Ho avuto il piacere di rivolgere qualche domanda al dott. Daniele Lembo, pubblicista, saggista storico e autore di “Prima che tutto sia finito”, edizioni Bietti. La recensione di questo libro è stata pubblicata proprio nei giorni scorsi sul nostro giornale. Vi riportiamo qui a seguire il resoconto dell’interessante scambio avuto con l’autore.
Leggendo la sua bibliografia si nota che si compone prevalentemente di saggi e monografie, mentre il romanzo è un genere da lei meno frequentato. Ha deciso di dedicarvisi per avvicinare un più ampio pubblico di lettori alla Storia o anche per mutare un po’ “l’idea” che penso buona parte delle persone hanno della storia? Io per esempio sono piuttosto giovane ed ho una conoscenza “ scolastica” della storia, composta prevalentemente di grandi eventi che appaiono lontani e come cristallizzati, del tutto bidimensionali .
Hai colto perfettamente nel segno. La saggistica ha un pubblico costituito da una vera e propria “nicchia”, un saggio arriva a un preciso e determinato numero di persone, e questo fa di un saggio un prodotto appetibile anche per gli editori che sanno che quel lavoro avrà, sicuramente, un certo pubblico. Differente è per un romanzo che, in via, presuntiva – o di semplice auspicio – potrebbe avere una diffusione molto maggiore. Hai inoltre ragione quando dici che i miei scritti hanno la pretesa di contribuire a “mutare l’idea che buona parte delle persone hanno della storia”. Purtroppo, la manualistica scolastica presenta una storia spesso edulcorata e, soprattutto, politicamente corretta. Penso che sia giunto il momento di raccontare agli italiani qualche verità che è stata tenuta, fino ad oggi, attentamente nascosta.
Quando e dove nasce la sua passione per la storia e in particolare per le vicende dell’Italia nel secondo conflitto mondiale?
Coltivo sin da quando ero ragazzo la passione per la storia. Da piccolo facevo la cresta sulla spesa fatta a mia madre, per poi correre in edicola ad acquistare pubblicazioni come Historia o Storia Illustrata che, negli anni sessanta, costituivano per gli appassionati del settore, veri e propri pilastri. La passione per la seconda guerra mondiale nasce dal fatto che da quel conflitto esce la società moderna, così per come è o, meglio, così per come ce la fanno intendere o immaginare.
La scelta di ambientare “Prima che tutto sia finito” nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale e in un periodo, quello della Repubblica Sociale Italiana, piuttosto mal conosciuto risponde ad un preciso intento divulgativo?
Certo che c’è un preciso intento divulgativo. La storia della R.S.I. è poco conosciuta e quando lo è, spesso è presentata in maniera distorta. I seicento giorni che videro viva quella Repubblica furono la parte finale di un cammino che era iniziato venti anni prima e che aveva avuto, tra i suoi punti fondanti, la creazione di un tipo di italiano nuovo. Il Regime si può dire che sia riuscito in questo suo scopo, dedicandosi, sin dall’inizio all’educazione e formazione di una generazione, quella stessa generazione che, in quei seicento giorni, sia da una parte che dall’altra, fornì una eccezionale prova di volontarismo.
In nota al termine dell’opera specifica che la vicenda del romanzo è frutto di fantasia ma non si può dire lo stesso di tante piccole storie che vi compaiono come tessere del mosaico generale . Ha prima “recuperato tutte le tessere” e solo dopo lasciato correre la fantasia e dato vita all’avventura del maresciallo D’Onofrio?
In fondo è così che si crea un romanzo storico: una bella storia portante, che si svolge su uno scenario temporale ben definito e ben descritto. Alla fine al lettore sarà sembrato di seguire la storia portante, mentre, in realtà, avrà prestato molto più attenzione all’ambientazione che alla storia stessa.
Il suo romanzo, pur non essendo lungo, fornisce moltissime informazioni non solo storiche ma anche legate agli usi, ai costumi, alle consuetudini dell’epoca e lo fa in maniera assolutamente naturale e “piacevole”, è stato molto complesso scrivere un’opera di questo tipo?
Non è stato complesso scrivere un’opera di questo tipo, ma c’è alla base un lungo lavoro di ricerca e studio. Oggi molti si improvvisano a fare tutto, riuscendo alla fine a fare poco a nulla. Per scrivere un romanzo del genere ho letto e fatto ricerche per anni. Non a caso, prima di produrre un romanzo ambientato nel corso della seconda guerra mondiale, ho scritto decine tra saggi e monografie che trattavano dello stesso argomento.
Nel libro spesso i personaggi esprimo pensieri, considerazioni e “tirano un po’ le somme” su quanto sta accadendo ed è accaduto all’Italia di quel periodo . Questi sono pensieri che lei ha tratto da documenti, diari, interviste dell’epoca o le ha ricostruite lei basandosi su quanto sul “sostrato” che si percepisce dalle fonti a cui ha attinto?
I miei libri servono tutti ad uno scopo di fondo: raccontare agli italiani la loro storia che è ben differente dalla storia politicamente corretta, inventata dai vincitori di quella guerra ad esclusivo loro uso e consumo. Perseguendo questo obiettivo uso anche i miei personaggi che spesso, come dici tu, “tirano un po’ le somme” su quanto sta accadendo. Nel mio libro, esclusa la storia principale, non c’è nulla di inventato ma tutto trae fonte da ricerche d’archivio, diari e interviste a chi quegli anni ha vissuto. La stessa storia del raggio della morte di Marconi, che molti hanno descritto spesso come una “bufala “ storica, alla fine del libro, in un’apposita appendice, viene abbondantemente rivalutata
L’immagine in copertina con il primo piano della ragazza riporta alla mente le attrici della Hollywood anni ‘40/ ’50 come Rita Hayworth o Ingrid Bergman. A tratti l’atmosfera del suo libro mi riportava alla mente echi di film come Gilda o Casablanca , la sua fantasia è stata ispirata nella creazione della vicenda e in particolare del personaggio di Helga dai film in bianco e nero? Nel romanzo fa più di un riferimento ad attori e opere cinematografiche del periodo nel quale lo ambienta, lei è anche un amante del cinema?
Ho descritto un’epoca nella quale il Cinema era considerato “l’arma più forte”. Le pellicole di Cinecittà facevano sognare e vivere gli italiani, ed è per questo motivo che ci sono alcuni riferimenti cinematografici nel mio libro. Riguardo l’immagine della ragazza in copertina, a molti a piaciuta, ma il mio ideale di bellezza femminile è…come dire: un po’ più forte e meno etereo. La copertina, di solito, è frutto di un lavoro grafico da parte della casa editrice.
C’è qualcosa circa il romanzo che ci tiene particolarmente a portare all’attenzione dei lettori?
Certo: la storia è materia scientifica. La si fa con le ricerche, con i documenti, con le pezze d’appoggio e non certo con le chiacchiere o con un lavoro “creativo” di mera invenzione. La storia è ben differente dalla novellisitica, perché nel lavoro storico ogni affermazione va documentata e dimostrata. Il mio è un romanzo storico, quindi nella stesura dell’ambientazione ho seguito una metodica rigida e scientifica. Insomma, la mia è una storia di spionaggio inventata, e neanche tanto, mi si creda, (ma su quest’ultima affermazione non posso rivelare ancora nulla) ambientata nella Grande Storia, che nulla ha di inventato.
Leggi anche la nostra recensione di “Prima che tutto sia finito” di Daniele Lembo
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