A tu per tu con…Giorgia Tribuiani

Titolo: Blu

Dopo averci stupito con l’uscita di Blu non potevamo non fare qualche domanda alla sua geniale scrittrice, Giorgia Tribuiani. L’Ha intervistata per voi lettori Gabriele Scandolaro

 

  1. Perché proprio “Blu” come titolo?

Blu è il soprannome della protagonista Ginevra, quello con cui viene chiamata “quando è buona”.

L’idea mi venne a una festa di compleanno: seduta accanto a me c’era una donna che raccontava di quanto la figlia ridesse tutte le volte che qualcuno, in casa, pronunciava la parola “blu”, e di come quindi l’avessero soprannominata Blu. Proprio mentre la donna parlava, tuttavia, la bambina cominciò a correre, a fare piroette nella sala dove si teneva la festa. “Blu! – la sgridò allora la madre – Blu, torna subito qui!”

Tornando a casa pensai che presto quel nome non sarebbe più stato associato al divertimento e alla risata, e che non esiste nome o immagine o ideale che non si possa corrompere nel contatto con la realtà.

 

  1. Quando e come è nato il libro?

Qualche tempo dopo l’incontro con la piccola Blu, mi capitò tra le mani una raccolta di racconti di Giulio Mozzi, Il male naturale. Leggendolo rimasi particolarmente colpita dal modo in cui Mozzi sapeva parlare delle proprie ossessioni, trasfigurarle, e pensai che anche a me sarebbe piaciuto fare lo stesso con la mia scrittura: decisi allora che avrei parlato di qualcosa che avevo particolarmente a cuore, ovvero il disturbo ossessivo-compulsivo.

L’immagine di questa bambina incapace di difendere la purezza era ormai molto concreta nella mia mente: la vidi adolescente e scelsi di farne la mia protagonista.

 

  1. Ginevra: perché scegliere un personaggio tanto complesso come protagonista?

Non riesco a immaginare un’adolescente con il disturbo ossessivo-compulsivo meno complessa di lei, non se per raccontarla devo essere nella sua mente come ho scelto di fare con il mio romanzo.

Sai, vista da fuori, probabilmente, Ginevra-Blu è una ragazza come tante altre: un’adolescente che desidera l’attenzione dei propri genitori e al contempo la respinge, che ha una forte passione per l’arte, che ha paura di deludere le persone accanto a sé e non riesce a lasciare il suo primo ragazzo: quando però entriamo nella testa di qualcuno è difficile non trovarci di fronte a una grande complessità.

 

  1. L’amore al contrario. Perché Ginevra si tortura in una relazione che odia?

Restare in relazioni distruttive, o comunque non costruttive, è qualcosa che accade non di rado: per ossessione, o perché comunque certe relazioni, mentre tolgono qualcosa, appagano altri bisogni. Nel caso di Roberto, il ragazzo di Blu, siamo di fronte a una relazione senza amore che però dà alla protagonista sicurezza. Dora, invece, sicuramente più amata (o più desiderata), provoca in Blu una grande sofferenza ma incarna anche la passione per l’arte; rappresenta la possibilità di non vivere più nel dolore gratuito ma di trasfigurarlo e dargli una via d’uscita attraverso la performance art.

 

  1. Perché parlare delle ossessioni?

Mi interessava raccontare il disturbo ossessivo-compulsivo “dal di dentro”. Spesso questa condizione è rappresentata nelle opere letterarie e cinematografiche tramite i buffi tic e le buffe manie del soggetto affetto dal disturbo: vediamo questi personaggi lavarsi le mani cento volte al giorno, evitare le linee tra le mattonelle ecc., però raramente ci si sofferma sul malessere che l’ossessione provoca e che costringe alla compulsione. Il disturbo ossessivo-compulsivo è legato al controllo: all’impossibilità di assicurarsi che non succeda nulla di male a noi e alle persone che amiamo. Volevo dare una voce a tutto questo.

Inoltre anche l’arte e la scrittura (almeno per quanto mi riguarda) trovano la propria genesi nell’ossessione: mi interessava molto raccontare questo collegamento.

 

  1. Il “tempo” nel romanzo ha una forma quasi liquida mescolando passato, presente e pensiero. Come mai questa scelta narrativa peculiare?

Parlavamo delle ossessioni di chi soffre del disturbo ossessivo-compulsivo: la loro particolarità è di presentarsi come “pensieri intrusivi”, immaginazioni terribili che interrompono i normali pensieri della giornata. Ho voluto allora ricreare questa dinamica: la voce del disturbo (che nel mio romanzo è a tutti gli effetti il narratore) ripropone continuamente a Blu colpe che arrivano dal passato, perfino dalla sua più tenera infanzia, e le chiede di volta in volta di scontarle, di espiarle, di tornare attraverso il dolore alla (momentanea) purezza.

 

  1. Come ti sei avvicinata alla scrittura?

Credo di scrivere da sempre: ho cominciato da bambina e non ho mai smesso di farlo. A cambiare, però, è stata la consapevolezza. A sedici anni, con Misery e Carrie di Stephen King sul comodino, ho capito che avrei voluto fare la scrittrice – tuttora è molto dolce rileggere i diari di quei tempi – e ho iniziato a studiare e a scrivere tutti i giorni mille parole al giorno; verso i ventiquattro ho compreso “di cosa” avrei voluto scrivere; poco prima dei trenta, infine, anche grazie alla mia frequentazione della maieutica Bottega di narrazione, dove adesso lavoro come docente, mi sono fatta un’idea di cosa significasse la scrittura per me e ho avuto una cognizione molto più precisa di quale fosse il mio immaginario, di quale fosse la mia voce.

 

  1. Quali autori pensi che ti abbiamo influenzato o consiglieresti?

Dal punto di vista dei contenuti sono molto legata ai romanzi di Dostoevskij, in particolare Memorie dal sottosuolo e I fratelli Karamazov, a Solaris di Stanislaw Lem, che trovo il più brillante romanzo mai scritto sul tema dell’incomunicabilità, e a molte delle storie di David Foster Wallace (cito un racconto, Caro vecchio neon, e un romanzo, Infinite Jest); tra gli italiani devo invece moltissimo a Giulio Mozzi, per il già citato Il male naturale, e al mio fumettista preferito, Gipi, con Unastoria e Momenti straordinari con applausi finti.

Per la lingua, invece, l’autore che più mi ha influenzata è Thomas Bernhard, soprattutto con Il soccombente.

 

  1. Nel libro l’arte assume quasi una valenza salvifica (Blu disegna, la perfomance), mi chiedevo che rapporto hai tu con l’Arte.

L’Arte, intesa nel senso più ampio del termine, è ciò che mi permette di “guardare” meglio le cose e di dar loro una forma. Questo significa tantissime cose: può aiutarmi a “fermare” qualcosa che sfugge, come un ricordo, ma soprattutto può permettermi di prendere il dolore, la fragilità e tutti i miei mostri e provare trasformarli in bellezza – o almeno in qualcosa che sia guardabile, approcciabile, e non più gratuito. In questo ha in sé qualcosa di salvifico, o quantomeno di lenitivo.

 

  1. Cambieresti qualcosa della storia di Blu?

Dopo tanto lavoro su questi temi e sulla lingua credo che l’immaginazione che avevo abbia adesso davvero la migliore forma possibile. Sono molto felice anche della chiusura, di quella goccia di luce che appare dopo la discesa nell’abisso.

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Gabriele Scandolaro

Mi chiamo Gabriele e sono un lettore. Ho iniziato a leggere quando ero molto piccolo, complice una nonna molto speciale che invece delle classiche favole riempiva le mie giornate raccontandomi i capolavori teatrali di Shakespeare e di Manzoni. Erano talmente avvincenti le sue narrazioni che, appena mi è stato possibile, ho iniziato a leggere per conto mio. Ma terminato il mio primo libro ne ho iniziato subito un altro. Poi un altro. Da allora non riesco più a smettere di leggere. Quando non leggo o studio, lavoro come Educatore e suono il violino.

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