A tu per tu con… Piero Dorfles

La nostra testata ha deciso di aprire una nuova rubrica settimanale dedicata ai classici intitolata “Grandi Riflessi”. Quale valore pensa che abbia la lettura dei classici rispetto alla narrativa moderna o a testi che non vengono annoverati tra i big della letteratura?

Tanto per cominciare bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa sia un “classico”. Io credo ci siano due modi diversi per definire un “classico”: il primo tipo è quello che si è codificato come tale nel corso dei decenni ed addirittura nei secoli, un’altra cosa invece è il “classico” che è entrato a far parte dell’immaginario letterario collettivo. Queste due cose si differiscono soprattutto per un elemento, cioè che delle volte anche i libri che hanno avuto un percorso popolare e un grande successo di massa e che al loro tempo non sono stati concepiti generalmente come grandi libri, possono diventare in questo modo dei classici. Altri, invece, non avendo nessun successo popolare restano nella storia della letteratura.

Come si fa a dire che è la stessa cosa leggere l’Ulisse di Joyce oppure Lolita? Sono libri incommensurabili eppure li consideriamo tutti e due dei classici, val la pena riflettere. Io penso che quando guardiamo a questo tipo di cose noi abbiamo a disposizione almeno un elemento, chiunque abbia letto questi libri, insieme a tutti coloro che l’hanno letto,  divida un’esperienza comune che gli consente di non dire di cosa si tratta se non per accenni. Una persona può dire “Oggi mi sento come Molly Bloom” e tutti capiscono che ha passato una giornata pigra, a letto cercando di ingannare il tempo davanti alle sue fantasie, oppure uno può dire “Stamattina mi sento uno scarafaggio” e tutti capiranno che ha letto Kafka. La cosa importante è che non occorre poi spiegare, perché tutti quelli che hanno letto il libro capiranno cosa si intende in quanto condividono qualcosa che è essenziale nella storia del pensiero, nella storia dell’umanità e nella costruzione degli archetipi del comportamento umano che sono alla base della vita narrata dentro i libri. Quando uno condivide queste cose non ha nemmeno bisogno di parlare perché sa già che ha a disposizione un dato comune, un codice, uno strumento, per cui non c’è nemmeno bisogno di spiegare cosa sta dicendo.  Esempio: “Stamattina mi sento uno scarafaggio”.

Quando un libro diventa un classico? Un libro di narrativa moderna può diventarlo? Ci sono caratteri universali per identificarlo?

Noi possiamo auspicare ciò che vogliamo, i fatti ci dimostrano che è la storia che decide. E’ difficile che un libro diventi classico solo perché ha avuto un buon successo o molta critica o molte analisi. Ci sono libri che diventano classici, loro malgrado, perché sono stati utilizzati come strumento di battaglia politica o di conflitto reale o polemica, e quindi può accadere che anche libri non di grandissimo valore si classicizzano. Parametri oggettivi? Non credo ne esistano. Una cosa che ha creato un alto conflitto nel mondo culturale, come dicevo prima, si candida ad essere un classico, poi dire che “Il Gattopardo” sia diventato un classico perché attorno a sé ha prodotto un dibattito direi che non è propriamente corretto. Certi libri l’hanno conquistato sul campo questo titolo, in quanto, passato il momento di moda, hanno lasciato una traccia lunga, e nonostante il passare del tempo continuano ad incidere nella mentalità collettiva, continuano ad emozionarci e a lasciarci qualcosa che è sempre valido. Diceva Giuseppe Pontiggia “Non chiedetevi se i classici sono abbastanza attuali, chiedetevi se voi siete abbastanza attuali per i classici”. Il problema non è quando noi leggiamo il libro se siamo capaci di recepire un classico, è il libro che al di là di quello che noi possiamo dire, da solo, si afferma, si impone, sopravvive e rappresenta un punto di riferimento di generazione in generazione.

Come si possono entusiasmare ai classici le nuove generazioni che sembrano vedere negli scrittori di un tempo modelli lontani?

Non c’è niente di peggio che cercare di imporre qualcosa nella lettura, lo diceva già Pennac, ed io porto avanti questo pensiero, sottoscrivo questo divieto assoluto. Oltretutto è gravemente controproducente cercare di convincere un ragazzo a confrontarsi con libri che in quel momento non ha voglia di leggere. Dentro lo schema dei diritti del lettore dobbiamo inserire un ragionamento un po’ più complesso. La lettura, la capacità di leggere non è una cosa naturale, è uno strumento, un’abilità, un’attitudine che si conquista nel tempo. Leggere non è facile, è una cosa che non tutti sanno fare. Ce lo dimostra anche lo scarsissimo numero di lettori che c’è in Italia. Quest’attitudine la si conquista cominciando molto giovani, proprio per questo motivo bisogna lasciare liberi, lasciare che la scelta sia la più ampia possibile. L’unica cosa che è essenziale è che ci sia il contatto, non con il classico, quello verrà dopo casomai, ma con il libro come oggetto d’intrattenimento, divertimento, passione, ma soprattutto esercizio intellettuale. Quando un individuo legge, specie se è molto giovane, non se ne rende conto, ma in realtà sta facendo un esercizio intellettuale molto complesso, la cosa più astratta che l’uomo possa fare. Per tutto il resto abbiamo immagini, possiamo indicare col dito, come avrebbe detto Garcia Marquez sulla dimensione fantastica, ma una volta che abbiamo trasferito sulla carta, con quei segnetti neri, immagini, idee, storia, passione, sentimenti, filosofia, lì stiamo esercitando il mestiere più complicato del mondo, cioè usare termini astratti per descrivere cose astratte. Quando si leggono libri senza figure si sta esercitando lo strumento più bello che ha a disposizione l’uomo e cioè il pensiero simbolico, che non ha più nulla a che fare con le immagini.

Come nasce il suo amore per i libri e per la letteratura?

Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che leggeva e che mi ha sempre regalato molti libri quand’ero bambino. Ho avuto la fortuna di avere una mamma che leggeva, a me e mia sorella prima ancora che imparassimo a leggere, le cose che piacciono a quel tempo, Salgari, Verne, e tante altre storia magnifiche, come per esempio quella sintesi dei miti greci che si intitola “Storia delle storie del mondo” e che ancora oggi credo andrebbe letta a tutti i bambini per farli appassionare a qualcosa che è completamente lontanissimo ma profondamente dentro di noi. C’è stato il momento poi che mia madre chiudeva il libro e andava via ed io mi mettevo sotto le coperte nascosto per continuare a leggere.

Concludendo, cosa vorrebbe dire ai lettori del nostro sito? Lancerebbe un messaggio per inaugurare la nostra nuova rubrica?

Leggere non è soltanto uno strumento di passione personale, di arricchimento, eccetera. Leggere è per certi versi l’affermazione del sé. Quando si legge si costruisce una personalità, ci si confronta con il mondo, si acquisiscono strumenti complessi e raffinati. Nel momento stesso in cui un uomo diventa lettore è più ricco, diverso, capace di conquistare terreni nuovi. Chi non legge è più povero. Credo che si dovrebbe pensare che tutti coloro che non leggono vadano messi sulla strada per capire questa cosa fondamentale: non leggere non è soltanto un piccolo incidente della vita, ma una perdite terribile, e leggere è una ricchezza straordinaria che va coltivata e che serve per comprendere la vita, altrimenti continueremo a pensare che siamo qui per caso e non sapendo il perché.

 

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