L’ElzeMìro – Delitti e vendette 6

 

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                                      Bambindù, Bambintrì, Bambinùn

Fenomenologia. Sulla bassa gradinata che porta alla grande vasca delle ninfee, popolata di quei grossi pesci rossi dall’aria cinese, voi ‘l sapete oh vigili al colore dei particolari, sta giocando Bambinùn con un mucchio di ghiaia esercitandosi a cosa, magherìe, macùmbe, mocàmbi, arzigògoli, ritualità astruse o astratte da eventuale verifica, in compagnia di Bambindù. Il silenzio è un metodo. Bambintrì arriva da lontano, non ha punta importanza da dove, compare diciamo; strofina un bastoncello contro la ringhiera che cinge la vasca, atto con cui produce un dinding continuo, cominciato al capo corto e opposto a quello di Bambinùn e Bambindù sull’ovale oblungo della vasca. Senza un plisséa Bambinùn mormora, Che stupido, osservazione diretta a Bambindù in veste di ascoltatore principale. È detta con il tono spoglio che riflette l’assenza di riflessione sull’opportunità, politica diciamo, della sentenza, e sulla sua verità, diciamo antropologica; è un’asserzione, diciamo intuitiva, simile al decollo inatteso e inarrestabile d’un pappataci nel silenzio della notte nera; potrebbe non riguardarlo ma il fatto è che si posa nell’orecchio, il sinistro per ipotesi, di Bambintrì, la cui reazione pizzicata è istantanea; sicché si slancia, se lor signori lettori vogliono possono aggiungere un alto brandendoil bastoncino di cui sopra avvèrso Bambinùn e, senza che possa pararli, gli scarica addosso un due tre bei colpi, tali da spezzarlo, il bastoncino; Bambindù è colto dalla sorpresa; Bambintrì seguita all’attacco co’ pugni poi, quando poi sia, tra’ginocchi placca a terra Bambinùn, muta i pugni in artigli e gli attanaglia il collo, com’è del boa o dello strangolatore di Boston silenzioso il metodo. Parapiglia, Bambindù interviene come può; non ha punta perizia di scontri ma s’agita, strattona l’attaccante, schiamazza. Non è tuttavia quel debole attacco a fermare l’esecuzione ma un’Adultax che vociando da una panchina vicina, scaglia una minaccia e un’ombrella su Bambintrì che, abortito ‘l garrote e dall’in piedi incollato un calcio al Bambinùn paonazzo, corre via ringhiando, un verso più che un motto.

Dieci anni dopo, Bambintrì, che alto non è ma mastellone, si aggira per sentieri selvaggi, sempre con un fazzoletto al collo, sempre con al braccio un casco da motociclista in cui spasseggia una catena, anelli da mm 3.5, con lucchetto. Vent’anni dopo sappiamo che è iscritto, importa niente a cosa, Bambintrì appartiene al genere degli appartenenti con tutti i vantaggi che l’appartenere comporta; un appartamento per esempio e un monolocale per l’aldilà. Con una grande agenda da tutore del mondo stretta nel pugno, destro o sinistro in alternativa, egli romba su una moto, varca i cancelli e percorre a larghi passi le calli dei potenti uni e trini, in diretta e in differita. A guardarlo bene gli si nota un grugno, in passato chissà appena accennato, sorta di rictus o spasmo mascellare che altri, può darsi sommando ghigno con chiglia, chiamarebbe per burla ghiglia. Percorre invece le strade che può Bambinùn, zu Fußb, ma un giorno  tra la folla intercetta Bambintrì; gli sbarra allora il passo, gli strappa l’agenda di mano, la fa volare, poi lo spintona, lo colpisce sì che giravolti, voli,  cada e si fracassi. Troppo è di  Bambinùn la fuga rapida perché Bambintrì avverta e ricordi. Ignaro morirà.

Schermata 2017-05-09 alle 10.57.25

a antica espressione milanese, in veste completa sensa gnanca un plissé, corrispondente a senza scomporsi, sans bouger

b tedesco, tzu fuss, pedibus calcantibus.

BA 10

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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    • D’Ascola

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