Autore: Walter Isaacson
Titolo: Steve Jobs
Editore: Mondadori
Traduzione:P.Canton – L.Serra – L.Vanni
Genere: biografia
Numero di pagine: 449
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: € 20
Ho appena finito di leggere il libro. Un tomo, 449 pagine. Come lettura sotto l’ombrellone, niente male! Eppure il flusso di pensieri innescato dai racconti di Jobs prosegue. Chiusa l’ultima pagina, realizzo che, in effetti, la mia generazione ha vissuto in pieno il boom dell’informatica, che ancora lo sta vivendo e che ha attraversato rivoluzioni epocali, subendole o godendone. E mi chiedo se davvero se ne sia resa conto.
Voglio dire: quando facevo le Elementari, e si parla di inizio anni ’90, ero ossessionato dai videogames. Come tutti i bambini di allora, di ora, di sempre. Ricordo benissimo tutti i videogiochi rudimentali che esistevano all’epoca. Eppure nessuno di noi era in realtà consapevole che, dall’altra parte dell’Oceano, Commodore e Atari si stavano arenando proprio su quei software, vanificando lo slancio che ne aveva determinato le fortune nel corso degli anni Ottanta.
Quando sono passato dalle Elementari alle Medie ho ricevuto in regalo il mio primo PC: un Intel i486 (per tutti, un “486”) con Windows 95, un monitor enorme e un divertentissimo programma per disegnare e colorare, MS Paint. Anche in questo caso, lungi da me pensare a quel che significavano, allora, gli ultimi respiri della IBM, l’incipiente egemonia esercitata da Bill Gates con la Microsoft, il temporaneo “esilio” di Steve Jobs e l’inattesa rivoluzione dei primi iMac.
Ero un adolescente, eppure rimanevano vivi in me molti lati fanciulleschi: continuavo a giocare ai videogames e a guardare i cartoni animati. Ciononostante, quando arrivò Toy Story di John Katzenberg non ricordo di essermi interrogato sulla grafica così innovativa e sull’azienda che l’aveva resa realtà, la Pixar di Jobs.
Infine, un quarto esempio di questa rivoluzione inconsapevole: a metà anni ’90, dovendomi allontanare da casa più del solito per motivi di studio, ho ricevuto in dono un gigantesco Motorola. Era una “figata” all’epoca. Ma chi poteva immaginare, vedendolo, rigirandoselo tra le mani, che di là dal mare qualcuno lo stava già rivoluzionando per farlo diventare un iPhone?
Queste sono solo alcune delle storie narrate in Steve Jobs, la biografia autorizzata del fondatore della Apple Computers Inc. scritta dall’amico giornalista Walter Isaacson. Un gran libro, una lettura rivelatrice. Gli ingredienti per una storia di successo ci sono tutti: è romantico al punto giusto nel cogliere l’essenza di un ragazzo ribelle, in perenne contraddizione con se stesso, alla ricerca di un equilibrio interiore e costantemente in lotta con il mondo, causa-effetto di un pessimo carattere. È approfondito al punto giusto e riesce a dare spunti di riflessione (e di nostalgia) anche al lettore “specialistico” che mastica un po’ di informatica. È visionario al punto giusto e in ogni pagina suscita l’impressione di trovarsi davvero di fronte a un personaggio che ha fatto la storia del progresso tecnologico del genere umano.
Ne risulta un ritratto di Steve Jobs come di un genio alla ricerca della perfezione: “Intelligente Jobs? – scrive Isaacson come chiosa del libro – No, non in modo eccezionale. Piuttosto un genio. I suoi scatti d’immaginazione hanno a che fare con l’istinto, con la sorpresa, talvolta con la magia. Jobs è stato, anzi, un esempio di quello che il matematico Mark Kac ha chiamato il «genio mago», una persona le cui intuizioni sorgono all’improvviso, più per intuito che per la semplice forza dei processi mentali. “Come un pioniere – conclude Isaacson – Jobs aveva la capacità di assorbire informazioni, fiutare il vento e intuire ciò che si celava all’orizzonte”.
Nel libro si parla di convegni e colossali campagne pubblicitarie per il lancio dei prodotti Apple, che hanno avuto esiti straordinari e hanno fatto la storia recente dell’advertising e del marketing. Personalmente, credo che nessuna operazione di marketing potesse risultare più efficace di questo libro.
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