Finalmente di nuovo disponibile, con l’introduzione di Loredana Lipperini e la nuova traduzione di Giovanni Arduino, da domani 17 novembre troveremo, sugli scaffali di tutte le librerie, il miglior corso di scrittura creativa di tutti i tempi: “On Writing – Autobiografia di un mestiere” di Stephen King.
On writing è l’appassionata, lucida, onesta autobiografia che sembra nascere dal bisogno di Stephen King di narrare se stesso come uomo e come scrittore. Così, il libro si apre e si chiude con la vita dell’autore e contiene nella sua parte centrale una vera e propria cassetta degli attrezzi per aspiranti scrittori, un corso sintetico di creative writing al prezzo più contenuto che si possa immaginare. Un corso prezioso perché scritto sulla base dell’esperienza e non della vacua teoria.
Ecco un estratto dell’opera:
Che cos’è la scrittura
Telepatia, naturalmente. È buffo se ci si sofferma a pensarci. Per anni si è dibattuto sull’esistenza di una simile forza, gente del calibro di J.B. Rhine ha sputato sangue nel tentativo di escogitare un sistema efficace per isolarla, ma in realtà è sempre stata lì alla portata di chiunque, come la lettera rubata del racconto omonimo di Poe. Tutte le arti dipendono dalla telepatia, almeno un pochino, ma credo che la scrittura ne sia l’esempio più puro. Forse sono di parte, ma se anche così fosse, tanto vale rassegnarsi, perché proprio di questo argomento dobbiamo discutere e riflettere.
Mi chiamo Stephen King. Sto lavorando alla prima stesura di queste pagine alla mia scrivania, quella sotto lo spiovente, una mattina nevosa di dicembre del 1997. Ho parecchi pensieri per la testa. Alcune sono preoccupazioni (la vista debole, i regali di Natale ancora da comperare, la moglie giù di corda per un’influenza), altre sono faccende piacevoli (nostro figlio minore ci ha fatto una visita a sorpresa dal college, ho suo- nato Brand New Cadillac di Vince Taylor a un concerto dei Wallflowers), ma adesso tutta questa roba è lassù in cima. Io sono altrove, in cantina, circondato da luci brillanti e immagini nitide. È un posto che mi sono ricavato nel corso degli anni, dal quale spaziare lontano. Lo so, suona strano. È una specie di contraddizione che un luogo del genere sia in cantina, ma per me funziona. Se vi costruirete il vostro rifugio personale, potrete metterlo in cima a un albero, sul tetto del World Trade Center o sull’orlo del Grand Canyon. Sarà il vostro «carrettino rosso», per citare un racconto di Robert McCammon.
La pubblicazione di questo volumetto è fissata per la tarda estate o il primo autunno del 2000. Quindi, eventuali intoppi a parte, vi trovate più in là di me nel corso del tempo… ma probabilmente siete nel vostro posto dal quale spaziare lontano, dove ricevete i messaggi telepatici. Non dovete esserci per forza: i libri possiedono la straordinaria caratteristica di essere una magia portatile. Di solito ne ascolto uno in macchina (sempre in versione integrale, perché quelli condensati sono una schifezza) e me ne porto dietro un altro dovunque vada. Non si può mai sapere quando servirà un momento di evasione: una coda chilometrica al casello, quindici minuti nello squallido corridoio di un college nella speranza che il vostro consulente agli studi (bloccato da un segaiolo che minaccia il suicidio per essere stato bocciato a Stronzologia Applicata) esca a firmarvi il modulo di rinuncia a un corso, una lavanderia a gettone in un pomeriggio di pioggia, e il peggio in assoluto, ovvero una sala d’attesa mentre il medico è in ritardo e siete obbligati ad aspettare mezz’ora per farvi strapazzare qualche parte delicata del corpo. In simili circostanze un libro è di importanza vitale. Se dovrò sostare in purgatorio prima di salire o scendere, non avrò problemi finché ci sarà una biblioteca… anche se probabilmente terrà soltanto robaccia new age o di Danielle Steel, ah ah, sai che bella fregatura, Steve.
Così leggo dovunque mi riesca, ma ho un posto preferito, come forse ce l’avete voi, con la luce giusta e ricco di buone vibrazioni. Per me è la poltrona blu dello studio. Per voi forse sarà il divano in veranda o la sedia a dondolo in cucina. Oppure il letto, appoggiati al cuscino, una vera sciccheria, a patto che le pagine siano illuminate bene e non si rischi di versare caffè o cognac sulle lenzuola. (pagine 93-94-95)