A tu per tu con…David Nicholls

david nichollsDavid Nicholls, noto sceneggiatore britannico di serie tv, ha raggiunto la popolarità nel 2011 con il romanzo “Un giorno” da cui è stato tratto un omonimo film con Anne Hathaway e Jim Sturgess.

Dal 2014 è tornato in libreria in Italia con “Noi” (sempre edito da Neri Pozza): un romanzo che mescola ironia e sentimento e che si addentra con profondità nei rapporti di coppia, ma anche in quelli tra genitori e figli lasciandoci molti spunti di riflessione.

In questo romanzo lei mette in scena le difficoltà di una famiglia, tra crisi di coppia e problemi con il figlio. Come è nata l’idea di parlare di questo argomento?

Innanzitutto ci tengo a dire con una certa soddisfazione che non è un libro autobiografico. Volevo scrivere una storia d’amore diversa da quella che avevo descritto in “Un giorno”, il mio precedente romanzo, che avevo concepito all’età di quarant’anni. In quel caso ci si soffermava sul momento in cui scopri l’amore e cambia la tua vita perché smetti di uscire tutte le sere con gli amici e inizia una fase nuova.

Quando ho pensato al nuovo romanzo avevo 46 anni e nella mia vita erano cambiate diverse cose; soprattutto ero diventato genitore e volevo analizzare cosa volesse dire per una coppia ritrovarsi in tre e nel nostro caso in quattro. Volevo capire come cambia la vita di coppia, come si devono ripensare e ricostruire i rapporti e parlare delle differenze che emergono in maniera netta e chiara: si scopre una persona nuova nell’altro, ma anche in se stessi, ci si vede sotto una luce diversa.  In genere poi si tende a pensare che quando si hanno dei figli si smette di essere una coppia, io volevo invece sottolineare anche questo: si può essere genitori e contemporaneamente amanti.

E’ stato difficile dopo il grande successo del primo romanzo ritrovare la voglia e l’ispirazione per scrivere?

Cerco sempre di evitare di lamentarmi perché mi rendo conto di essere una persona fortunata, ma in effetti non è stato facile. Il problema maggiore è stato trovare la concentrazione, perché per la promozione del libro, che è uscito in tutto il mondo, ci sono voluti circa tre d’anni in cui ho viaggiato un po’ dovunque e ho parlato solo di quello per tutti i giorni della mia vita. Queste voci continuavano a risuonare nella mia mente e non ne potevo più! Poi c’era un altro dilemma, quello che si pone generalmente lo scrittore in un caso del genere, ovvero: “Ripeto quello che ho fatto e fallisco oppure faccio qualcosa di nuovo e fallisco ugualmente?” Vuoi fare qualcosa di stimolante per te stesso però sai che ci sono i lettori affezionati a cui è piaciuto tanto il tuo libro precedente e non vuoi deluderli. Così mi è accaduto di scrivere tante pagine per poi rendermi conto che non andavano bene, anzi peggio, che erano da buttare. Ed è quello che ho fatto, per la prima volta in vita mia.

Rivolgiamo ora l’attenzione ai protagonisti della storia. La famiglia di cui si parla è composta da tre persone: Douglas, il padre, protagonista ed io narrante, la madre Connie e il figlio diciottenne Albert. Ciascuno dei personaggi si trova in una condizione di mancanza di qualità rispetto alla vita che deve vivere. Che cosa caratterizza maggiormente ciascuno di loro?

Albie è un adolescente e tutti sappiamo benissimo quanto sia difficile a quell’età: si deve trovare il proprio spazio nel mondo e capire la propria identità. E’ quindi un periodo pieno di tempeste e incertezze. Ci sono momenti di gioia ed entusiasmo, ma anche tanti traumi e delusioni. Trovare un adolescente contento e appagato è impossibile!

Connie è una donna che segue l’istinto e ciò comporta ovviamente dei rischi altissimi. Reagisce in modo istintivo, non sta lì a riflettere e si sente frustrata perché non riesce a dare corso a tutte le sue passioni. Allo stesso tempo non vuole rinunciare a Douglas e alla sua famiglia, a cui in qualche modo tiene, quindi si trova in un dilemma non facinoile da risolvere.

Douglas è quello che più se la racconta: non vuole vedere in faccia la realtà, rifugge il cambiamento con tutte le sue forze e preferisce che le cose restino immutabili per tutta l’esistenza piuttosto che rendersi conto che qualcosa non va e quindi affrontarlo. E’ lui che non vuole comprendere che sua moglie non è contenta della vita che fa con lui e nemmeno farsi domande sul pessimo rapporto che ha con suo figlio: vorrebbe una vita semplice e lineare, ma non è possibile.

Un aspetto del libro che ho particolarmente apprezzato è stata l’idea di mettere a confronto i personaggi in una dimensione dinamica, recuperando l’idea del viaggio culturale, di formazione.

Innanzitutto una delle problematiche degli scrittori che parlano di argomenti domestici è il fatto di descrivere situazioni che si dipanano su una scala molto limitata e che rischiano di essere sminuite. Quello che succede in casa, al supermercato è soggetto a questo rischio. Solo gli scrittori americani come Ann Tyler, John Updike, Raymond Carver riescono a parlare del quotidiano, delle piccole cose, in modo grandioso e monumentale; il quotidiano inglese resta tale e non dice granché.  Volevo inserire i personaggi in un’avventura spettacolare e mi piaceva l’idea del viaggio, della rincorsa, del cercar qualcuno.

In secondo luogo viaggiare a Parigi e Venezia, ad esempio, città romantiche per eccellenza, diventa una speranza di riaccendere la fiamma della passione. Ti auguri che l’atmosfera magica per osmosi ti influenzi, andando a migliorare la tua vita di coppia: in effetti è ambiziosa come aspettativa, è un po’ troppo da chiedere una città!

Da ultimo quando si viaggia mancano tutta una serie di cose come la televisione e la radio e soprattutto le abitudini, quindi sei costretto a parlare ad interagire con gli altri. Questo porta talvolta a delle reazioni a cui non sei affatto abituato.

Lei descrive, e non è certo l’unico, la grande conflittualità delle famiglie moderne. E’ davvero impossibile andare d’accordo oggi?

Secondo me è più facile nella realtà che in un romanzo, perché la fiction richiede i conflitti per essere avvincente. Diciamo comunque che io non cerco di descrivere la società, di fare un catalogo delle psicologie, piuttosto cerco una storia che abbia un suo interesse, un suo perché. Se si vuole individuare una dimensione sociologica nel mio libro essa ha a che fare con l’età, con l’invecchiare.  Quando ero piccolo ritenevo i cinquantenni dei vecchi destinati ad una vita noiosa, ma adesso che sto per raggiungere io quel traguardo mi rendo conto che la mia vita è ancora completamente in evoluzione. Si può pensare al matrimonio come ad un’esperienza piena di cambiamenti non necessariamente negativa: può voler dire anche crescere insieme. Se dovessi scegliere uno slogan per il mio libro sarebbe “L’amore non finisce con il matrimonio”.

Hai già idea di un argomento di cui parlare nel prossimo libro?

Sicuramente i miei personaggi non continueranno ad invecchiare come hanno fatto finora. Vorrei tornare indietro nel tempo e ringiovanirli. Con “Noi” è la prima volta che parlo di famiglia, prima mi sono occupato di coppia. Mi piacerebbe ora scrivere una breve e splendida storia d’amore all’interno di una famiglia analizzata da un nuovo punto di vista e magari inserendo il rapporto tra fratelli e sorelle.

Che cosa le piace leggere?

In quanto sceneggiatore devo leggere molto per vedere cosa può essere trasporto sullo schermo ed è molto frustrante. Mi piacciono comunque molto gli scrittori americani contemporanei come Ann Tyler e Alice Munro, ma anche del passato come James Salter e Philip Roth oppure classici inglesi come Charles Dickens, Thomas Hardy, George Orwell.

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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