezza di chi ha il coraggio di portare a termine la propria rivoluzione.

Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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