A tu per tu con… Luca Mastrantonio

luca mastrantonioLa nostra lingua italiana è strapazzata, questo si sa. Ma quanto sia abusata forse no. Luca Mastrantonio, giornalista del Corriere della Sera, ha scritto Pazzesco! (Marsilio editori) e ha provato a spiegare usi e abusi della cara, vecchia lingua dello stivale in un dizionario/manuale di autodifesa. Perché accade a tutti noi, spesso non ci pensiamo, ma un pazzesco qua e là a casaccio ce lo infiliamo sempre. Abbiamo incontrato l’autore al Salone del Libro di Torino e gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Come mai hai deciso di scrivere “Pazzesco!”? Quale obiettivo avevi quando l’hai scritto?

Il libro nasce da una reazione allergica alla parola “pazzesco” che sentivo e avverto tuttora e adesso anche di più. E’ un libro che racconta parole che hanno una vita propria a prescindere da quello che noi vorremmo dire. Ho pensato a ‘adoro’, che esprime compiacimento per il soggetto anche se dovrebbe essere un verbo transitivo, ‘bimbominchia’ o ‘zombie’, che sono anche degli insulti… Quindi ha tutto origine dalla mia insofferenza per la parola ‘pazzesca’, dalla voglia di esorcizzarla e dall’impressione che usiamo moltissime parole impazzite, che hanno perso il loro senso. Io ne ho raccolte 69 in questo lavoro. Magari non le usiamo a caso ma non sappiamo cosa significano. Ad esempio ‘startup’ è un’altra parola che viene usata impropriamente per tutto. Ci sono alcuni termini il cui senso è pervertito come ‘meritocrazia’ che è il titolo di un libro di Michael Young, anni 50, ed era un incubo: era una società in cui le elite comandavano attraverso la meritocrazia, cioè dei calcoli di quoziente intellettivo. Quindi il mio incubo è diventato un sogno perchè oggi si parla di meritocrazia dicendo “è troppo poca” oppure “stai sereno”, frase ben nota che è diventata una minaccia metodologica tra politici e non solo. Credo che sia un libro per divertirsi e difendersi da queste parole incapaci di farci intendere quello che vorremmo dire.

C’è consapevolezza secondo te nell’usare ed abusare di termini come “pazzesco”?

Io ne sono diventato consapevole nell’uso, proprio scrivendo il libro. Provando a capire da dove vengono le parole e il suo uso/abuso. Mi sembra che ci sia poca consapevolezza soprattutto perchè adesso sono spesso usate in maniera automatica come certi pulsanti dei social network in cui si condivide senza aver capito in realtà che cosa si sta condividendo e in cui si apprezza con un like qualcosa che in realtà non ci piace ma, essendo una delle poche possibilità di interazione, a volte lo mettiamo ma vorremmo fare delle critiche. Credo che ci sia un tasso altissimo di incosapevolezza e forse anche di menefreghismo che rende queste parole pericolose perchè loro abusano di noi. Il potere e quindi i media possono più facilmente abusare di noi se usiamo queste parole prive di sfumature consapevoli.

Tu lavori nella redazione Cultura del quotidiano più importante d’Italia; secondo te anche la scrittura giornalistica risente di questi abusi linguistici? E’ cambiata in questi anni?

La prima parola che mi veniva da dire era ‘assolutamente’, appunto perchè volevo dare un senso affermativo a questa parola e quindi direi: assolutamente sì. Ripensandoci bene è sbagliato “assolutamente” perché forse non è così assoluta la colpa dei giornali: è relativa agli argomenti, alla realtà che stiamo raccontando, all’influenza e alla gara (pericolosa se non gestita bene) dei giornali con i social network perché i social media sono più veloci di una redazione come quella culturale dove noi lavoriamo. Io volevo dire sì, ma assolutamente sì sarebbe sbagliato perchè assolverebbe le nostre responsabilità. Se noi dicessimo “assolutamente sì, siamo responsabili di questa epidemia linguistica”, in realtà starei assolvendo la categoria perché dire che uno è “assolutamente responsabile” è come dire “è irresponsabile”. Una lingua pazzesca è una lingua di superlativi, aggettivi enfatici, esclamazioni alfabetiche.

Nel tuo libro indaghi la lingua 2.0, il digitaliano, che tu descrivi come una terza lingua a metà tra orale e scritto. Siamo diventati fenomeni da baraccone?pazzesco

Già il 2.0 che ho utilizzato anche io è un suffisso particolarmente pazzesco perchè vuol dire tutto e nulla. Ma è inevitabile che abbiamo dimenticato l’1.0, cioè il web non dinamico. Penso che più che dei fenomeni da baraccone facciamo involontariamente dei giochi di prestigio, che è la cosa peggiore che si possa fare. E il gioco di prestigio è far sparire le cose e, attraverso queste parole, le cose spariscono più facilmente.

In questo linguaggio gioca un ruolo importante anche il sentimento, lo scopo, cioè il sentirsi apprezzati e riconosciuti?

Abbiamo tutti bisogno d’amore, come cantavano i Beatles, e il linguaggio pazzesco è la gara dei like o dei verbi italianizzati dall’inglese tipo: lovvare. Questa parola indica il bisogno di un amore digitale, diverso: lovvare è meno di amare ma più di apprezzare. E’ una sfumatura digitaliana, cioè una logorrea grafica: scriviamo più di quanto pensiamo e questo da’ da pensare perché forse se siamo tecnicamente in grado di comunicare più di quanto siamo in grado di organizzare il pensiero, forse ci sono degli effetti collaterali. Ad esempio lo svuotamento logico e semantico delle parole che usiamo.

Ecco, mi riaggancio al tuo ‘lovvare’. Nel tuo libro c’è una sezione intitolata “new inglesorum” che parla di italianizzazioni di termini inglese e della difficoltà degli italiani con la lingua anglosassone. Che problema abbiamo con questa lingua?

Innanzitutto ci sono generazioni che hanno problemi minori: i nativi digitali per esempio consumano prodotti in inglese, le fiction che tutti guardano sono spesso in lingua originale. Un po’ quindi la conoscenza dell’inglese è migliorata, credo. Non ho dei dati ma secondo me ci sono più consumi in lingua originale in inglese. Il problema è che l’uso sociale di termini inglesi a sproposito è aumentato: ad esempio startup, crowdfunding… per apparire più smart appunto. Se si usano una, due, tre parole più che smart diventi anche un po’ ridicolo, e qualcuno potrebbe dire LOL, cioè molte risate. Il punto è la consapevolezza e la moderazione, un po’ come l’alcol e la velocità, perché troppe parole inglesi di questo new inglesorum da new economy passa in ridicolo oppure fa diventare incomprensibile un dialogo.

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Riccardo Barbagallo

Lavoro da qualche anno nell'editoria, mi occupo di comunicazione per editori e autori e sono un digital addicted. Al contrario di altri, non mi posso definire un lettore da sempre, 'La coscienza di Zeno' in prima media è stato un trauma troppo forte da superare per proseguire serenamente la relazione con la lettura. Più avanti ho deciso di leggere un libro per piacere, e non per obbligo, ed è stato lì che ho capito quale sia la vera forza della lettura: la capacità di emozionare. Credo che sia questo il segreto, se così possiamo definirlo. Non ho più smesso.

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