In un periodo così difficile per il mondo giovanile e per il mondo del lavoro c’è una scrittrice che ha deciso di trattare questo tema in modo molto originale. Lei è Silvia Lombardo. L’abbiamo incontrata e intervistata, leggete cosa ci racconta.
Mi incuriosisce molto il titolo che è stato dato al suo libro “La ballata dei precari”, ce lo può spiegare?
Non saprei spiegartelo con esattezza. Il titolo è stranamente la prima cosa che mi è venuta in mente: “ballata” mi evocava l’idea di un menestrello che girasse per le strade, cantando le storie della gente comune. Anche se poi storicamente il termine “ballata” ha un senso diverso, ben più nobile come testimoniano poeti e musicisti del calibro di Chopin. Ma a me, Giordano Cioccolini e Tiziana Capocaccia (gli altri due sceneggiatori del film) piaceva questo senso immediato di racconto popolare, di cantastorie che va umilmente di paese in paese a cantare storie in cui tutto il pubblico può riconoscersi.
Cos’è per lei il precariato?
Inutile dirlo: il precariato ormai è una condizione di vita che pervade ogni sfera dell’esistenza di ormai almeno tre generazioni, dai ventenni ai quarantenni. La mancanza di una solida base economica impedisce l’espandersi di ambizioni professionali e personali. E’ traballare, in continuazione. Come in attesa di un terremoto.
Nel libro lei classifica i vari tipi di stage, cosa vuole comunicare? Cosa ne pensa degli stage?
La classifica degli stage l’ho stilata in un periodo in cui cercavo affannosamente un lavoro e mi barcamenavo fra le mille assurde richieste di stage che trovavo su giornali e siti internet. Stage con precedente esperienza di stage, stage per profili altamente qualificati: non me li sono inventati, mi ci sono realmente imbattuta. Fare uno o due stage finita l’università è sicuramente una pratica utile, a patto che ci sia almeno un rimborso spese e che non si venga messi a fare i custodi della fotocopiatrice. Una volta c’era l’apprendistato e veniva pagato. Oggi non è infrequente imbattersi in persone di trent’anni con comprovata esperienza costretti ad accettare uno stage, anche senza rimborso spese, nella speranza che questo si trasformi in un vero lavoro. Ovvio che se dai alle aziende un mezzo per avere personale gratis, difficilmente rinunceranno al fascino di cedere a questa tentazione…
Ci parli un po’ del film, che cosa ci può dire?
Il film è un esperimento un po’ folle nato dalla volontà di tre precari con la passione per la narrazione, ai quali, a conti fatti, si sono unite circa 200 persone fra precari e giovani lavoratori dello spettacolo. Quando è cominciato tutto – ormai più di 3 anni fa – abbiamo sentito che era il momento di raccontare il precariato per esperienza diretta, scrivendone noi che lo vivevamo da almeno 10 anni. Così sono nate 6 storie grottesche che parlano dei sei principali problemi lavorativi di chi questa condizione la vive sulla propria pelle. Da StRagisti, la storia del povero Mauro, stagista trentenne, che all’ennesimo stage comincia ad avere le allucinazioni e sequestra il suo datore di lavoro, ai giovani genitori di Ninna Nanna Ninna NO che, grazie a Geppi Cucciari (una ginecologa molto innovativa), entrano in possesso di un dispositivo che rimanda il parto a seconda delle scadenze contrattuali. Dalla povera Ilenia di Masterizzati, che, non trovando lavoro, continua a fare master e corsi di ogni tipo fino a quando non finisce in un centro psichiatrico di recupero per GMR – Giovani Masterizzati Recidivi, a 2050, ambientato in un futuro dove tre settantenni, ex-precari e ora barboni, ricorrono a una televendita per avere un tetto sulla testa. Da Opera-I, folle musical satirico su arie d’opera, che parla dei mille lavori che un precario svolge per sbarcare il lunario, a L’ammortizzatore, storia di due anziani genitori di un precario che stipulano una polizza sulla vita e decidono di farsi ammazzare per lasciare i soldi al figlio e garantirgli un futuro.
E’ tutto molto curioso! Nel libro mi ha colpito molto il tono ironico che lei utilizza. Riderci su è ormai l’unica cosa che ci è rimasta? Ne usciremo mai da questa condizione di incertezza secondo te?
Secondo me il benessere – ma anche la semplice sussistenza – ha ormai lasciato indietro almeno un paio di generazioni. A volte temo che se ci saranno miglioramenti sarà difficile che ne usufruirà chi oggi vive da precario da più di 10 anni. Perciò l’ironia diventa un bene di prima necessità per far fronte alla cosa. E’ necessaria per reinventarsi. Quando avevo 19 anni, fresca di maturità, ho rinunciato alla mia passione per la scrittura dandomi ad un lavoro d’ufficio che ritenevo più sicuro e utile per costruirmi un futuro. La mia generazione non si sarebbe mai aspettata un destino di precariato selvaggio. Dieci anni dopo mi sono ritrovata precaria, con uno stipendio ai limiti della decenza e tanta voglia di trovare una via d’uscita. L’ironia mi ha aiutato e mi sta aiutando tutt’ora che compio 15 anni da lavoratrice precaria…
In ultimo, com’è tradizione per le nostre interviste, le chiederei di rivolgere un saluto a tutti i lettori del nostro giornale on line. Qual è il messaggio che vorrebbe dare loro?
Prendendo spunto dalla mia ultima risposta, quello che vorrei dire ai lettori è di spostare l’inquadratura. Amo spesso citare una frase di Chaplin “La vita è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo”. Reinventatevi, se potete. Non aspettiamo che siano gli altri – governo, istituzioni – a fare qualcosa per noi. Proviamo noi a fare a meno di loro, a fare prima di loro, ripartendo da noi stessi, da quello che amiamo fare.
Ringraziamo Silvia Lombardo per la disponibilità che ci ha dimostrato. Dopo aver letto il libro, non ci resta che guardare il film!