Autore: Tesio Silvia
Data di pubbl.: 2012
Casa Editrice: Mondadori editore
Genere: Romanzo
Pagine: 210
Prezzo: 17
Un simpatico faccino di bimbo ci sorride in copertina, forse è così Gauss? Quel che è certo è che, dopo la lettura del romanzo, che è difficile non fare tutta d’un fiato, ci sembra di conoscerlo davvero Gauss. Ha dieci anni, ne compirà undici ad agosto e frequenta la quinta elementare. E’ crucciato dalla sua bassa statura; è alto un metro e trenta e il fatto di chiamarsi Bassi di cognome, tragica ironia della sorte, non gli sembra affatto un buon biglietto da visita per iniziare le scuole medie. Porta il nome di un famoso matematico, Friedrich Gauss per l’appunto, affibbiatogli dal defunto nonno materno Terenzio e, forse, è vero che nei nomi abitano i destini delle persone. La famosa formula matematica di Gauss è, infatti, il frutto di un compito assegnato da un maestro forse poco zelante ai suoi giovani alunni: sommare i numeri da uno a cento. La soluzione che il giovane studente Gauss dà, appare oggi di una semplicità sorprendente, ma nessuno fino a quel momento ci era arrivato. Come accade per i grandi geni, Friedrich Gauss era andato oltre il compito, aveva visto con occhi diversi, aveva aperto un’altra via. Anche Gauss, il nostro Gauss, pare indossi un paio di occhiali speciali con i quali osserva il mondo. La spontaneità, la disarmante ironia, la simpatica impertinenza sono le sue lenti magiche. Egli non riesce a mentire, dice solo e sempre la verità, anche quando parla con se stesso e, invece, vorrebbe cambiare la sua sconcertante realtà. E’ l’unico maschio in una casa tutta al femminile. La sua è una famiglia strampalata e bizzarra, dove nessuno ha lo stesso cognome e i legami di sangue sembrano disciogliersi come neve al sole. La mamma Matilde è stata adottata all’età di dodici anni da nonna Olimpia, la sorella Leonora è stata abbandonata dal padre e forse, come Gauss suggerisce, anche nel suo nome è racchiusa la sua storia: “Già il fatto che si chiami così fa giustamente pensare che le manchi qualcosa. Ma quel qualcosa, credetemi sulla parola, non è soltanto una lettera. Per quel che ne so, suo padre l’ha riconosciuta controvoglia, quindi forse ha dimenticato apposta una “E” fuori dall’anagrafe. Eleonora doveva sembrargli un nome troppo bello.” E Gauss? Gauss non ha mai conosciuto suo padre e ne è disperatamente alla ricerca. Sull’identità del genitore aleggia il mistero e nessuno della famiglia vuole svelarlo. “I figli son di chi li cresce, non di chi li partorisce”, ripete continuamente nonna Olimpia e, solo alla fine del romanzo, quando il desiderio di Gauss verrà tristemente esaudito, questa frase si illuminerà di significato, arrivandoci fino in fondo all’anima.
C’è molto di straordinario nel romanzo di Silvia Tesio. Un ben congeniato meccanismo dove, attraverso uno stile brillante e piacevolissimo, non mancano divertimento, suspance, emozione e commozione. La caratterizzazione dei personaggi è potentissima. Su tutti, la bellissima figura di nonna Olimpia, la parente preferita di Gauss. E’ lei la vera colonna portante, lei, ora ottantaseienne, che a sessant’anni e vedova ha il coraggio di adottare una bambina dall’esistenza difficile e di salvarle la vita, lei il cui brillante futuro di musicista è stato tragicamente spezzato in giovinezza dallo scoppio di una bomba che le ha tolto completamente l’udito, lei che dispensa consigli, lei che sostiene, lei che insegna in maniera originalissima la vita, lei che rende allegre le difficoltà. Attraverso il suo personaggio noi riusciamo a capire forse anche la grandezza del piccolo Gauss e di quella parte pulita, incantata, sincera ed un po’sfrontata che appartiene all’infanzia e che forse si nasconde ancora in ognuno di noi.
“Quando ero piccolo credevo che un “papà” fosse la persona che vive a casa con te, che ti coccola e ti racconta le favole di sera. Ero convinto che mio padre fosse nonna Olimpia, finché un giorno un bambino mi ha detto che non era possibile perché i papà hanno la barba e il pisello. Nonna Olimpia la barba un po’ ce l’ha sempre avuta, ma il pisello non ne ero sicuro, così una volta ho provato a tirarle giù le mutande. Lei ha cacciato un urlo, poi ha tirato giù le mie e mi ha sculacciato lasciandomi il sedere rosso come quello di un babbuino.”