Autore: Dezső Kosztolányi
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: Edizioni Anfora
Traduttore: Andrea Rényi e Monika Szilagyi
Pagine: 252
Prezzo: € 17,00
È tarda notte e Budapest dorme. La festa in via Attila, presso i rispettabili coniugi Vizy, è terminata. Nelle stanze domina il disordine delle grandi occasioni. I sigari sono stati fumati, i piatti riempiti e svuotati, i discorsi politici sul nuovo regime appena accennati, i balli hanno evocato la promessa di patti, scambi e tradimenti. La presenza del ministro è stata gradita. Ora, il silenzio impone le sue regole. Anna Édes, la cameriera ventenne dei coniugi Vizy, è l’unica persona rimasta in piedi nel palazzo. L’Illustrissimo e l’Illustrissima sono crollati sotto i colpi della stanchezza. Il sonno avvolge anche i piani superiori, i due appartamenti signorili, dove dimorano il dottor Moviszter, l’avvocato Druma, le loro consorti e le due donne di servizio, Stefi e Etel. Dalle finestre entra un vento caldo, preludio dell’imminente estate.
Anna si muove con la consueta dimestichezza. Dopo quasi un anno passato in quell’abitazione odorosa di canfora stantia, ha il pieno controllo di ogni angolo e ripostiglio. La padrona le ha permesso di rimandare le faccende domestiche all’indomani, ma Anna non va a dormire. Comincia a sparecchiare, forse per portarsi avanti nel lavoro. All’improvviso, una detonazione: inavvertitamente urtata, una sedia di legno massiccio ruota sul suo asse e si capovolge, producendo un tonfo pesante. Né il sottosegretario di Stato né la moglie si destano. Poi, l’inusitato. Anna agisce in nome di una pura, meccanica disposizione all’azione. Nulla la preme, nulla la ostacola. La ragazza di campagna afferra un coltello da cucina e si avvicina al letto matrimoniale. La timida, minuta Anna immobilizza l’Illustrissima e la pugnala con precisione al cuore, quindi si abbatte orribilmente sul corpo di lui, il burocrate annoiato. Dopo averlo braccato, inedita predatrice, nel tentativo di fuga, ne strazia le carni. L’immacolato sofà gronda sangue. Lo spettacolo è osceno. Anna ha ucciso. Nei suoi gesti i poliziotti faticheranno a riscontrare odio di classe o istinto assassino da ladra consumata. L’omicidio è solo un fatto ripugnante sbocciato tra le sue mani, una verità che si impone con la solidità di un oggetto. Vi sono crimini che accadono senza una ragione, o, il che è uguale, con tutte le ragioni del mondo.
Poi, appena apriva gli occhi, vedeva comparire la signora, spettinata come se i capelli fossero arruffati di rabbia e ce l’avesse con lei. Quella sentiva tutto, perché il cigolio del parquet si udiva da lontano. La signora Vizy si preoccupava di far tenere la casa chiusa dalle correnti d’aria che provocavano mal di denti e d’orecchio, e dalla luce che la innervosiva. Era sempre alle sue calcagna per sindacarla…
Anna Édes è uno dei romanzi più importanti della letteratura ungherese del Novecento, un capolavoro che la casa editrice Anfora ha reso disponibile nell’impegnativa, meritevole traduzione italiana di Andrea Rényi e di Monika Szilagyi e la postfazione accurata di Antonella Cilento. Dezső Kosztolányi, giornalista, a sua volta traduttore, animatore della rivista Nyugat, lo scrisse nel 1926, quando l’ammiraglio Horthy aveva ormai consolidato il suo potere sulla nazione magiara trasformandola in uno stato parafascista (inevitabile il parallelo con la condizione dell’Ungheria di Orban). La cornice storica degli avvenimenti narrati in Anna Édes è messa in evidenza, tratteggiata con fermo tocco impressionistico. Il contesto politico non è né marginale, né totalizzante. Vi è, piuttosto, una forma di correlazione, di produttiva tensione tra l’interno dei salotti e l’esterno delle marce militari e dei tumulti, una dialettica che arricchisce la storia di spessore sociologico e di venature psicologiche. Il romanzo si apre con la partenza affannata di Béla Kun da Budapest. Kun, anima della Repubblica sovietica ungherese seguita al disfacimento dell’Impero Austro-Ungarico e al trattato punitivo del Trianon, porta con sé beni e gioielli requisiti ai nobili nei centotrentatre giorni di “terrore rosso”. Una catena d’oro pende dal braccio del diavolo comunista, si sfila e piomba nel bel mezzo del grande parco pubblico Vérmező. Un abitante del quartiere Krisztina la raccoglie. In questa splendida immagine letteraria abbiamo il ponte simbolico tra la filosofia tragica della Storia e il dipanarsi spicciolo e greve delle vicende umane, il privato decadente della famiglia Vizy, quotidianità che proprio nel rione Krisztina si colloca ed evolve fino alla notte risolutiva del massacro.
L’Illustrissima moglie assume Anna perché scontenta di Katica, la precedente cameriera. Occorre soffermarsi sui connotati morali di tale scontentezza. Katica ha una relazione con un marinaio e non dissimula la sua condotta “sfrontata”. Male, molto male. L’alta borghesia, sappiamo, è una classe che ruota sul cardine del decoro. Una cameriera deve soprattutto assecondare l’imperativo del risparmio, della sobrietà dei costumi. Deve brillare agli occhi degli altri, dei vicini, dei parenti, dei signori in visita. È necessario che sia economica, funzionale al ruolo richiesto, pronta a sacrificare qualunque desiderio eccentrico sull’altare di un falso, ipocrita disegno di superiore frugalità. Una serva non può che vestire, come una seconda pelle, i sentimenti, le abitudini, le usanze che le competono, che la rendono affidabile. Il portiere Ficsor, in odore di simpatie bolsceviche, consiglia alla gentildonna sua nipote, già in servizio presso altra casa, una famiglia ovviamente rispettabile, ma che potrà fare a meno, se ricompensata, dei suoi servigi. Kosztolányi fila con rara intelligenza letteraria il tempo dell’attesa, una sospensione gonfiata dai venti dell’immaginazione. L’Illustrissima non ottiene subito ciò che vuole. Anna si fa attendere, si sottrae alla presa, quando finalmente si presenta alla porta maschera il suo volto, sguscia via, delude, è refrattaria alle intese. Il duello si conclude con la capitolazione, con la stretta del laccio attorno al collo. È un autentico mercato di povere ragazze, segnate da una nascita sfortunata, un contesto di sfruttamento non troppo lontano dalle pratiche schiavistiche. Emblematica, in tal senso, la rassegna delle caratteristiche fisiche contenute nel libretto di lavoro. La nipote dell’ambiguo (ma lo è davvero o la paura della delazione è soltanto il prodotto delle paranoie controrivoluzionarie?) Fincsor, la giovane, illibata, irreprensibile Anna, ha viso tondo, sopracciglia bionde, ha la bocca regolare, non ha la barba, è vaccinata… Donna o animale da soma?
Questa gente semplice, che occupa il gradino più basso della società, ragiona per estremi. Possiedono molta più capacità d’immaginazione di quanta potremmo attribuirne loro. Non si accontentano di mezzi risultati. Vogliono diventare padroni, ma completamente padroni, oppure rimanere servi, ma completamente servi. O l’uno o l’altro. Il resto è commedia.
Le iniziali titubanze cedono il passo all’entusiasmo. Anna conquista l’algida, rinsecchita donna dell’alta società. Quanto è brava, questa ragazza di provincia, quanto è giudiziosa, precisa, aliena da vizi e vanità… Il suo nome corre sulle labbra di tutti. Preziosa come un uccello raro, Anna diviene oggetto di invidie nel circondario. Magari avercela in casa, magari godere della sua abilità nel rammendare, nel pulire, nell’acconciare alla perfezione la tavola e i letti… Kosztolányi, né estremista né conformista borghese, al pari del compassionevole dottor Moviszter, personaggio inattuale per eccellenza, raffigura in lei il precipitato di tutti gli incubi totalitari. Nel romanzo fremono i demoni dell’esistenzialismo (Essere e Tempo di Martin Heidegger vede la luce un anno dopo). Uno scellerato nipote dei Vizy, festaiolo, fannullone, incapace di addossarsi la minima responsabilità, seduce e mette incinta Anna. Con un intruglio la fa abortire. Niente, nemmeno una virgola viene allo scoperto, la vergogna copre il misfatto. Un umile spazzacamino, dirimpettaio dei Vizy, chiede Anna in sposa. L’Illustrissima, colei che svende le care memorie di una figlia morta in tenera età a ideale soprammobile, a tormento da rispolverare con il primo che le capita a tiro, piomba stavolta in stato d’isteria, pur di far recedere la ragazza dai suoi propositi favorevoli all’unione. Ah, che legame doppio e triplo, che tagliola castrante è il ricatto…
Nella motivazione della sentenza fu specificato che la corte riteneva la crudeltà un’aggravante, con la quale l’imputata aveva commesso il delitto, ma che aveva dovuto considerare come attenuanti la sua fedina penale pulita, la confessione contrita e la sua ignoranza che confinava con la stupidità….Il difensore e il procuratore presentarono ricorso togliendo la parola l’uno dalla bocca dell’altro. Ma a quel punto l’uditorio aveva già abbandonato la sala.
Visi cubisti, resti di marmellata futuristi: Kosztolányi coglie lo scompaginamento delle gerarchie valoriali, il collasso delle unità di misura universali, il rattrappirsi del vero e del giusto nella povertà ideologica di camere stagne. Se i “rossi” se ne sono andati con le loro incendiarie certezze, i reazionari in stile Druma impongono dogmi altrettanto terribili. L’orrore del nulla risuona nel processo finale. Anna poteva evitare il suo crimine? Perché sorge il male? La colpa è individuale o sociale? Cos’è la libertà? Anna Édes ritorce su di noi il peso di durissime riflessioni, ora che la giustizia viene ridotta da orrendi pifferai a banale campo di confronto tra guardie e ladri e la complessità è bandita dai ragionamenti. Kosztolányi ci dona una scrittura rapsodica, bellissima, modello di eleganza da conservare.