“Quanti di voi hanno mail letto romanzi di altre culture, africana per esempio?”
Questa domanda di Fabio Geda ha aperto sabato l’incontro al Festivaletteratura di Mantova con la Rwandese Scolastique Mukasonga che presentava l’edizione italiana del suo libro Nostra signora del Nilo, edito da 66THAND2ND e vincitore in Francia del prestigioso Prix Renaudot.
La scrittrice ha raccontato il suo ruolo di portatrice della memoria di un massacro di cui lei ha vissuto solo le fasi iniziali, ma porta i segni nella vita e nella coscienza. E’ stato uno dei più grandi massacri del secolo scorso, avvenuto quando l’etnia degli hutu ha eliminato fisicamente i tutsi, dopo averli discriminati e segregati in un vero e proprio Olocausto africano.
Geda fatica a contenere il suo racconto appassionato in francese, che procede come un fiume in piena e spiazza il pubblico.
Scolastique inizia il proprio intervento richiamando la figura della volontaria italiana Antonia Locatelli, che aprì un centro per le donne rwandesi molto prima che il dramma etnico tra hutu e tutsi scoppiasse e che fu assassinata da un poliziotto che non ha mai pagato per il delitto commesso.
Il dramma è grande e altrettanto lo è il rischio di dimenticate, così per Scolastique scrivere non è stata una scelta, ma un dovere. Nel 1973 i suoi genitori l’hanno fatta emigrare prima in Burundi e poi in Francia e spiega: “mi sono considerata un’adulta che ha vissuto l’incipit e la conclusione di un dramma. I miei genitori hanno scelto per me, facendomi diventare il ricordo dello sterminio del mio popolo”.
“Ho voluto scrivere una storia di vita vissuta e ho capito che mi faceva bene. In Nostra signora del Nilo sono passata poi ad utilizzare dei personaggi che parlano al mio posto”.
La scrittura dunque come terapia per curare le ferite, ma non solo: “questo romanzo mi è servito per togliere ciò che mi avvelenava, ma anche per capire quello che era accaduto, fare luce ed aprire la via alla riconciliazione”
“Perchè ha aspettato vent’anni a scrivere di questa esperienza e farla diventare – come ha detto- la tomba di carta dei tanti morti senza sepoltura?” Ha chiesto Geda. “In realtà ho iniziato a scrivere da subito, ma solo dopo aver visto le immagini dei massacri ho capito che si rischiava la perdita di memoria, mia e di tutti i testimoni e quel punto la scrittura è diventata un’urgenza”