Sergio Romano, giornalista del Corriere della Sera, saggista, ambasciatore e professore di storia, è autore del saggio Morire di democrazia edito da Longanesi, un ottimo strumento per pensare a noi e alla nostra situazione, a quella del nostro stato e della nostra Europa, a quella che viviamo tutti i giorni, frutto di demagogia e populismo.
Qual è l’intento del suo ultimo libro?
Credo che l’intento sia quello di dimostrare il sistema democratico soffra, in questo periodo storico, di alcune patologie. Intendiamoci, non è mai stato perfetto, ma i limiti erano più facilmente arginabili. Ritengo invece che oggi il numero di fattori negativi che influenzano il sistema democratico sia oneroso e credo che la democrazia sia davvero malata.
Come si è arrivati alla situazione di “democrazia malata”?
I fattori sono numerosi. Innanzitutto c’è il fattore corruzione: intendiamoci, la corruzione è sempre esistita nei regimi democratici, ma aveva dei confini piuttosto limitati ed era in generale collegata con lo sviluppo positivo delle economie nazionali. Vi porto come esempio quello dell’inglese Samuel Pepys che fu il funzionario dell’Ammiragliato che contribuì alla costruzione della flotta britannica, e quindi allo sviluppo della Gran Bretagna come potenza marina. Non c’era nave che venisse costruita senza che lui avesse una percentuale, una provvigione, una tangente…ma costruì la flotta, lasciò qualcosa di importante per il suo Paese. Questo accadde anche nell’economia americana nel periodo 1800-1900, quando metropoli come Chicago sono amministrate da personaggi corrotti che tuttavia ne permettono lo sviluppo e la crescita. Oggi invece la corruzione è fine a se stessa, all’arricchimento della persona interessata. Oggi è cambiata la carriera politica, che tende ad essere simile ad una qualsiasi altra carriera: non si valuta più il risultato raggiunto, il merito dell’uomo, il bene comune, ma l’obiettivo è quello di arricchirsi, avere vantaggi personali.
Il secondo fattore che sta sconvolgendo la democrazia sono le nuove tecnologie. La democrazia era infatti fondata sul principio che il popolo fosse sovrano, ma la sovranità non si esercita tutti i giorni. La verifica dei poteri non può essere quotidiana, ma deve essere fatta nel momento delle elezioni, senza ovviamente dimenticare il potere dei mass media. Oggi, tuttavia, i cittadini votano tutti i giorni, ne hanno gli strumenti: e-mail, blog, siti web, partecipazione a programmi televisivi… l’intervento quotidiano è quantitativamente molto forte e ciò ha, come effetto, quello di contribuire alla creazione di movimenti populistici.
Dal suo libro emerge una triste verità. Non tutti i paesi dell’UE sono trattati allo stesso modo, c’è un’ingiustizia internazionale evidente, per quale motivo?
Per la verità non metto in discussione queste gerarchie. Ogni paese deve aspirare ad essere trattato nello stesso modo degli altri, ma che ci sia una gerarchia fra potenze nazionali è assolutamente normale. L’eguaglianza come ideale assoluto rende i rapporti meno realistici, concreti, veri. Se un paese è più grande, più operoso, con i conti in ordine, perché non deve pretendere i suoi diritti? Ovviamente un paese intelligente sa che il consenso è necessario e che non si possono imporre le proprie soluzioni, ma una gerarchia c’è sempre stata e sempre ci sarà.
E l’Italia in questo contesto?
L’Italia ha sempre gareggiato al di sotto delle proprie reali possibilità. Dovrebbe avere in realtà un ruolo più importante nella politica internazionale perché esistono molte condizioni favorevoli affinché ciò accada. Pensiamo al dinamismo della nostra economia in certe fasi storiche, o alla cultura, alla popolazione più numerosa in rapporto a quella di altri stati UE…insomma, l’Italia dovrebbe contare di più.
Stiamo per andare alle urne ed esercitare lo strumento democratico per eccellenza, il voto. A cosa serve? Nel suo libro si parla anche della poca utilità delle elezioni, perché i cittadini dovrebbero andare a votare ed avere la voglia di esercitare ancora questo diritto-dovere?
Sono sicuro che i cittadini abbiano tanta voglia di votare quanta ne avevano in passato. Esiste in ogni caso un problema di delusione, di disappunto del cittadino che si può esprimere con l’assenteismo o con il voto dato a movimenti di rottura.
Il voto funziona meno rispetto al passato perché la democrazia avviene all’interno di un determinato territorio: si vota per eleggere chi governerà dato territorio (Stato, Regione, Provincia…) e si vota nella presunzione che si sta dando il potere a qualcuno che è in grado di esercitarlo. Si stanno conferendo dei poteri a qualcuno che fa promesse che poi sarà in grado di mantenere… questo è l’assunto del voto. Il problema è che la classe politica attuale non è in grado di mantenere queste promesse, e tutto si fonda sulla menzogna. Gli stati hanno perduto sovranità, gli strumenti di governo per esercitare il potere sono sempre meno e l’uomo eletto non è in grado di portare avanti il suo compito. La democrazia, tuttavia, ha ancora una dimensione nazionale e si continua a votare credendo che il candidato possa effettivamente portare a termine quanto promesso: si tratta di un meccanismo terribile perché è inevitabile la delusione degli elettori. Si assiste così ad un progressivo decadimento della credibilità della classe politica.
Ce la caveremo?
Francamente non lo so, la situazione è abbastanza inedita e le previsioni quando si fanno corrispondono quasi sempre alle speranze. Ed è giusto continuare a sperare…
Fondamentalmente c’è un fattore che dovrebbe tranquillizzarci: il ‘900 ha fatto piazza pulita di tutte le ideologie messianiche quali nazismo, fascismo, comunismo…sono state smentite dai fatti. Il capitalismo no. Certo, il capitalismo produce disuguaglianza, ha molti lati negativi, ma a conti fatti l’intraprendere, il commerciare, il cercare di affermarsi sono delle regole umane che danno dei risultati. Si può dire che il capitalismo trova sempre una correzione ai propri limiti, e che queste correzioni non vengono decise dall’alto come nei totalitarismi, ma dalla massa: il capitalismo è come un alveare che si auto corregge, finendo per fare la cosa giusta. Da questo punto di vista, quindi, un po’di ottimismo è possibile.
Leggi anche la nostra recensione di “Morire di democrazia” di Sergio Romano