A tu per tu con … Stefano Bartezzaghi

Stefano Bartezzaghi, semiologo ed enigmista milanese, noto tra l’altro per le rubriche pubblicate su La Repubblica, ”Lessico e Nuvole”, “Lapsus”, “Fuori di Testo”, insegna allo IULM – Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano. Lo abbiamo incontrato a Ragusa in occasione della presentazione del libro “Parole in gioco”. L’autore, figlio del famoso enigmista Pietro Bartezzaghi, è da sempre appassionato di parole. Al nutrito pubblico di A tutto volume ha parlato della trasversalità della diffusione dei giochi di parole. Le combinazioni linguistiche sono sempre esistite, le troviamo in testi di varia natura, da quelli aulici ad altri più popolari. La novità sorprendente è che partendo proprio dalla classicità, questi giochi di parole si possono attingere e riadattare alla contemporaneità in modo proficuo e divertente.

Nella presentazione del suo libro ha fatto riferimento alla differenza tra l’enigma e l’indovinello, ce ne vuole parlare?

Enigma e indovinello, sono due forme che sembrano facili da distinguere ma che possono poi un po’ confondere, l’enigma sarebbe una cosa solenne e l’indovinello invece è più quotidiana. Le forme di nascondimento possono essere più o meno le stesse e oggi sono due forme di gioco, una un po’ più poetica e l’altra più di tipo epigrammatico, entrambi contengono un ricordo di una sfida che nei tempi mitici antichi era una sfida potenzialmente mortale. Aristotele racconta che Omero sarebbe morto per il dispiacere di non aver risolto un indovinello anche abbastanza banale fattogli da dei pescatori, per fortuna non risolvere un enigma non ha più quella potenza lì, però un po’ di questa memoria è ancora rimasta.

In che modo i social media influenzano la scrittura?

Quando è stato inventato il telegrafo ci fu una grossa preoccupazione per la diffusione della scrittura telegrafica. Dicevano che avremmo scritto come nei telegrammi che per risparmiare spazio e per non dover pagare saltavano le congiunzioni, gli articoli ma non è stato così, uno scriveva in un modo nel telegramma e in un modo diverso nelle lettere. Per chi si ricorda il mondo prima dei cosiddetti new media, quindi anche risalendo alle e-mail, agli sms, alle chat, i forum della prima internet, il fenomeno è che c’è la scrittura! Prima non c’era più la scrittura, le persone non scrivevano fuori dalla scuola, fuori dagli obblighi professionali ovviamente per i giornalisti, i notai e gli impiegati. Non c’era più il livello della scrittura nelle relazioni personali e c’era anche una grossa nostalgia per esempio per la lettera d’amore. Ricordo che negli anni ’90 uscì un romanzo di Cathleen Shine, molto bello intitolato “La lettera d’amore”, perché la lettera d’amore era un oggetto desueto. E invece questi media hanno riportato la scrittura, certo viene praticata in un modo diverso, perché è una trascrizione del parlato. Noi molto spesso negli sms scriviamo come avremmo detto, e infatti abbiamo anche inventato emoticon e altri modi, per sostituire quelle cose che nel contatto personale vengono date dai toni di voce, dai gesti. Innanzitutto per far capire esplicitamente quanto siamo ironici, che nella scrittura invece può capitare che uno dica una cosa ironicamente e invece viene presa sul serio e quindi i problemi relazionali. Quello che si registra casomai con interesse è questo ritorno della scrittura. Il resto è dovuto, penso ad una forte semplificazione a chi chiunque operi, scriva, parli nei mass media è portato per raggiungere più possibili, però a questo punto, queste persone, i media stessi perdano quella funzione storica che hanno avuto di allargamento delle proprie doti espressive, se tutti parlano per farsi capire anche dall’ultimo dei parlanti, dal punto di vista della competenza, allora tutti si appiattiranno su quel livello.

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