Bauman, “La nostra vita la conformiamo noi e senza ricette”

Nel sabato di Festivaletteratura è arrivato Zygmunt Bauman, tra i pensatori più noti e influenti al mondo, davanti alla platea mantovana. Il suo incontro con i lettori si è trasformato in un ideale prosieguo di quelle Conversazioni sull’educazione (Erickson) appena uscite in libreria e intrattenute con Riccardo Mazzeo –anch’egli presente alla manifestazione.
Punto di partenza nella discussione: la necessità di diventare “artisti della vita”. “Vocazione antica dell’umanità, precedente anche l’invenzione della scrittura –ha detto il sociologo. In questa ricerca di un’esistenza felice si possono affrontare diverse domande che sono alla base della vita sociale”. Perché “la vita la conformiamo noi e sempre senza ricette. Non c’è una sola formula per avere una buona vita anche se, certo, spesso è facile osservare che si praticano tentativi e forme sbagliate”. 
Tra i punti di riferimento che, nella contemporaneità, possiamo avere al nostro fianco vi è certo uno dei più antichi tra i filosofi. “Socrate che giustamente è stato considerato esemplare perché ha spinto la sua arte di vivere fino a quella morte che fu per lui alternativa migliore rispetto all’esistenza che gli si prospettava. Oggi, pure, c’è un altro modo in cui egli parla alla coscienza contemporanea –ha proseguito Bauman, la sua esemplarità passa attraverso il non avere mai accettato di costringere altri a praticare quella sua stessa arte di vivere”. 

Sembra essere il tesoro dell’individualità di ogni essere vivente, la sua specificità di essere senziente il portato vero del dialogo del pensatore con il pubblico di Festivaletteratura: ”Stanislaw Lem, grande scrittore, scienziato, a un certo punto della sua vita decise di calcolare la percentuale della sua comparsa nel mondo. La combinazione matematica della lunga lista di fattori che determinò la sua esistenza diede una risposta certa: la sua vita era teoricamente impossibile -ha scherzato Bauman. Quello che voglio dire in realtà –ha continuato – è che nel contesto di quelle variabili da noi incontrollabili (il luogo della nostra nascita, il suo tempo) che chiamiamo destino e il nostro carattere che è la nostra unicità, una scelta è sempre possibile”. 
Per tornare al tema dell’educazione, discutendo con i suoi interlocutori, il professore ha poi affrontato le implicazioni  intellettuali dell’eredità di Gregory Bateson, il grande antropologo il cui lavoro è stata una delle fonti d’ispirazione per la discussione avviata con Mazzeo nel libro.
Dei tre livelli di apprendimento di cui Bateson faceva menzione nei suoi testi (la memorizzazione, la capacità di dare senso, la decostruzione del sapere stesso) Bauman ha voluto considerare soprattutto il terzo, citando a più riprese anche Jacques Derrida. Per Bateson, scomparso prima dell’età postmoderna, “la decostruzione era patologia. Oggi, invece, essa sembra la sfida che sta davanti agli educatori di fronte all’aumento esponenziale delle domande e delle informazioni.

Per cambiare punto di riferimento: è la stessa via di Edith Stein, quella che conduce “la mente ad essere un vaso vuoto”, ha riflettuto Luigina Mortari che ha moderato l’incontro
“Non c’è un’età del pensiero, dell’educazione che non abbia avuto di fronte a se una criticità da affrontare –ha ripreso Bauman. E’ comunque sempre importante osservare che nella maggior parte dei casi le questioni della moralità e dell’educazione vanno di pari passo. Ed è qualcosa che osserviamo molto bene nella nostra società di consumatori che ha preso il testimone da quella dei produttori”.

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