La piramide del caffè – Nicola Lecca

Autore: Nicola Lecca
Titolo: La piramide del caffè
Editore: Mondadori
Genere: romanzo
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 233
Prezzo: euro 17,00

Utilizzando il titolo di un celebre film di qualche anno fa, si potrebbe dire che il fil rouge dell’ultimo romanzo di Nicola Lecca è “la ricerca della felicità”. E la felicità è la meta di un cammino che ha i suoi segreti, i suoi rischi, i suoi ostacoli. Ma se è vero che il mondo in cui viviamo è pieno di disparità e ingiustizie sociali, e che di certo nella vita non si parte tutti alla pari, la via della felicità è molto più democratica di quanto si possa pensare: tanto che dei bambini ungheresi orfani e indigenti possono arrivare a momenti di gioia molto più forti e significativi di quelli a cui può aspirare un miliardario inglese proprietario di una catena internazionale di caffetterie.

Questo apologo morale sulla vera ricchezza è il cuore de La piramide del caffè (Mondadori, 2013), storia in bilico tra favola contemporanea (di cui possiede la semplicità di alcuni elementi, l’intento morale, l’improbabilità – purtroppo – dello sviluppo degli eventi) e romanzo di formazione (crescita del protagonista che si conclude con un capitolo intitolato indicativamente La caduta degli dèi).

Il romanzo di Lecca narra le vicende di Imi, giovane ungherese cresciuto nell’orfanotrofio di Landor, che raggiunta la maggiore età decide di seguire il sogno di vivere in quella mirabolante e “fantastica” metropoli che è Londra. Una volta giunto nella capitale inglese, egli trova lavoro presso la Proper Coffee, grande catena britannica di caffetterie che fornisce a ogni suo dipendente un apparentemente innocuo e utile manualetto che codifica fin nel più minuto dettaglio norme, direttive e disposizioni dell’azienda a cui è necessario attenersi pedissequamente.

Se all’inizio questo reticolo stretto di regole infonde sicurezza all’ingenuo e spaesato Imi, il giovane sperimenterà sulla sua pelle, anche grazie al realistico scetticismo di un suo collega di lavoro, la violenza, l’ingiustizia e l’aridità di un mondo sotto la dittatura dell’economia (tiranno assoluto che conforma a sé anche le relazioni umane e quelle con la propria stessa esistenza).

L’ipocrita e feroce logica che abita l’Occidente odierno, perfettamente interpretata dalla Proper Coffee, investe Imi con tutta la sua brutalità e rischia di inquinare irreversibilmente la straordinaria purezza del protagonista: ma se il disincanto fa parte del processo di crescita, centrale in tutti i  romanzi di formazione, è presente pure, come in ogni favola che si rispetti, un lieto fine che salvaguarda la possibilità di uno sguardo limpido sulla realtà e di una ricerca della felicità nella condivisione disinteressata e nel godimento delle gioie semplici.

La tecnica di narrazione utilizzata da Nicola Lecca ne La piramide del caffè prevede la sovrapposizione di piani spazio-temporali che alternano il racconto in due sezioni: in una troviamo Imi e le sue avventure londinesi, nell’altra l’autore presenta la vita dei trovatelli dell’orfanotrofio di Landor, luogo in cui lo stesso Imi ha vissuto prima di emigrare in Inghilterra. La grande nitidezza e qualità di scrittura propria dell’autore, massima nelle parti più evidentemente narrative e descrittive, raggiunge il suo vertice proprio quando si applica al racconto delle quotidiane vicende dei piccoli orfani ungheresi: è qui, infatti, che le pagine scritte da Lecca rivelano esemplarmente la profondità e la sensibilità di chi, come lo stesso scrittore rivela alla fine del libro, ha conosciuto direttamente una realtà drammatica e complessa come quella da lui raccontata, e da essa si è fatto penetrare e arricchire. La parte che quindi non è apparentemente implicata nella storia si costituisce come nodo centrale del racconto e sede della morale favolesca, soprattutto se confrontata con quella che riguarda esplicitamente il giovane protagonista.

La “favola di formazione” di Nicola Lecca mostra limpidamente che nei luoghi in cui sembra dominare unicamente la miseria è possibile la felicità (senza semplificazioni o buonismi); anzi, forse è più facile trovarne l’essenza in un povero orfanotrofio di una povera zona della Terra che nel cuore del ricco e luccicante Occidente, ormai consumato dall’alienazione, dall’omologazione, dalla solitudine, dall’egoismo.                                                                                                                                                                               Quando Imi, ovvero la purezza di uno sguardo non contaminato, si scontra con la durezza di un mondo che ormai necessita di mettere in discussione i propri fondamenti, condisce il suo percorso di crescita con un pizzico di necessaria disillusione.

Il lieto fine è dietro l’angolo, ma per il giovane emigrante l’immagine della felicità perde i contorni del lussureggiante St. George Wharf per ricomporsi nei tratti familiari di un misero paesino in Ungheria. D’altronde, chiosa lo stesso autore parlando della sua esperienza diretta in un orfanotrofio magiaro, “in quel luogo che appariva misero e triste, ho trovato una straordinaria abbondanza di gioia … Mi sono reso conto che lì si trovava nascosto il segreto della felicità. E io volevo scoprirlo.

Leggere l’ultimo romanzo di Nicola Lecca, allora, consente di avvicinarsi a questo segreto carpito da uno scrittore sensibile e profondo. Ma il messaggio più importante, alla fine, risiede proprio nell’affermazione che la ricerca della felicità è possibile, a condizione di recuperare uno spirito di limpida semplicità verso il mondo; e nel riconoscimento che essa, spesso, si rivela proprio dove nessuno si aspetterebbe di trovarla.

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