Scrittore esordiente, Pier Franco Brandimarte si è aggiudicato la vittoria alla XXVII edizione del Premio Italo Calvino. Il suo romanzo d’esordio, L’Amalassunta, mischia generi e suggestioni, ricostruendo la figura controversa e per molti versi ancora avvolta nel mistero del pittore Osvaldo Licini. Durante questo Salone del libro, lo abbiamo incontrato per farci svelare di più.
Con questo libro d’esordio sei stato vincitore di un premio prestigioso. Cosa ritieni abbia fatto la differenza portandoti alla vittoria?
Innanzitutto credo sia un libro abbastanza particolare per essere un libro di esordio, soprattutto per un giovane scrittore – anche se di fatto anagrificamente non sono poi così giovane –, e penso la sua peculiartià sia che dialoga e integra le immagini: ha a che fare nella sua stessa struttura l’immagine artistica e ragiona sulla sua incognita espressiva prima e poi sulla struttura e procede tentando di portare assieme più piani temporali e personaggi all’unisono; inoltre, poggia su una storia artistica esistenziale inconsueta e questo è un altro elemento che rende il libro particolare da tanti punti di vista.
Il tuo libro è una ricerca sviluppata attorno alla figura di Osvaldo Licini, un pittore di cui non si conosce molto. Cosa ti ha spinto verso di lui?
La scelta di Licini non è stata fatta su basi razionali, o portata da studi scolastici, o che avessi voglia di affrontare da tempo. È successo che tre anni e mezzo fa, perdendomi in macchina per colpa del navigatore, mi sono trovato in un paesino che non avevo mai sentito; lì ho visto i suoi quadri ho conosciuto chi lo aveva incontrato e sono passato dal considerarlo un bizzarro buontempone locale al vederlo come una sorta di mistero indecifrabile. Licini arriva da Parigi nel ’26 e si trasferisce in questo borghetto portandosi sua moglie svedese, una grandissima artista negli anni ’50; era un paesino rurale, arretrato, in cui lui diventa un bizzarro abitante visto fra ghigno e compassione, mentre lui era combattivo, sanguigno. Quando sono andato via dal paese dopo incontri racconti e sprazi mi era riamsta un immaginazione strana e ho cercato di allargare negli anni questi secondi di impressione in qualcosa di più grande, in un quadro più completo.
Possiamo dire che è un’idea che non ti sei tolto fino a scrivere il libro?
Si, è l’unico modo che ho trovato per spiegare la sensazione, la vibrazione, che sentivo. A tutti capita di trovare queste cose in momenti inaspettati e se ci si pensa non si trova da dove vengano. Cercando di capirle si tocca qualcosa che fa parte di noi stessi.
Qual è la prima opera che hai visto di Licini e che ti ha dato il colpo di fulmine?
In realtà non è stata una folgorazione di quelle totali, è stato un processo delicato: è stato passeggiare e stare prima di fronte a tante delle sue opere, una consonanza, e poi successivamente di fronte a quello che era stato il tavolo di lavoro, una pavea affacciata sulle montagne con l’orizzonte aperto dal mare alla montagna che era un travaso continuo di sguardo fra opere e appoggio.
Ti sentiresti di dire di aver dipinto un ritratto di Licini nel tuo libro?
La sinestesia fra letteratura e immagine è una cosa che volevo si rincorresse. Anche le parole non hanno solo un significato, ma anche una forma grafica, così come gli spazi bianchi tra le parole, e volevo che avesse vi fosse una resa del libro anche da quel punto di vista.
Nel libro usi una scrittura scorrevole, quasi urgente e graffiante. E’ una tua volontà o è un istinto che ti ha spinto a questo stile?
Ti ringrazio, innanzitutto, perchè è difficile trovare chi sia attento a certi dettagli di stile. Uno stile leggero che però tocchi e incida, ogni stile e la forma è molto importante, ma la forma inizia a crearsi attorno all’oggetto, i due vanno un po’ insieme: ad un certo punto si raggiunge una specie di equilibrio, una via che a te sembra giusta da percorre, concetti e parole si incontrano e trovi una maniera per dire le cose così come si stanno formando nella mente. Questo stile è emerso perchè lo consideravo giusto mentre stavo scrivendo, è la fascinazione di quella forma che che mi ha portato a realizzarlo in questo modo.