George C. Tooker (1920-2011) Un ballo en Maschera,1983, litografia, RoGallery
Vruu, vruu, vruu, l’ultima volta che sono passato quaggiù, dal suo castello di Miramarmìra faceva il suo tempo bello o cattivo il re Boreslào di Transumània. La linea ferrata tra’ cipressi scuri, le grandi e chiare masse di roccia, la varietà delle tinte, me vedo rosso persino, macchie scintillanti dell’acqua, ruderi e còccole aulenti1; tutto che fa poesia, ma la decampano ville inferriate e villini, vruu vruu motoscafi, ecco laggiù uh uh…. regàl fantàsima2…. riconosco un baritono verdiàno, direi, sul suo enorme cabinato, bordo riva galleggia a mostrare la forza dell’uomo che può ciò che vuole il proprio prepuzio; occhiali da sole, calzoncini avaiani, ciabàttiti della padrona nuda che serve. Città di mare, interminata malata, città arciducàle, perduti tutti i pennacchi resta che la facciata, scenografia tutto davanti e gnènte de drìo; ai Chicchessìa levaci i pennacchi e di colpo, sotto l’alta montura, pneumatico spontaneo silenzio. Stazione di testa, sbarcare dal treno.
Soldìn Midòn Sidàn campanòn. Città tortùga che invecchia per moto contrario alla vista dell’occhio; me davanti, achillèus su tendini miei a passeggio, che è un modo diverso per dire scappare. Vedo bene le facciate allo sfascio, i secoli in ceneri, gli infissi salmastri. Ombra. Un tempo inatteso scarlìga sul suo deretano, da Spritz, bóttiglierìa, niente vetrine, doppio portone finestra di legno, ferrato, spalancato sul marciapiede; pólve fru fru sul piancìto, mica parquet, abete massello da barca, commesso fatato in gabbàna colór pàrticolàto. Whisky della miglior qualità, dono intercede pro mèo, servisse un macchinista d’estate a capocomica erbàcea. Ma me la finocchiona arrapàta a bruciapelo sùcamelèk; la spinge in punta di labbra, me denti chiusura lampo. Sfànculo, cantar mica fioretti o virtù, indignazione o carte bollite, rivoltoso sfànculo al test schiavo/padrone; sarà ancora lì la Leda incignata a leccar la ferita all’amore non proprio. Fantasma d’olenti per questo, piena la città, umbràtile, lùrida, mìsera, sudata ai talloni, che spuzza. Il sole traversa una cortina cimmèria, va’vahlàl fogolàr funebràl, kalàg camìn che huma3. Sirénen che heulen, Fàhnen che flàttern, verschiedener Nationen bastimenti bastanti; fummo di tutto, arrosto di niente. Stazione Est. Una vecchia di anni, un disarmo sull’altro, che dalla bocca draghi esala tra i denti, mi chiede quando che il feretro riva d’una sua mesta maestà, del regàl sarài èvo.
Scàppa mé via dalla puzza follia, salto sul tram à la crème crémaillé op da quaggiù opè oppalà Piccinìna. Ferrovia deserta fin’a dómàni mattina, oh no Boreslào.
1 in Gabriele D’Annunzio – La Pioggia nel pineto.
2 in Giuseppe Verdi-Arrigo Boito – Macbeth A3 https://vimeo.com/265906194
3 per orientare il lettore bisognoso di qualche bussola riteniamo utile ricordare che per chi conosca la città o la ricordi, a noi è parso subito evidente che questa lettera sia stata spedita da Trieste; è la lettera finora più esplicita, per così dire, nel connotare un luogo del suo correre per ferrovie ma anche la sua più difficile, la più densa e intraducibile dell’Ignoto che più del solito traveste e altera tempo, fatti ed esperienze proprie: il baritono verdiano, il teatrante omosessuale, ovvero la capocomica erbacea, la finocchiona. Improbo farne una parafrasi esplicativa che avrebbe fatto perdere i giochi in cui pare si perda e voglia perdere la sua eletta lettrice l’Ignoto. Chiaro che il re Boreslao ( da Bora ? Slava? ) non è mai esistito benché il castello di Miramarmìra possa essere identificato con il castello di Miramare che fu residenza di Massimiliano d’Asburgo. Ci limitiamo a dare un indicazione circa le ultime sei righe dove va’vahlàl… potrebbe stare per: Va’ al Valhalla, focolare (qui in furlano fogolàr) funebre, camino di lager (KaLa, Konzentrationslager di San Sabba) che fuma, dallo spagnolo humar o anche da hum (1794) onomatopea che esprime tosse o perplessità. Il passo seguente che abbiamo lasciato per ragioni ovvie in originale sta per: le sirene che ululano, la bandiere che sventolano, bastimenti di diverse nazioni; e allude al porto triestino, un tempo austriaco. La stazione est è quasi per certo la oggi dismessa stazione di Campo Marzio, che per vero è a sud della città ma dove nell’estate del 1914 arrivò la salma dell’Arciduca d’Austria, assassinato a Sarajevo. Quanto al tram è di sicuro quello che dal centro città porta al paesetto di Opicìna, Opiccinina, per dove passa la linea ferroviaria per Lubiana. La vecchia che esala draghi dalla bocca può e non può essere personificazione della Morte stessa. Ma, a nostro avviso si entra qui nel campo del mistero più che delle probabilità.
* in https://wordpress.com/post/dascola.me/4123