Autore: Paolo Giordano
Titolo: Il corpo umano
Casa Editrice: Mondadori
Numero di pagine: 309
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo di copertina: € 19,00
Fin da quando ho avuto questo libro fra le mani, la mia attenzione si è concentrata sul titolo, “Il corpo umano”, e per tutta la lettura ho continuato incessantemente a cercare rimandi della narrazione al titolo stesso. Impossibile da estimatrice di Paolo Giordano e del suo primo dirompente romanzo, non pensare alla forza evocatrice del tutto accattivante de “La solitudine dei numeri primi” e confrontarla con un titolo sicuramente più scarno, essenziale, privo di emotività. In effetti, la corporeità, se non è protagonista, è comunque sempre presente nel libro di Giordano.
Siamo in una base militare italiana, in un avamposto sperduto nel deserto del Gulistan nel sud dell’Afghanistan, immersi nel machismo e nello spirito cameratesco di un plotone di soldati venti-trentenni. E’ un romanzo corale questa volta quello di Giordano nel quale ogni personaggio è nitidamente scolpito e, attraverso il suo corpo, ha qualcosa da dire. C’è Ietri, detto Verginella, il cui corpo non si è ancora congiunto con quello di una donna, c’è Cederna che con naturale virilismo si mostra spaccone ed un po’attaccabrighe, c’è Torsu che, colpito da un’infezione intestinale acuta, arriva al punto di sofferenza tale da personificare il suo intestino ed instaurare con esso un vero e proprio dialogo e poi c’è Zampieri, l’unica donna soldato, tanto determinata quanto fragile, quella “con cui gli uomini si divertono. Nessuno la sceglie sul serio. Si fanno il suo corpo segando via la testa. Lo sa e in apparenza non le fa né caldo né freddo.”
Su tutti stende la sua ala protettrice, proprio come un padre con i suoi figli, il Maresciallo Renè; lui che prima di partire per la missione militare ha venduto il suo corpo in rapporti sessuali mercenari, si trova ad essere inaspettatamente padre di un figlio che potrà anche non nascere, ma sicuramente guida di un gruppo di uomini che in una sperduta base militare afghana da lui dipendono.
Nel romanzo il corpo prende prepotentemente la parola e, persi ogni pudore e ogni reticenza, si mostra in tutta la sua carica animalesca. Il primo caporalmaggiore Angelo Torsu, nel bel mezzo di una missione militare in pieno deserto, all’improvviso estrae il suo casco, lo mette a terra e si mette a defecare davanti a tutti. Nessuna reazione da parte degli altri soldati, il tenente Egitto, assistendo alla scena, si mette a trangugiare un cibo freddo in lattina. I bisogni primari hanno preso il sopravvento, quanto in altri contesti può sembrare aberrante, ora è del tutto naturale.
Vengono meno tutti quei momenti in cui le equazioni della fisica ( non dimentichiamoci che l’autore è laureato in fisica teorica) diventavano poesia e prende piede una biologia pura che diventa sezionamento della mente e del corpo umano.
Il tenente medico Egitto, colui che per sfuggire ai suoi tormenti familiari ha trovato nella Fob Ice la sua bolla di sicurezza, proprio il personaggio che sembra rappresentare la trasfigurazione, o forse l’alter ego, dell’autore stesso, di fronte alla morte violenta dei suoi compagni durante un attacco nemico, sperimenta “che tutta la pena, la sofferenza, la compassione verso altri esseri umani si riducono a pura biochimica- ormoni e neurotrasmettitori inibiti o rilasciati.”, ma poi, il suo corpo parla per lui. Gli viene la febbre alta per giorni, come non gli succedeva da molto tempo, poi, così come era venuta, la febbre se ne va, lasciandolo trasognato e stranamente energico.
Rispetto a “La solitudine dei numeri primi”, in questo romanzo la corporeità subisce un’evoluzione; ora il corpo umano rappresenta un perfetto tramite fra il dentro e il fuori, il segno tangibile di ciò che alberga nell’animo profondo.
Con la sua solita scrittura studiata, precisa, rigorosa, Giordano ci parla proprio di questo e di uno straordinario manipolo di uomini che nella sua basicità scatena una forza primitiva ed elementare che abbiamo ormai disimparato a conoscere.