Ospite della libreria Biblos Mondadori a Gallarate, nel Varesotto, per presentare il suo ultimo romanzo “La stella di pietra” (Longanesi), Marco Buticchi non si è limitato a dire da dove nasce l’idea di questo libro e da dove trae le fila che si compongono in quelle oltre trecento pagine dalle quali in tanti ammettono di non essersi riusciti a staccare neanche per un momento, arrivando alla fine in una sola giornata. Ha interagito con il pubblico, conducendolo, in un certo senso, in un altro viaggio: quello nella letteratura…e nell’avventura.
Vive a Lerici, occupandosi anche di uno stabilimento balneare, e scrivendo pagine di mistero, storia e avventura che tengono con il fiato sospeso. Non sarà un caso che Maria Grazia Cucinotta l’abbia citato, ancora prima di conoscerlo personalmente, come uno dei motivi del suo amore per la Liguria. Infatti lui la protagonista femminile, la ricercatrice, se l’immagina mediterranea, “a metà tra la Cucinotta e la Bellucci” e preferisce un protagonista che per diventare qualcuno abbia lasciato dietro di sé tanta fatica. Lui è uno che degli “agenti figaccioni” è stufo.
Marco Buticchi, l’affabulatore. Non solo quando scrive, ma anche quando siede davanti a una platea che ascolta il suo viaggio tra passato e presente, tra storia del passato e storia recente, tra fatti su cui ancora c’è tanto da scoprire. E non solo se sono lontani secoli.
Così racconta se stesso e il segreto del suo successo
Sono cresciuto con un surrogato della crema al cioccolato e con Salgari, un nome che gli Italiani per un certo periodo sono riusciti addirittura a pronunciare come fosse straniero. Abbiamo regalato un mondo all’esterofilia. E, lo dico da lettore, spesso, dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo smesso di interessare chi legge. Da lettore, quando leggo, amo divertirmi, sognare: se voglio sentire parlare di “sfighe” suono dalla vicina e ne ho quante ne voglio, più ancora che da un libro. Quello che dico è: osate, qualsiasi cosa scriviate, osate.
Dove finisce lo studio e inizia la creatività dell’autore nel suo romanzo?
La citazione va a Manzoni, che, semplificando, diceva che lo scrittore del romanzo storico deve riuscire a “infinocchiare” il lettore. Per me è così: pur dicendo, alla fine, che ho scherzato, però… qualcosa di vero c’è. Ecco la folgorazione, la scintilla ai Musei Vaticani, davanti al Laocoonte della scuola di Rodi che sembra plasmato da una mano rinascimentale. E via, alle ricerche, alla singolarità di storie che si intrecciano, o che almeno sembrano farlo, a fili che dal 1400 portano agli anni di piombo.
La sua passione?
E’ la scoperta, il piacere di scoprire una cosa. Il bello è quando ti scatta una cosa e vedi che è compatibile con la tua trama. Con la bellezza del raccontare e del sentir raccontare.
I momenti che lo arricchiscono di più?
Particolarmente sono le visite in carcere, quando capitano, perché ogni volta ne esco più ricco e l’incontro con i bambini. Vado volentieri dai ragazzi, nelle scuole. E a loro dico di continuare a scrivere, senza pensare a platee sconfinate, ma a lasciare memoria.