In contemporanea con l’uscita del suo romanzo d’esordio che l’ha resa una delle autrici più contese d’Europa, Melanie Raabe, classe 1981, arriva in Italia per presentare il suo romanzo, La trappola, edito da Garzanti. L’abbiamo intervistata per voi con l’aiuto dell’interprete Francesca Ilardi.
Chi è Melanie Raabe?
Melanie Raabe è una blogger e una giornalista e, da qualche anno, una scrittrice. Questo in realtà sarebbe il mio quinto libro, anche se gli altri quattro non sono stati stampati, in quanto non sono piaciuti agli editori.
Di che genere erano i libri che aveva cercato di pubblicare?
Due erano puramente letterari, uno era un’altro psicothriller e l’ultimo era uno strano miscuglio di qualcosa che nessuno, nemmeno io ad onor del vero, saprebbe dire cosa. Non che fosse brutto, alla casa editrice era piaciuto abbastanza ma non abbastanza da doverlo pubblicare.
Nemmeno adesso?
No, ma è stata una mia scelta. Non ho il coraggio di tirarli fuori dal cassetto e lavorarci per renderli pubblicabili. Quei libri mi hanno dato tanto e rileggendoli noto che, mano a mano che li ho scritti, sono un po’ migliorata. Ma se tornassi a lavorare su questi libri non sarebbe come fare dei passi in dietro, per me? Voglio proseguire non indietreggiare.
Quando e come nasce l’idea per questo romanzo?
Tutto parte da un’idea di base che mi giunse, un giorno, per caso. Ero a cena con una mia amica e stavamo discutendo di arte e di come alcuni artisti abbiano influenzato la nostra vita. Poi la mia amica, ha iniziato a raccontarmi di una scrittrice che aveva vissuto per molti anni chiusa in casa. In quel momento qualcosa in me è scattato e le ho detto “Marie, fermati per favore, ho bisogno di prendere appunti”. Tornata a casa ho iniziato a scrivere di Linda e intanto iniziavo a farmi delle domande. Chi è? Perchè vive reclusa in casa? Cosa le è successo? Come può fare entrare qualcuno nella sua casa? E così la storia ha preso forma.
Quanto ha impiegato a scrivere questo romanzo?
Circa sei mesi. Una volta che la casa editrice ha acquistato i diritti del mio romanzo, che all’epoca era incompiuto poiché ne avevo scritto circa venti pagine, ho ideato una struttura e poi in sei mesi sono riuscita a scrivere tutto. Non ho avuto paura di non farcela, sono molto precisa nel rispettare le scadendze. Tuttavia scrivere la storia nella storia, overo il romanzo di Linda, quello è stato estremamente difficile perchè ho dovuto immedesimarmi in un altra persona e scrivere come avrebbe scritto quella persona.
Durante tutta la narrazione, lei ribalta in continuazione la situazione, rende sicuri o dubbiosi i personaggi, usa numerosi flashback. È stata una cosa di grande efficacia, ma perchè lo ha fatto?
Sono felice di sapere che questa tecnica sia stata efficace come dici. L’idea è nata da una domanda che mi ponevo mentre scrivevo il personaggio di Linda ossia, è davvero una persona pazza o solo una persona informata dei fatti che non sa come trovare le prove? Riuscirò a far capitolare il colpevole oppure no? La mia idea era quella di sospendere, in alcuni punti, la narrazione per creare una certa quantità di suspance e mi sono divertita a fare avanti e indietro e a cambiare la direzione della storia. Io penso che ogni scrittore dovrebbe scrivere quello che gli piacerebbe scrivere, non quello che il pubblico si aspetta altrimenti ci troviamo con personaggi preconfezionati e privi di originalità. Almeno credo.
Parliamo di Lenzen. Non sembra i tipico cattivo ma solo una persona che “ha sbagliato” e ha provato per tutta la sua vita a migliorare. Lei cosa pensa? Crede che lui non potesse fare proprio nulla per redimersi?
Questa è proprio una bellissima domanda, ma è molto filosofica e non ho proprio una risposta non perchè non ci abbia mai pensato ma perchè nemmeno io saprei cosa dire. Il fatto è che quando ho ideato il personaggio di Linda, volevo creare un personaggio complesso e sfaccettato e la sola scelta sensata era opporle un personaggio altrettanto complesso e altrettanto sfaccettato. Non credo nel bene assoluto o nel male assoluto, per me non ha senso che un personaggio sia tutto bianco o tutto nero. È troppo fantasiosa come cosa e, lasciatemelo dire, troppo scontata. Quanto a Lenzen potrei dirti che alla fine lui è un calcolatore, indossa una maschera. Se davvero avesse voluto redimersi da quello che aveva fatto avrebbe dovuto smascherarsi da solo invece di cercare di salvare la sua reputazione. Ma nemmeno questa è una risposta. Penso che ognuno di noi può dare la rispsosta che crede.
Linda, scrittrice di successo, scrive senza uscire mai di casa. Lei pensa che sia possibile scrivere senza conoscere il mondo?
Assolutamente no. Penso sia impossibile scrivere senza aver visto, camminato o interagito con qualcuno. Penso che uno scrittore possa scrivere perchè ha vissuto la sua vita.
Eppure in Italia c’è stato un grande scrittore, Emilio Salgari, che ha scritto numerosi romanzi e parlato con precisione di luoghi esotici senza mai essere uscito dal suo studio.
Allora riformulo la mia risposta. Io non potrei mai scrivere se vivessi reclusa in casa. Ho bisogno della gente, ho bisogno del mondo, ho bisogno di stimoli. Anche l’idea per questo romanzo è nata perchè mi sono confrontata con il mondo.
Tornando sui personaggi, crede che potremmo definire la sorella di Linda il vero cattivo? Appare un tipo di persona con la sorella e con Lenzen per poi dimostrarsi fredda e calcolatrice, cosa ne pensa?
Sì, un po’ è così. Nel mio intento non era quella di creare un serial killer sociopatico. Volevo che l’assassinio avvenisse per ragioni chiare e comprensibili. Non volevo creare un racconto monodirezionale. Anna è la cattiva nascosta che desta emozioni forti.
Lei è stata spesso associata al famoso scrittore Wolf Dorne. Pensa ci sia del vero nel paragone?
Sono rimasta molto sbalordita da questo paragone fatto dalla stampa estera e mi sorprende che anche in Italia la si pensi così. Insomma Wolf Dorne è Wolf Dorne, è un mito, è troppo irraggiungibile anche per me. Io sono solo Melanie Raabe e voglio, con i miei scritti, essere la migliore versione di Melanie Raabe, come Wolf Dorne è la migliore versione di se stesso. È questo quello che conta. Anche se sono molto lusingata dal paragone certo.