Autore: Carlo Goldoni
Anno di prima rappresentazione: 1753
È mai possibile che un uomo resista ad una donna determinata a conquistarlo? Argomento da bar, senza dubbio, che però viene sviluppato in maniera formidabile da Goldoni nella celebre e divertente commedia La locandiera, forse la più nota del suo repertorio. Nella premessa, l’autore sostiene di aver scritto quest’opera per mettere in guardia gli uomini contro “le incantatrici Sirene”, che dopo averli sedotti, li maltrattano. Ma, ovviamente, sa benissimo che ogni avvertimento è vano, perché sì, al bar hanno ragione: resistere è impossibile, ovviamente premesso che la fanciulla in questione abbia un po’ di intelligenza e leggiadria.
Altrettanto ovviamente, nonostante le prudenti prese di distanze nella citata introduzione, è alla locandiera, l’avvenente, seducente, intelligente e intraprendente Mirandolina (la “locandiera” che dà il titolo alla commedia) che vanno le simpatie dell’autore, così come quelle del pubblico. Troppo ridicoli gli uomini che popolano la locanda fiorentina nella quale si svolge la scena, i quali tuttavia con le loro fisse e con la loro presunzione non mancano di procurare occasioni di risata. C’è un Marchese decaduto convinto che per far capitolare una donna basti il suo titolo, la sua reputazione; c’è un Conte arricchito che punta tutto su regali sontuosi; c’è, infine, un “bisbetico domato”, il Cavaliere convinto che le donne non siano altro che un pericolo dal quale stare alla larga.
Torniamo al bar: sentiamo dire che le donne vogliono solo i ricchi oppure che corrono dietro a chi le rifiuta. Mirandolina civetta con gli uni e con gli altri: dai primi (il Conte) si aspetta regali, dai secondi (il Cavaliere) il gusto della rivalsa.
Quello che affascina, nella commedia, è che l’amore è vissuto dalla protagonista come un grande gioco, lontanissimo dalle grandi e un po’ stucchevoli passioni che popolano la letteratura di ogni tempo. Ci divertono gli intrighi, le astuzie, i modi in cui la donna finge di assecondare le convinzioni del Cavaliere per poi poterlo manovrare a suo piacimento… Insomma, Mirandolina è tutto tranne che romantica e ci troviamo a leggere un manuale di seduzione messo in scena, con tanto di “come non si deve fare” (impersonato da due attricette che provano invano ad emulare la padrona del locale nel sedurre il benestante Cavaliere ed il ricco Conte). Del resto, per Mirandolina sedurre è un modo di accrescere il giro d’affari della sua locanda, che in tal modo è sempre piena di spasimanti inclini a spendere, e che per il resto sa gestire in modo più che egregio.
Insomma, tutta la trama si basa su rovesciamenti dei luoghi comuni: donne che “portano i pantaloni” e che sono molto più indipendenti di quanto i maschietti vorrebbero; Cavalieri che considerano l’unica risoluzione “da uomini” quella di fuggire; cascamorti in totale balia dei voleri femminei; attori che non sanno recitare e non attori che recitano benissimo… Insomma, nulla è come “dovrebbe”.
Tutto un grande gioco? Eppure, il sentimento è qualcosa di troppo grande per essere dominato: Mirandolina come un incauto apprendista stregone evoca forze che non sa controllare. Goldoni è troppo navigato per non sapere che nessuno può davvero controllare certi giochi.
Le chiacchiere da bar restino al bar. Qui abbiamo la letteratura.