A tu per tu con… Paolo Mottana

Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il professor Paolo Mottana, insegnante ordinario di filosofia all’educazione all’Università di Milano Bicocca, e direttore del Master universitario dal titolo “Culture simboliche per le professioni dell’arte, dell’educazione e della cura”: il corso partirà con la sua II edizione il 5 novembre 2016.  Ecco  cosa ci ha detto a riguardo.

 

Si aspetta di vedere tra i suoi studenti anche adulti già avviati nel mondo professionale che desiderano approfondire queste tematiche o solo neolaureati?

In realtà il corso è pensato per un pubblico assolutamente aperto, anche perché gli argomenti pensiamo possano interessare sia un pubblico di neolaureati, sia persone che hanno esperienze e percorsi diversi. Anche nella prima edizione abbiamo avuto partecipanti che andavano dai 25 ai 70 anni, di estrazioni anche professionali molto diverse, tutti però accomunati dall’interesse per gli argomenti trattati nel corso.

Solitamente si sceglie un Master in funzione di una formazione professionale più specifica ed approfondita, si può definire il suo corso come finalizzato ad una preparazione e formazione personale oltre che professionale?

Si assolutamente. È un corso in realtà che mira ad una sorta di sensibilizzazione. Il suo scopo personale è quello di aiutare le persone a modificare, nutrire, arricchire la propria sensibilità simbolica.

La sensibilità simbolica è una facoltà magari non particolarmente nota in questi termini, ma significa sostanzialmente la capacità di leggere il volto e il significato di tutto ciò che abbiamo intorno e dentro di noi. Sta andando un po’ atrofizzata, anestetizzata nel nostro tempo, perché noi conosciamo una vita estremamente frettolosa e abbiamo poco tempo per intrattenerci con il volto delle cose, con la loro fisionomia, e in generale, con qualsiasi cosa e anche con le persone. La sensibilità simbolica richiede invece una certa attenzione: per ascoltare il messaggio contenuto in ogni elemento che ci circonda, cosi come anche in noi stessi. Ovviamente si tratta di ascoltare per cercare di capire qual è la vocazione delle cose, qual è il loro potenziale, verso che cosa sono indirizzate, a prescindere dal nostro modo di utilizzarle strumentalmente.

Questo vale per il rapporto che abbiamo con la natura, con l’ambiente, con gli oggetti, ma ovviamente, purtroppo, anche con le persone stesse; perchè oramai viviamo tutti in un atteggiamento di sfruttamento di ciò che abbiamo intorno, ai fini della nostra formazione personale. Ecco, la sensibilità simbolica dovrebbe invece ravvivare la nostra capacità di renderci conto che tutto ciò che ci circonda e ciò che abbiamo dentro di noi, richiede un ascolto diverso, più partecipativo e che miri a riconoscere qual è il volto autentico delle cose. Questo si può fare molti modi: noi proponiamo un metodo che intanto prende avvio dall’arricchimento dello scenario simbolico personale, quindi cercando di rimettere in contatto le persone con il nostro grande patrimonio simbolico, quello di tutte le altre grandi tradizioni spirituali che soprattutto nei loro risvolti esoterico-mistici, cioè negli elementi che poi le accomunano, propongono una cultura simbolica estremamente ricca. Che poi di fatto permea ancora la nostra percezione della realtà e la nostra cultura, così come il modo in cui la cultura simbolica è stata automatizzata nel mondo della televisione della filosofia, quindi una parte abbastanza vasta di approfondimento.

Se possiamo semplificare e in qualche modo generalizzare, Oriente e Occidente hanno culture simboliche molto diverse. Secondo lei una distinzione di questo tipo tra mondo orientale e mondo occidentale, andrebbe superata per una corretta rieducazione della persona? Andrebbe raggiunto quindi un equilibrio maggiore tra i due tipi di cultura?

Secondo me sì, ma non è un’opinione solo mia, ci sono illustri studiosi, in particolare uno che per noi è molto rappresentativo, Gilbert Duran, che è stato studioso di antropologia generale e archetipologia generale dell’immaginario, ha messo in luce ciò.

Mentre i simboli intesi come i modi fisici in cui venivano rappresentati i grandi temi profondi archetipici di ogni cultura possono variare, in realtà quei temi rimangono piuttosto permanenti e anche i loro significati profondi rimangono permanenti. Su questo si sono concentrato anche molti studi di umanistica. In Italia Vannucci ha fatto tutto un lavoro di messa in rilievo di come siano molto simili in realtà gli elementi fondamentali, per esempio il femminile e il maschile, il notturno e il diurno, il superiore e l’inferiore, la luminosità, eccetera. Tutti questi elementi che per noi costituiscono di fatto la stoffa con cui interpretiamo, conosciamo, giudichiamo e percepiamo le cose, in realtà sono molto simili ma anche ambivalenti; per es. la luce e il buio hanno valutazioni molto diverse, o meglio abbastanza simili nelle diverse culture ma che poi ogni volta posso essere ripensate e reinterpretate con valori diversi. Nella nostra tradizione per esempio il buio è spesso stato stigmatizzato, associato alla non conoscenza, però spesso secondo la tradizione mistica ci sono moltissime aperture sia nella produzione poetica, letteraria e mistica dove il valore della notte e del buoi ha invece tutto  un altro tipo di significato.

Entrare in questo mondo quindi serve ad imparare ad albergare una mente più aperta, una capacità di leggere le cose senza sterminare la loro ambiguità: cogliendo che le cose sono molto più complesse di quanto appaiano e richiedono molta più attenzione e cautela nel maneggiarle quindi. E poi noi offriamo stage, attività pratiche e una parte finale dove cerchiamo di mettere in relazione questa grande cultura di simboli immagini e dimensioni archetipiche con la espressione simbolica contemporanea che si manifesta in molte forme: letteratura musica cinema arti pratiche, teatro e progettazione anche di design urbanistico.. tutte espressioni della cultura simbolica che siamo interessati a mettere in rilievo perché crediamo che poi in determinate professioni , in particolare quelle dell’arte della cura e dell’educazioni avranno una ricaduta.

Rifacendoci al concetto di “io sfruttatore” a cui spesso fa cenno (anche nella descrizione del corso sul sito web, ndr) ha parlato, e alla realtà contemporanea dell’oggi, secondo lei attraverso un’educazione alla cultura simbolica, c’è una possibilità che le tecnologie innovative che ci stanno pervadendo, possano diventare funzionali ad uno sviluppo e ri-sviluppo di cultura simbolica, o rimarremo intrappolati in queste tecnologie totalizzanti?

La cosa importante è che noi non intendiamo “sensibilità simbolica” come una cosa esterna: quando uno acquisisce sensibilità simbolica lo fa attraverso un apprendimento che non è oggettivo, come quello che si intende a scuola, cioè fatto di contenuti e basta; apprende invece un atteggiamento, un modo di percepire le cose e acquisisce quindi una sorta di vista più profonda, per leggere appunto più profondamente la realtà delle cose, orientandosi al suo interno… E’ una capacità che viene interiorizzata, una sensibilità. Poi questa si applica a tutto: gli strumenti tecnologici da cui noi pensiamo di essere utilizzati cambiano nel tempo, sono cambiati continuamente, e questi sono quelli che abbiamo oggi; di per sé non sono nè positivi nè negativi, il problema poi è come li si legge. Sono strumenti dotati di un grandissimo potenziale, ma come tutte le cose sono pieni di rischi e di aspetti pericolosi: anche loro sono dei simboli. Possiamo dire che in qualche modo siano sempre una rappresentazione del dio Ermes che si manifesta, per utilizzare un simbolo chiaro dico.. E’ il dio dei commerci, della comunicazione, che si manifesta in una via diversa. Sappiamo che Ermes è il più ambito del Pantheon greco, non è nè buono nè cattivo, è una figura però che mette in comunicazione tutti gli elementi. Non ci si può fidare di Ermes, è un ingannatore, un truffatore, un ladro.. Allora noi dobbiamo maneggiare tutti gli strumenti di Ermes, compresa la letteratura, la scrittura, non c’è niente che sia buono in senso assoluto. Dobbiamo anche uscire al problema di giudicare in termini morali ed etici, e invece cominciare a capire che il mondo è pieno di messaggi e dobbiamo imparare a trovare al oro interno il nostro spazio, integrandoli, con la loro complessità. Non possiamo pensare semplicemente di scartare ciò che è male, pensando che una volta scartato non ci ritorni indietro da un’altra parte. Dobbiamo imparare a contenere tutte queste dimensioni in una “anima”, uso questa espressione perchè sono moto legato al pensiero di Jung e dei suoi allievi. Un’anima larga, pluralista, capace di contenere le cose e cercare di essere in grado di dare ad ogni cosa il giusto spazio.

Il problema oggi è appunto che noi veniamo totalizzati e accade che viviamo un po’ lo strumento tecnologico come qualcosa che ci possiede, però non possiamo nemmeno semplicemente possederlo: dobbiamo entrare in un dialogo con lo strumento, e capire che cosa può favorire che cosa può ostacolare, smontarlo e capire cos’è. Ad oggi non lo facciamo più perchè non abbiamo tempo di dedicare attenzione, per questo a volte gli strumenti ci catturano senza che noi abbiamo avuto il tempo di esaminarli, di capire chi sono, di capire che tipo di messaggio ci portano, in che modo cambiano la nostra vita. Semplicemente li usiamo uno dietro l’altro.

Ma questo non è un fatto nuovo esiste da molto tempo, c’è semplicemente stata un’accelerazione.

Per questo però con reclamo alla sensibilità simbolica abbiamo bisogno di rallentare, di desaturare il nostro tempo, di avere più attenzione, di poterci dedicare con più calma alle cose.. C’è poi da considerare una componente politica, economica, culturale, molto forte nella quale io credo profondamente e di cui abbiamo fortemente bisogno affinchè la nostra vita non diventi un inferno, come spesso accade.

 

 

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