Il Premio Chiara Inediti, iniziativa collaterale del Premio Chiara dedicato alle raccolte di racconti, rappresenta ogni anno l’occasione per far emergere un nuovo talento della scrittura breve. A pochi giorni dal lancio dell’edizione 2016 del concorso abbiamo intervistato il vincitore della scorsa edizione: il giovane scrittore napoletano Salvatore Zeno. La sua raccolta di racconti “Chi tene ‘o mare” è stata pubblicata dall’editore varesino Macchione e l’autore le sta facendo varcare i confini della Lombardia per presentarla nella sua città di origine e non solo.
Quando si intervista un giovane autore è inevitabile chiedergli come sia nato il suo desiderio di scrivere…
Ho sempre avuto la passione per la scrittura, ma ovviamente non avevo idea che sarebbe arrivata ad aprirsi al pubblico in questo modo, attraverso un premio letterario. Ho sempre avuto la necessità di scrivere, perché quello che faccio per campare non mi basta. Io credo che qualsiasi forma d’arte venga praticata perché quello che vivi e che hai intorno non è abbastanza: allora cominci di creare dei mondi tuoi perché vuoi condividere qualcosa che hai dentro. In poche parole per campare faccio altro, per vivere scrivo.
Vivere davvero di scrittura non è per nulla semplice…
Io mi occupo di marketing digitale e comunicazione sul web. Vorrei abbandonare per dedicarmi totalmente alla scrittura, perché credo sia fondamentale fare ciò che si ama, altrimenti ci si pente. Purtroppo non è facile in un paese come il nostro e non solo. In una società evoluta al primo posto ci dovrebbe essere la cultura, invece prevale il consumismo eccessivo, l’egoismo, l’accumulo di denaro. Ci siamo piegati a delle logiche che non ci hanno aiutato a far crescere il paese.
Nei suoi racconti parla molto del bisogno di costruire una cultura positiva in zone come alcuni quartieri di Napoli, di cui si parla da troppo tempo come esempi di degrado.
Per risolvere i problemi non serve a nulla agire sugli adulti, bisogna lavorare sui bambini, instillare una cultura positiva al posto di quella della strada e far sì che abbandonino certi meccanismi in cui hanno sempre vissuto.Se lo stato non favorisce un ambiente in cui possano crescere con valori diversi, anche dopo aver finito la scuola, è normale che appena hanno l’occasione di guadagnare due soldi lo fanno, naturalmente in modo non lecito.
In effetti ho trovato che i suoi personaggi, per lo più giovani, sono imprigionati in una dimensione di difficoltà.
Ho puntato a raccontare di persone che piangono, ma che non si piangono addosso. I miei personaggi cercano di uscire dai problemi, anche se non lo si dice direttamente. Lo si comprende dal modo in cui si comportano e parlano.Questi ragazzi si trovano ad affrontare situazioni difficili e lo fanno accettandole perché solo così possono trasformarle in qualcosa che le fa crescere. Se si combatte non si può far altro che peggiorare. Puntare sulla gioventù dovrebbe essere la norma, ma di questi tempi le cose ovvie diventano impossibili. Il caso di una città come Napoli è emblematico: al posto di esaltare ciò che accade di buono c’è una bulimia della notizia negativa. Si insegue il soldo al posto di nutrire l’anima. La cultura è pazienza e tempo ed è l’esatto opposto della tendenza dominante oggi, dove tutto deve essere rapido ed effimero. A proposito di media si dice che il lettore o lo spettatore può scegliere, ma in una situazione come questa puoi solo ripiegare sul meno peggio. Viviamo perennemente su una torre di Babele e ciò che manca di più è il buonsenso.
Parafrasando il suo titolo che cosa non può capire “chi NON tene ‘o mare”?
Bisogna leggere il testo della canzone dei Pino Daniele a cui mi sono ispirato. Chi ha il mare può accorgersi di tutto perché ha l’infinito davanti a sé, ma in realtà è fesso e contento e non ha nulla. E’ un ricominciare e un andare avanti nonostante le difficoltà: hai qualcosa di immenso davanti, ma non puoi ottenerlo senza accettarne il lato oscuro. Trovo sai una filosofia vera e semplice e rappresenta ciò che ho messo nei miei racconti.
Quali sono i libri che ama di più?
Il mio libro preferito è un’opera di un antropologo britannico, Gregory Bateson, e si intitola “Dove gli angeli esitano”. E’ un dialogo tra lui e la figlia, che ne ha raccolto l’eredità, ed esplora il territorio ai confini della scienza, dove lo scienziato non può arrivare e che parte dal cuore l’essere umano. Lo trovo magnifico.
Come classici della letteratura invece amo in particolar modo “Padri e figli” di Turgenev e la prosa poetica de “Il grande Gatsby” di Scott Fitzgerald, che rileggo regolarmente ogni quattro anni.