“Non accettare caramelle dagli sconosciuti” – Racconto di Carla Cucchiarelli

Il Premio Chiara Inediti 2012 era riservato a una raccolta di racconti inediti mai apparsi in quotidiani e riviste o sul web di autori dai 25 anni in su, residenti in Italia o nella Svizzera Italiana.

La giuria composta da Andrea Fazioli (Presidente), Federico Bianchessi, Michele Mancino, Federico Roncoroni, Carlo Zanzi ha scelto la raccolta vincitrice, designando inoltre un secondo e un terzo classificato che avranno come premio la pubblicazione di un racconto sulla nostra testata.

Carla Cucchiarelli si è classificata seconda.

Otto racconti, otto voci femminili che incontrano la cronaca. Ogni brano inizia con la stessa frase e porta lo stesso titolo, quasi a fotografare una dimensione comune a tante donne e bambine lusingate dalle promesse della società, ma poi di fatto tradite dagli eventi e dalla realtà.

La giuria ha scelto di premiarla “per il modo in cui affronta un tema forte di attualità, unendo in maniera efficace uno stile narrativo fantasioso, a tratti quasi favolistico, a elementi drammatici e intensi sul piano psicologico e sociale. Lo stile è attento ai dettagli e l’autrice non esita ad affondare nella psicologia dei personaggi.”

Carla Cucchiarelli, 1958, Roma, giornalista professionista, è vice caporedattore del Telegiornale Regionale del Lazio della Rai. Nel 2009 ha pubblicato Perché le mamme soffrono – Storie vissute nell’Universo Salvamamme con Vincenzo Maria Mastronardi e Grazia Passeri, Armando Editore. A settembre 2012 uscirà il suo primo romanzo Ho ucciso Bambi, Zerounoundici edizioni.

Racconto “Non accettare caramelle dagli sconosciuti”

di Carla Cucchiarelli 2° classificato Premio Chiara Inediti 2012

 Una bambina urla disperata. Intorno a lei i corpi di familiari ed amici uccisi da un’esplosione. Siamo a Kabul, ma potrebbe essere la Siria o un qualsiasi paese in guerra. La foto ha vinto il Pulitzer qualche mese fa. Carla Cucchiarelli, in questo racconto, immagina il dialogo soffocato della piccola con l’uomo che l’ha ritratta e, per esteso, con il mondo intero.

Non accettare caramelle dagli sconosciuti *

“Vuoi una caramella?”

Ci guardiamo da una parte all’altra della stanza. Lui ha lo sguardo buono e la pelle dello stesso colore della mia, ma veste con i jeans e sembra americano . E’ diverso da noi, da mio zio e dal nonno, ad esempio. Loro le scarpe mica le mettono sempre.  Io sì, io le metto. E poi ha i capelli a posto, ricci ma a posto. Mi dice il nome, lo dimentico subito. Lo scruto da lontano, protetta dall’ombra – grande –  di mia madre. E’ un ragazzo con il sorriso spalancato, l’aria gentile  e una macchina fotografica . Si muove con discrezione, come un moscerino. Io sto qui, pietrificata. Da quattro giorni. Ho ancora tutto addosso, quel ricordo, quei lamenti. Puzzo e mi faccio schifo. E’ successo in un lampo. Ho sentito  il boato.  Rumore, sabbia, dolore e urla. Il sangue e le grida . La terra che si attacca sulla pelle, la gente che piange, mia madre che si dispera, mio fratello che non si muove più. Paura. Adesso succederà anche a me, penso. Adesso la mia pelle salterà in aria come sono saltati in aria tutti quelli che mi stanno intorno. Io non ci sarò più. Prova a guardarmi, prova a guardarmi, prova a guardare . Guarda questi bambini che stanno stesi a terra e sembrano dormire. Guardali bene perché non si rialzeranno più, non cammineranno più, non giocheranno più, non sogneranno più. Dimmelo adesso se io posso ancora essere quella di prima. Io ho il vestito buono sporco di sangue e la terra attaccata dappertutto. Qui la morte non ti permette un attimo di respiro, arriva e basta. Se ne frega se sei giovane o vecchio, se hai dei figli o vorresti stare in braccio al tuo papà. Qui la morte quando vuole allunga la mano . Un boato e ti porta via per sempre.

“Vuoi una caramella?”

Che cosa vuol dire dimentica ?  Quel giorno c’ero. Ero lì, in quella strada con l’abito verde della processione, quello  che si mette ogni tanto e ti senti una bella bambina. Tutti ti fanno i complimenti, sei cresciuta, ti trasformerai in una splendida donna, tesoro, stai diventando grande. Sorrisi, emozione, non importa. Non voglio essere grande. Non voglio niente. Era tutto perfetto quel giorno. Io c’ero. Camminavo tra la gente , ero allegra, poi ho toccato il sangue, il sangue di mio fratello, steso a terra. Abdul che non aveva ancora sei anni. Posso dimenticare ?   No, non dimenticherò. Urlerò per sempre.

“Vuoi una caramella?”

Se lo avessi saputo non ci sarei andata quel giorno.  Tutti quei corpi stesi per terra. C’eri anche tu, ricordi?  Dov’eri, a proposito, come le scattavi le foto? Andavamo al tempio e tu, tu che sei afgano come me, lo sai quanto è difficile essere bambine qui. Qui non ti fanno studiare, ti buttano l’acido addosso se vai a scuola, ti considerano un pericolo. Ci avevi immortalato tu, solo qualche giorno prima, sedute davanti a casa. Sei di noi. Io avevo il mio velo in testa, uno hijab da bambina,  verde, il colore mi piace.  Vuol dire speranza. Anche la mia casa mi piace, piccola, bassa, celeste con i teli attaccati alla porta e mamma che pulisce tutto.  Perché sei tornato?  Siamo amici, ripeti e mi offri le caramelle condite dal tuo strano sorriso. Sei l’uomo invisibile, dici, quello che sta dietro un’immagine, nessuno ti vede, regali solo il tuo occhio. Mi chiedi aiuto, tu a me? Stai scherzando. fotografo?  Suggerisci che se ti offro il mio dolore lo rilanci al mondo. Così qualcuno si accorgerà di noi, dell’Afghanistan, di come muoiono i bambini.

“Vuoi una caramella?”

La prendo la tua caramella e mi metto in posa. Attenta, sorpresa, disperata, incerta, piangente, sconvolta, immensa, piccolissima . Mi metto in posa per te,  amico.  Vicino a mamma,vicino alla terra dove sono sepolti i miei. Alla fine chiedo il conto. Le mie domande. Voglio sapere se esiste un posto dove i bambini possono giocare senza dover andare in guerra. Se esiste un posto dove le bambine possono studiare e diventare grandi senza essere uccise o picchiate. Se esiste un posto dove  si possa prendere un autobus ed andare al mercato senza aver paura di saltare in aria. Se esiste un posto dove vivere  senza uno hijab in testa.  Se essere donne e bambine è sempre una condanna.  Tu mi guardi e sorridi, parli con voce dolce. Io ti ascolto e piango, perché lo so, lo sento che esiste un altro mondo . Un giorno ci andrò.  Scapperò da qui, a piedi e cercherò quella terra .

“Vuoi una caramella?”

Va bene, facciamolo questo patto. Te lo firmo, nero su bianco, firmo tutto perché so scrivere. Mi chiamo Tarana. Ho dodici anni e voglio vivere. Hai garantito che tutti vedranno le mie foto. Te le regalo allora. Mandalo in giro il mio volto, fai camminare il mio dolore, lascia che la gente parli, che faccia un balzo, che urli lo sdegno, che si spaventi . Dimmi solo che servirà, che il mondo si accorgerà di noi, dei bambini che non hanno colpe e muoiono per le guerre degli adulti. Dimmi che ce la farai fotografo. Giuralo.

“Vuoi una caramella?”

Shukran, grazie no. Non le voglio le caramelle. Non voglio le bugie. Voglio un letto e una casa senza buchi, voglio camminare senza aver paura . Voglio tornare a qualche giorno fa. Oppure voglio vivere nel mondo di quelli che guardano la mia foto e dicono “che orrore”.  Ma perché sono nata qui?

* Dedicato a Tarana, la bambina con l’abito verde immortalata da Kabul Massoud Hassani nella foto che ha vinto il Pulitzer 2012

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