L’ElzeMìro – Il venerabile, la tazzina e la stampella. Parodia zen

Jacek Malczewski-melancholia-1894

                        Jacek Malczewski (1854-1929) – Melancholia – Poznan, Museo

                                                                Essere ingannati o perire, non c’è altra scelta                                                                                 Emil Cioran - La tentazione di esistere

Tra i pieni e i vuoti delle fiamme, la vampa notturna nel camino dissimula le presenze, conforta l’idea di tepore e illude i seguaci ravvolti intorno in un ben avviluppato semicerchio di mantelli imbottiti, così da ingannare la vista su numero e identità di ognuno di quegli spettri in quel campo. Nel cerchio di luce del focolare la voce solitaria del venerabile crocchia davanti agli occhi di tutti, un ologramma che gorgoglia sospeso tra l’uno e l’altro sorseggiare di caffè dalla tazzina. Chi siano gli ascoltatori è evidente, eretici del dubbio in estasi consensuale, frecce fanatiche scoccate nel corpo del caso, che è il loro, da una balestra abbandonata dal balestriere, pronti a giurare sulla veneranda saggezza in carnùzza ed ossicini cui sentono di dovere orgasmi di devozione ed obbedienza. Convincersi di questo li aiuta ad abbandonarsi alla consolazione d’essere attori di un grande progetto o pulcini di una covata selezionata dalle Parche. Fuori imperversa il suono della tormenta, talvolta la fiamma vacilla per i réfoli che sgusciano giù per il camino, e giù brividi. Anche gli eletti gelano d’invernochioccola la vocina del venerabilecome qualsiasi talpa fa eppure sopravvive sepolta là nella sua tana al caldìno confortevole del proprio corpicino rattrappito nel letargo. Speriamo che al primo disgelo una serpe non strisci di soppiatto quaggiù e mi mangia, sogna per se stessa senza congiuntivo la talpa eppure continua a dormire. Alla parola congiuntivo, che non situano, gli ascoltatori ridacchiano, del discorso afferrano l’eco, abili nel trasformarne la scia nel vaticinio di cui ognuno sente o attende il maggiore bisogno, nella conferma di tante letture accozzate, di pensieri acquisiti e non pensati, di malintesi intrisi di vanità e che in vanità si rinnovano. Del piccolo apologo sono contenti però, come fanciulli d’altri tempi, con le dieci lire in mano intorno al carretto del gelataio d’estate, estate lontanissima, iattura vicina quando arriverà, tragedia di campi gialli, viti riarse, radici disperate nella pancia della terra a cercare un indizio almeno d’acqua. Ma i discepoli sono poco attenti a verbi che non allòggino un piano sopra le acque; sazi si forbiscono le labbra con iaculàte coniugazioni. Escono al gelo in branco beato, periranno a momenti nella tormenta. Il venerabile sa che altri succederanno, lappa l’ultima goccia di caffè dalla tazzina, inforca rapido la stampella e se ne va. Non che gli importi di sapere chi se ne va con lui e dove.

Schermata 2017-05-09 alle 10.57.09

Emil Cioran – La tentazione di esistere – Adelphi

Federico Fellini - Casanovahttps://www.youtube.com/watch?v=jVZ_CGBy5Dc

Sigmund Freud – Psicologia delle masse e analisi dell’io – Boringhieri

Taisen Deshimaru – La tazza e il bastone – ES

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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