Sabrina Minetti, milanese, è autrice di diversi racconti e del romanzo “L’isola dei voli arcobaleno” pubblicato per Autodafé Edizioni. Lavora nel settore della formazione professionale e collabora con la rivista on line MondoRosa Shocking. Lo scorso anno ha avuto l’occasione di prendere parte al progetto “Liberi di leggere”, una serie di incontri letterari organizzati all’interno del carcere di San Vittore. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.
Come è nata l’occasione di partecipare a “Libri di leggere”?
Ho partecipato a questo progetto su iniziativa di Autodafè Edizioni, che in occasione del Festival della letteratura di Milano ha partecipato, insieme ad altre case editrici, alla donazione di copie alla biblioteca di San Vittore. Una delegazione è andata poi a conoscere i referenti del carcere e in particolare Michela De Ceglia, che si occupava già di organizzare incontri e ha colto l’occasione per estendere anche a noi l’invito a prendere parte a “Liberi di Leggere”.
Come si articola l’iniziativa?
Sono previsti due incontri. Ci si vede una prima volta per conoscersi e parlare di lettura e scrittura: cosa spinge a scrivere e cosa invoglia a leggere sono le tematiche che vengono affrontate, tramite le esperienze personali. Il libro viene lasciato in più copie e una settimana dopo, quando si ritorna, alcuni hanno letto il libro ed emergono domande, sottolineature, quesiti. Per quanto mi riguarda sono stata molto contenta e ho avuto la sorpresa di ricevere una recensione su L’isola dei voli arcobaleno, scritta da uno dei partecipanti alla fine del romanzo. Questa copia la conservo nella mia libreria e la custodisco gelosamente: mi ha fatto piacere, è stato toccante che una persona abbia utilizzato il suo tempo per scrivere una recensione lunga, articolata e attenta.
Il progetto poi ha avuto un ulteriore sviluppo. Ce lo può raccontare?
Da questi incontri è scaturita l’idea di lavorare concretamente con loro, anche perché molti hanno accennato al fatto di dedicarsi alla scrittura come momento importante delle loro lunghe giornate. Abbiamo provato a fare un laboratorio espressivo per dare la possibilità alle parole di uscire ed essere messe su carta in una modalità diversa. E’ stato stupefacente ed emozionante vedere quanta poesia, sensibilità e inventiva ci possa essere. Fernando Coratelli e Luigi Carrozzo, che hanno condiviso con me questa esperienza sono stati molto coinvolti come me sul piano umano, ma anche creativo e tecnico. Le persone che hanno partecipato erano anche simpatiche e ci sono stati momenti di criticità in quanto in queste occasioni ti esprimi, ti metti a nudo e gli altri possono usarlo come specchio delle proprie difficoltà e porsi in antagonismo.
Cosa l’ha colpita maggiormente in questi incontri?
L’esperienza, anche se per me non era la prima volta in quanto avevo partecipato ad altri progetti, è stata emotivamente forte, anche per la situazione in sé: ci si trova in un luogo di privazione della libertà e si respira il dramma delle persone recluse, pur tenendo conto che generalmente si trovano lì per una ragione ben precisa. Per pregiudizio si è portati a pensare che siano persone di scarsa cultura, ma ciò non è affatto vero. Hanno molti interessi come il cinema e trovi degli stimoli e anche delle storie: sono propensi a raccontare forse perché serve loro per rielaborare e questo è un altro aspetto molto significativo. Io credo che ogni occasione in cui una persona può sperimentarsi in qualcosa di buono lo allontani dell’insuccesso o dalla tristezza e dalla sterile autocritica e lo avvicini alla possibilità di essere se stesso.