Autore: Livia Manera Sambuy
Casa Editrice: 2022, Feltrinelli
Genere: biografia romanzata
Pagine: 360
Prezzo: € 19,00
Nel marzo del 2007 Livia Manera Sambuy, in pena per la morte precoce e tragica del fratello e la fine del proprio matrimonio, parte per l’India. Ha un impegno di lavoro non rimandabile: scrivere il ritratto del romanziere indiano Vikram Chandra. Ma, come nelle migliori avventure non programmate, una volta a Bombay – o Mumbay come oggi viene chiamata – scopre che al Prince of Wales Museum è in corso una mostra fotografica di vecchi ritratti di maharajah e maharani proveniente dall’Albert and Victoria Museum di Londra. Andarci oppure no con tutto quello che c’è da vedere a Bombay? A convincerla è il caldo intenso di un pomeriggio soffocante e allora entra. La mostra non le sembra un granché, ma poi ecco una foto che le fa cambiare idea:
“Era il ritratto a figura intera di una giovane donna longilinea, la cui grazia, in quel contesto, era una lama di luce in una grotta. Alta, bruna e con i capelli raccolti, indossava un sari impalpabile e traslucido, bordato di ricami d’oro o d’argento…” (Pag. 23)
La celestiale creatura è Sua Altezza Reale Rani Shri Amrit Kaur unica figlia femmina del maharaja di Kapurthala e della sua quarta moglie. Il ritratto risale al 1924, un anno dopo il matrimonio di Amrit con il raja di Mandi quando gli sposi si erano recati a Londra ed erano stati ricevuti da re Giorgio e dalla regina Mary.
Affascinata da questa donna remota eppure così presente e viva, l’autrice inizia una ricerca che si protrarrà per diversi anni portandola spesso lungo strade che sembrano senza uscita. Un po’ alla volta, però, Amrit svelerà i suoi segreti: la battaglia condotta per i diritti delle donne in India ben prima che Gandhi riconoscesse l’importanza dell’istruzione e della liberazione femminile come basi per la crescita sociale del Paese; il matrimonio con il raja di Mandi e le successive seconde nozze di costui che Amrit percepisce come un insulto alla sua lotta femminista; la fuga a Parigi e l’abbandono dei due figli piccoli; il suo ipotetico tentativo, durante l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi, di salvare gli ebrei perseguitati; il conseguente orribile internamento in una vecchia struttura lontano da Parigi e infine il ritorno alla vita, sebbene per poco; la strana e assai stretta amicizia con l’ereditiera americana Louise Hermesch.
Questo libro, però, è ben più di una sapiente e dettagliata ricerca per scoprire i punti oscuri nella vita di una donna e della sua famiglia. È una formidabile cavalcata attraverso un’epoca ricchissima di storia e di tragedie immani: la Seconda Guerra Mondiale, certo, ma anche il momento dell’indipendenza dell’India, la fine del Raj e la separazione fra musulmani e indù con la creazione del Pakistan e i milioni di morti che questa ha provocato. La fine, inoltre, dei privilegi detenuti dai nobili indiani, la storia delle loro colossali ricchezze e dei forti legami intrattenuti con l’Europa dove spedivano i figli a studiare e dove loro stessi trascorrevano lunghi mesi fra ricevimenti, teatri, acquisti, vacanze e viaggi.
Alla vicenda degli Stati di Kapurthala e Mandi e della bella Amrit, si uniscono mille altre storie: quelle dei grandi gioiellieri del tempo come Cartier e i Rosenthal, di personaggi stravaganti che avevano scelto il Nord dell’India per diletto o nascondiglio, delle grandi ricchezze create e svanite nel giro di pochi anni, di morti misteriose e vite che s’intrecciano le une alle altre a cavallo fra due mondi e due culture.
Livia Manera ce ne parla con precisione e passione – perché sovente, risolvere il mistero di una vita che non è la nostra, può aiutarci a dare pace ai nostri demoni interiori – e srotola davanti a noi un mondo ormai scomparso come fosse una tela preziosa dove ogni punto del vasto ricamo è perfetto e indimenticabile.