Titolo: Il mio paradiso è deserto
Editore: Rizzoli
Pagine: 282
Data di Pubblicazione: 2013
Prezzo: €17,00
Marta Bonifazi ha ventidue anni. La sua è una famiglia di arricchiti, potenti e piuttosto volgari, dediti ad affari non del tutto onesti. Il padre Attilio Bonifazi, re dell’immondizia, è conosciuto anche come l’ottavo re di Roma; la madre Luisa è una bella donna, ma infantile e problematica; il fratello Pietro, laureato ad Oxford, ha successo in ogni ramo della vita. Marta, invece, è obesa, violenta, arrabbiata, frustrata: urla, insulta, incendia e addirittura investe un ragazzo. Una pazza, la pecora nera della famiglia: unico appiglio l’amico Lorenzo, dolce e remissivo, che le vuole bene nonostante i suoi scatti d’ira e di follia.
Ma quando la bella bimba bionda che adorava il papà si è trasformata in questa ragazzona furiosa ed infelice? Quando si rende conto che il palazzo dorato nel quale è cresciuta è fondato su menzogne e disonestà e che il padre non è l’eroe senza paura idealizzato dalla figlia. “Sola e sfiduciata, non riusciva a vedere un futuro, sebbene alla sua età tutto fosse futuro, promesse, incontri, nonostante tutto questo, insomma, lei non aveva aspettativa, né apprensione, né fiducia, le pareva tutto già compiuto” (pag. 34). Ma questo padre, Attilio, è davvero un uomo senza morale capace di padroneggiare ogni situazione? Non sempre le cose sono come sembrano: spesso la verità si rivela inaspettata e sconvolgente.
La famiglia Bonifazi vive uno sfacelo affettivo nascosto dietro alla ricchezza, camuffato da foto ricordo ritoccate con photoshop. Marta è la persona che, con la sua furia, esprime tutto il non detto, tutto il malessere, come spesso capita alle figlie cresciute in famiglie malsane.
Un romanzo coraggioso che parla della mediocrità di una famiglia, ma anche della corruzione e dell’assenza di valori del nostro Paese. La scrittura di Teresa Ciabatti rivela i pensieri nel loro integralismo, nella loro pulsione primordiale. Il ritmo è scanzonato, a tratti comico, ma l’autrice ha ben chiaro come in ciascuno di noi possa emergere una dose non indifferente di furia sterminatrice.
Protagonista della narrazione, insieme alla rabbia, è la nostalgia struggente verso qualcosa che si è perduto ma che, a ben guardare, forse non si è mai posseduto: “Già a nove anni, quando ancora era una ragazzina magra e bionda, quando montava Roxy, il suo amatissimo pony, quando l’armadio era pieno di vestiti come quello disegnato da Armani apposta per lei, già allora lei non era felice” (pag. 28). Un confronto continuo tra la propria visione, intima, reale, tragica e la versione di facciata, borghese, conformista e falsa che la famiglia ha tentato di tenere in piedi. Nessun conforto per Marta, se non un po’ di piacere e di brivido dato dal tormentare ed insultare tutti, dall’appiccare un incendio, dall’investire un ragazzo: tanta cattiveria non può che commuoverci.