L’ElzeMìro – Fablìole-Il fotografo dei morti

NIEces per Fabliole

Mandriolìno ha paura del piano terreno. Che è così a terra e terra-terra e pieno di terra sotto terra e… di quanti morti è composta la terra – Mandriolìno si domanda e ragiona – la terra che preme per moto contrario all’in su, come al cimitero. Per uscire di casa, una volta sceso a quel livello in ascensore dal decimo piano, percorre d’un fiato il corridoio fino all’orizzonte del portone in alluminio del condominio che, è la sua impressione, chiude un di qua dall’al di là della vasta area verde – per carità, sopra, verde lo è – ma con alberi posti tuttavia dall’immaginazione di Mandriolino come come… come in un cimitero di quelli che si vedono nei film americani… come un presagio. Mandriolino non ama i cimiteri; ma ci è stato, per la sepoltura di nonnino-caro – la prossima statisticamente sarà quella della nonnina-vedova  –. Ce n’è uno di cimitero e non lontano dal condominio; la strada per arrivarci ne costeggia le mura – tutti così i cimiteri nostrani – e dei cimiteri la luce ricorda a Mandriolìno quella delle cartoline, ogni anno sempre le stesse cotte dal sole, fuori dall’alimentari-tabacchi di San Còsimo a Bacìo, un borgo di pietra dove la familia-cara si ferma a fare un po’ di spesa sulla strada che la porta ogni anno al mare d’estate. Anche se in apparenza i morti sono ben rinserrati, mescolati, frullati nella terra o, chissà perché, cementati in quella specie di scatole o librerie costruite nel muro di cinta, Mandriolino non è sicuro che qualcosa di loro, dei defunti, in una confusione di pazienti e insofferenti alla reclusione, non stia lì a veleggiare di ronda tra le tombe, quando la sera si accendono a centinaia i fiochi fuochi finti dei lumini arancioni – luci votive ha detto che si chiamano babbino-caro senza precisare che cosa votano – di quella città sepolta e murata come un comune medievale. Perché mai una muraglia e tutti quei semafori fissi sull’arancione, è la domanda che si fa Mandriolino.

Mandriolino, da mandriòl o Caetonia aurata, bel coleottero verde dorato, vegetariano e con la furba abilità di tanatòsi o morte apparente, strategia difensiva da eventuali predatori. Mandriolino è capace di tanatòsi prolungate, cioè di sonni istantanei e prolungati in qualunque contesto sgradevole o situazione paurosa, al cinema per esempio o a teatro, dove coi babbini-cari è spesso costretto : dopo il piano terreno del condominio e quasi come un cimitero il teatro soprattutto mette a Mandriolino il più panico dei timori. È babbbino-caro, entomologo – dottore in insetti alla facoltà di agraria – a chiamarlo mandriolino: per questa sua notevole destrezza nell’affondare nel piombo di un sonno catafratto. Benché se ne siano nel tempo abituati capita ancora che mammina e babbino-cari di quei sonni repentini si spaventino, ché il loro mandriolino-caro talvolta sembra proprio stecchito. Mandriolino peraltro di norma, in istato di veglia possiede pure la rara abilità di apparire in una stanza più che di entrarvi, quasi vi arrivasse in volo nascosto – stealthy – e per natura parla pochissimo, meno dello stretto indispensabile, e nei giochi, sempre solitari, serba il silenzio quasi quei giochi fossero un’attività monacale, un ora et labora per piccini. Gli altri bambini del resto, Mandriolìno li ha in uggia, fossero quasi un perspicace memento mori… per continuare col latinorum.

Sa chi abita al piano terreno Mandriolino: un fotografo, ed è noto come fotografo di morti. Morti definitivi. Non che colui ne faccia mistero, e spesso il suo è un lavoro notturno. Mandriolino ci ha parlato e sa. Il fotografo va a scattare le immagini di ogni tipo di morto, di suicidi, di schiantati in un fosso – gli ha raccontato con divertito distacco – di sparsi intorno a un incidente aereo, di assassinati semplici in ambito familiare o complessi per regolamenti di conti, ovvero di uccisi in auto in tre o quattro o altrove, sulla porta di casa e con la borsa della spesa appresso con gran spreco di arance rotolate fuori dal sacco… Mandriolino ha riflettuto a lungo sulla indifferenza dei dettagli in una azione, sul loro avverarsi per moto proprio e straniante… uno casca morto ma le arance del suo sacchetto improvvisano sul marciapiede un numero da circo che ha a che vedere solo con la loro forma ineluttabile di sfere. Ha pensato anche se babbino-caro prenderebbe la decisione di mietere la mammina-cara e lui medesimo soffocando lei nel sonno e lanciando lui dal loro terrazzo del diecesimo piano per vedere se, come la Cateonia aurata, voli davvero. Ma il rassicurante esito della sua riflessione è che no, babbino-caro ama troppo i suoi insetti, che sono Mandriolìno e mammina-cara, per fare loro alcun male.

Il fotografo di morti lavora per la polizia e per certi giornali, e fotografare i morti è una specialità missionaria, quella di immortalare – dice – persone che sfumerebbero altrimenti dal quadro del reale per la precisione con cui la Parca  – traduce Mandriolino da appassionato lettore di miti leggende e saghe – attende con la sua lama a mezz’aria l’istante in cui tagliare via il filo del presente all’incauto che corre, corre con il suo suv dritto dritto dritto e corre corre e zac. Esiste per ciò un tempo, modo indicativo, che Mandriolìno chiama futuro prescritto in virtù del quale si perde la facoltà di presentarsi allo specchio ad ogni risveglio, e resta se mai quella di abitare per un tempo variabile la memoria d’altri.

Mandriolino, figlio-caro di uno scienziato, forse per le sue orecchie a sventola e la statura eccessiva per l’età rivela di sé il filosofo. Riflette, s’è capito, su tutto e soprattutto sulle macchine fotografiche, elettroniche o a pellicola, nella collezione del fotografo. Macchine mangia luce – come i buchi neri o i vampiri ha capito Mandriolino – che digeriscono il mondo di fuori; le prime lo trasformano in algebre senza altra sostanza che sé stesse. Le macchina a pellicola procedono invece a un’alchimia dal solido che si può toccare al solido  che si può vedere, ma solo sulla carta: quindi toccare sotto altra forma; ovvero, come si strappano gli affreschi dal fondo dei muri per salvarli così con la pellicola si strappano gli oggetti e le persone dal loro sfondo e li si riporta su un foglio di carta. Si tratta di un altro mondo in pieno. In questo senso Mandriolino ha capito benissimo la parola, il verbo immortalare. Così quando i pompieri hanno trovati i vecchi signori Grandoni del settimo piano, molto vecchi, più del dovuto, ai quali Mandriolino portava su la spesa volentieri in cambio di qualche cioccolatino o anche di niente,  tutti vestiti per benino e addormentati dal gas e in posa sul loro divano, davanti alla tele accesa su un lunghissimo film romantico – i ponti di madison county – Mandriolìno ha voluto vederli. Così che è scivolato, come sua abitudine all’ombra del fotografo, e mentre questi tra pompieri e polizia immortalava la scena, lui si è afflosciato di colpo sul pavimento del pianerottolo e si è addormentato. Più tardi tra mammina-cara e babbino-caro si è svegliato.

Schermata 2017-05-09 alle 10.56.35In apertura Nieces di Zoey Frank

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

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