Al Salone Internazionale del Libro di Torino abbiamo ospitato al nostro stand Flavio Pagano, scrittore e giornalista direttore del quotidiano online “NapoliStyle.it“, con cui abbiamo parlato del suo nuovo romanzo Senza paura. Il libro, uscito nel dicembre dello scorso anno, si ispira alla tragica morte di Ciro Esposito, tifoso napoletano ucciso durante la finale della Coppa Italia; per Flavio Pagano è stata l’occasione per parlare di tifoserie violente e scontri tra ultrà, ma anche per indagare le dinamiche di una famiglia coinvolta in queste vicende. Ecco cosa ci ha raccontato.
Qual era il suo intento quando ha deciso di scrivere un romanzo ispirato alla morte di Ciro Esposito?
Io cercavo uno scenario molto forte e trasversale nella società per mettere alla prova il sistema della famiglia e ho scelto il calcio perché alcuni drammatici episodi di cronaca mi hanno aiutato in questa scelta. Quello che mi ha maggiormente colpito, per la sua tragicità e per il modo in cui la città di Napoli l’ha vissuto, è stato quello di Ciro Esposito, il tifoso napoletano a cui hanno sparato e che poi è morto prima della finale della coppa Italia. Cercavo uno scenario drammatico per fare un test dello stress emotivo e sentimentale a una famiglia in cui il calcio è molto presente, visto che il padre è un ultrà.
Secondo lei è giusto dire che quello che provano questi tifosi nei confronti della loro squadra sia un amore malato?
Secondo me è anche qualcosa di più: esiste un tifo passionale, legittimo e positivo e poi esistono livelli superiori che io paragono, nelle loro massime espressioni, al fondamentalismo religioso orientale. In questi casi, il calcio viene vissuto come una fede malata, intransigente e violenta che può portare a uccidere. Naturalmente c’è un enorme vuoto interiore e spirituale in chi arriva a uscire con una pistola in tasca per andare allo stadio.
Quindi secondo lei è principalmente questo vuoti interiore che li spinge a trasformarsi così radicalmente?
È stato detto anche dei ragazzi che partono dall’Europa per unirsi ad associazioni terroristiche; si dice che la nostra sia una società in crisi di valori morali ed ideali e credo che sia un’ipotesi credibile, non si dà più valore a niente quindi si dà grande importanza a cose come il calcio, che tra l’altro dà grande visibilità.
Può essere una sorta di compensazione? Ci si butta anima e corpo sul calcio per non pensare ai problemi della vita di tutti i giorni?
Certo, è una dinamica che si vede anche in molte coppie in crisi, in cui si arriva all’omicidio o ad agguati con acido per esempio, c’è sempre uno sfondo di lavoro perduto, crisi generale e depressione; Antonio comunque è un ultrà ancora umano, anche se alla fine lascia il figlio in ospedale per andare a vedere la partita.
In questi casi come ci si regola con la stesura del romanzo? Fino a che punto si può giocare con la fantasia quando sullo sfondo ci sono fatti realmente accaduti?
Ci tengo a sottolineare che ho voluto reinventare completamente la vicenda reale,per entrare in punta di piedi nella vita e nelle sofferenze di una famiglia reale. Ho voluto costruire la storia in maniera che, ad un certo punto, si arrivasse al momento della verità durante lo scontro tra i tifosi a Roma, per fare in modo che questa distanza, tra padre e figlio, il non capirsi e non parlarsi si ricomponesse proprio nel momento della lotta.
Secondo lei è vero che, come si sente dire, queste persone sarebbero comunque violente e usano il calcio solo come un pretesto e per guadagnare potere sulle persone (nel libro si dice che la partita non si sarebbe giocata se gli ultrà avessero deciso di non farla disputare)?
Sì, sicuramente, in queste situazioni credo che una cosa valga l’altra. Sicuramente c’entrano molto anche le dinamiche di potere, anche se in quel caso particolare l’impulso a non giocare la partita sembrò quasi umano, dato che poteva essere morto un ragazzo. Questo episodio particolare è stato anche il pretesto per studiare i media e le loro reazioni: all’inizio era apparsa molto più importante non tanto la notizia del ferimento di questo ragazzo, ma l’immagine dell’ultrà arrampicato sulla rete con la maglietta con scritto “Speziale libero”. Bisogna anche sottolineare che, alla fine, la partita si giocò perché agli ultrà era stata data un’informazione falsa, cioè che il tifoso era fuori pericolo anche se non era vero, proprio com’è riportato nel libro.
Secondo lei quale potrebbe essere la soluzione per questi tifosi, ma soprattutto a chi spetta trovarla?
Per un periodo era addirittura stato detto che c’erano società di calcio sotto scacco degli ultrà e comunque ci sono squadre che sono storicamente più sensibili di altre al parere di questa frangia di tifosi, come ad esempio il Napoli, la Roma e anche il Milan. Non credo sia solo un problema delle squadre, perché ci sono anche tanti altri problemi sulla sicurezza e la mancanza di piani preventivi per arginare questi tifosi, come è successo a Roma quando i tifosi del Feyenoord sono potuti arrivare in centro e devastare la città. Margaret Thatcher arrivò a dare ergastoli ai tifosi violenti e molte squadre inglesi sono state escluse dalle coppe proprio a causa delle violenze dei propri tifosi. All’inizio non servono soluzioni natura sociologica, come cercare di rieducare i tifosi, ma solamente soluzioni dure e d’impatto.