Grandi Riflessi: Italo Calvino – Lezioni americane

Italo Calvino (1923-1985) è indubbiamente uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana moderna e forse il nostro autore più conosciuto all’estero. Il suo desiderio di sperimentazione, unito ad un’autentica vocazione fantastica ha fatto sì che nella sua produzione siano rintracciabili diversi filoni che si intersecano tra loro e che non sono mai veramente distinti. Dai racconti quasi neorealistici, di cui “Il sentiero dei nidi di ragno” è l’esito più noto, si passa alla narrazione filosofica e favolosa con la trilogia dei tre antenati (“Il barone rampante”, “Il visconte dimezzato”, “Il cavaliere inesistente”) per poi approdare alla fantascienza e alla fase cosiddetta combinatoria (“Le cosmicomiche”, “Ti con zero”).

La sua attività di scrittore è stata  affiancata da quella altrettanto importante di critico e collaboratore della casa editrice Einaudi e caratterizzata  da una costante riflessione metaletteraria, di cui le “Lezioni americane” sono l’ultimo approdo.

Il 6 giugno 1984 fu infatti invitato a tenere le Charles Eliot Norton Poetry Lectures presso l’Università di Harvard nell’anno accademico 1985-1986. Era la prima volta che l’incarico veniva affidato ad un italiano. Il programma prevedeva sei incontri, ma in realtà riuscì a portarne a compimento soltanto cinque, poiché morì nel settembre del 1985.

Le lezioni, raccolte dalla moglie Esther, furono pubblicate per la prima volta nel 1988 con il titolo di “Lezioni americane” per l’editore Garzanti.

Per Calvino non fu facile individuare il tema da trattare, dato che vi era ampia libertà in questo senso e lui riteneva importante nella scrittura avere una certa dose di costrizione, ma alla fine decise di trattare degli importanti valori della letteratura da conservare nel millennio a lui prossimo.

Egli, percependo  la frequenza con cui ci si interroga  sulla sorte del libro e della letteratura nell’era tecnologica, afferma: «La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi sui mezzi specifici. Vorrei dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio».

Il primo valore analizzato è la leggerezza, che rappresenta la definizione complessiva del lavoro stesso dello scrittore e si associa per lui con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Calvino ha operato una sottrazione di peso sulle figure umane, sui corpi celesti, sulle città, ma soprattutto ha cercato di togliere pesantezza alla struttura del racconto e al linguaggio, spinto da una forte tensione interiore e filosofica: ritiene infatti che solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono alla condanna di una pesantezza insostenibile.

«Nell’universo infinito della letteratura s’aprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime o antichissime, stili e forme che possono cambiare la nostra immagine del mondo…Ma se la letteratura non basta ad assicurarsi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissolta…

Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi…

Poi, l’informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza senza la pesantezza dell’hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso».

Il discorso punta direttamente all’evoluzione del pensiero scientifico e filosofico, sfiorando la religione e la fisica quantistica (soprattutto quando viene citato il de Rerum Natura), ma presto Calvino ci riporta ai testi con riferimento in particolare a Dante e Cavalcanti, sottolineando che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una che tende a fare del linguaggio un elemento senza peso e l’altra che tende a comunicare con il linguaggio lo spessore e la concretezza delle cose.  Viaggia nella sua biblioteca e cita tra gli altri Shakespeare, sognando di trasformarlo in un seguace dell’atomismo lucreziano, Cervantes, Cyrano de Bergérac, Swift, Newton e Leopardi: il tutto per mostrarci come a volte sono attimi leggeri a fare la storia della letteratura. Poche righe per  la lotta contro i mulini a vento e immagini di leggerezza che pervadono gli scritti più celebri come il pallone su cui viaggia il Barone di Munchausen e la luna a cui si rivolge poeta di Recanati, che ben conosceva le teorie di Newton. Calvino finisce riprendendo tutti i fili che ha tirato, ma la prima sua conclusione definita ovvia è quella che più ci affascina: la scrittura è metafora dell’anima pulviscolare del mondo.

La seconda delle lezioni americane di Italo Calvino è dedicata alla rapidità ed è un viaggio nel rapporto tra letteratura e tempo, una ricchezza di cui lo scrittore disporre con agio e distacco.

Nei meccanismi narrativi è celato il desiderio di fermarlo o prolungarlo all’infinito: «Il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo, tramite gli espedienti tecnici dell’iterazione e della digressione”.

La rapidità dello stile non è di per sé un valore in quanto il tempo narrativo può anche essere ritardato, ciclico o immobile, in ogni caso vuol dire mobilità, agilità, disinvoltura.

Calvino parte dai suoi studi sulle folk tales, che lo hanno sempre attratto per l’economia, il ritmo, la logica essenziale con cui sono raccontate, ma cita anche Galileo e Leopardi.

Per Galileo «il discorrere è come il correre»: la rapidità, l’agilità del ragionamento, l’economia degli argomenti, ma anche la fantasia degli esempi sono qualità decisive del pensar bene. Per Leopardi invece la rapidità e la concisione dello stile piace perché «presenta una folla d’idee simultanee (…) che fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri, immagini, sensazioni spirituali che ella non è capace di abbracciarle tutte. (…) Essa desta realmente una quasi idea dell’infinito, sublima l’anima, la fortifica.  La velocità è piacevolissima per sé sola, per la vivacità, l’energia, la forza, la vita di tal sensazione».

Passando a narratori moderni ampio spazio viene dedicato a Borges, maestro di precisione e concretezza, capace di straordinarie aperture all’infinito.

Queste riflessioni sono state scritte nel 1984 ma appaiono oggi più che mai attuali:

«Nei tempi sempre più congestionati che ci attendono il bisogno di letteratura dovrà puntare sulla massima concentrazione della poesia e del pensiero.” E ancora: «in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano e rischiano di appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la lezione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto diverso non ottundendone bensì esaltandone le differenze, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto».

Calvino non poteva immaginare che sarebbe arrivato il web, ma per prevedere che il futuro dell’ informazione e della scrittura sarebbe stato   ingarbugliato  gli è bastato ciò che aveva sotto gli occhi negli anni Ottanta.

Prendiamo ora in considerazione la terza lezione, l’esattezza. Essa per Calvino significa tre cose: un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato, l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili e un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.

Calvino ritiene di doversi giustificare per rimarcare dei principi che dovrebbero essere ovvi, ma a suo parere il linguaggio viene usato sempre di più in modo approssimativo e sbadato. E’ infastidito persino dal sentire parlare se stesso, così preferisce scrivere, perché la letteratura è quella terra promessa dove il linguaggio diventa ciò che dovrebbe essere. Secondo lui è in atto una malattia, una peste che distrugge l’uso della parola… e non solo, anche delle immagini, che diventano sempre più prive della ricchezza di significati che dovrebbe esser loro propria. Ma forse l’inconsistenza a questo punto è proprio nel mondo, nelle nostre storie confuse, senza un inizio e una conclusione. A Calvino però non interessa ricostruire le motivazioni di questo morbo infestante, gli interessano i rimedi, gli anticorpi che la letteratura può sviluppare. E parte subito da quello che appare un controsenso: l’elogio del vago che Leopardi fa nel suo “Zibaldone”. Si va al cuore della sua poetica e alla sua lirica più nota, “L’infinito”, perché paradossalmente (ma non poi tanto) il poeta del vago può essere solo il poeta della precisione, che sa cogliere la sensazione più sottile con occhio, orecchio, mano pronti e sicuri.

Seguendo speculazioni filosofiche e poetiche che vanno da Leopardi a Musil, a Barthes e Paul Valery Calvino si smarrisce nella cosmogonia e si scusa parlando di se stesso, del proprio modo di lavorare  e di quella tensione verso l’infinito che è la scrittura: «alle volte cerco di concentrarmi sulla storia  che vorrei scrivere e m’accorgo che quello che m’interessa è un’altra cosa, ossia, non una cosa precisa ma tutto ciò che resta escluso dalla cosa che dovrei scrivere; il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le possibili varianti ed alternative, tutti gli avvenimenti che il tempo e lo spazio possono contenere. E’ un’ossessione divorante, distruggitrice, che basta a bloccarmi. Per combatterla, cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi ancor più limitati, poi a suddividerli ancora e così via. E allora mi prende una vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato dall’infinitesimo, dall’infinitamente piccolo, come prima mi disperdevo nell’infinitamente vasto».

In questo passaggio, riportato interamente, vi è una straordinaria descrizione del lavoro di uno scrittore, della sua estasi e dei suoi tormenti.

Da ultimo, tra le altre riflessioni contenute in questa lezione la parte finale è dedicata a Leonardo da Vinci. Egli si definiva “omo sanza lettere” e pur facendo fatica con la parola scritta ne aveva un incessante bisogno. Nella sua indagine sulla crescita della terra incappa nelle ossa di un mostro marino antidiluviano, la cui descrizione viene ritenuta da Calvino un memorabile esempio di limpidezza e di mistero.

«O quante volte fusti tu veduto in fra l’onde del gonfiato e grande oceano, a guisa di montagna quelle vincere e sopraffare, e col setoluto e nero dosso solcare le marine acque, e con superbo e grave andamento!»

La quarta lezione americana è dedicata alla visibilità e si apre con il Sommo Poeta nel Purgatorio, alle prese con la definizione dell’immaginazione all’interno della sua Commedia. Dante poeta deve immaginare ciò che Dante personaggio vede o crede di vedere o sogna, o ricorda.

Secondo Calvino si possono distinguere due tipi di processi immaginativi: quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva ed è tipico della lettura e quello contrario.

Tra gli autori che hanno parlato di immaginazione visiva viene citato Ignazio di Loyola, che nei suoi “Esercizi spirituali” guida i fedeli in meditazioni visionarie e da questi esempi giunge poi alla formazione dell’immaginario in un’epoca in cui la letteratura non è più fondata su un’autorità o una tradizione, bensì su novità, originalità, invenzione e riflette sull’idea di immaginazione che emerge dal suo lavoro: strumento di conoscenza o identificazione con l’anima del mondo? E ancora: repertorio del potenziale, dell’ipotetico.

Si chiede qual sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che è ritenuta la civiltà dell’immagine. Nel diluvio di immagini prefabbricate non sappiamo più distinguere un’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto in televisione.  Una riflessione interessante che porta lo scrittore a dire che stiamo correndo il pericolo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi. Sarà dunque possibile la letteratura fantastica nel Duemila? Secondo lui vi sono due vie per la sua sopravvivenza: riciclare le immagini usate in un nuovo contesto che ne cambi il significato, oppure fare il vuoto per partire da zero.

Forse, vedendo oggi quanto sta accadendo nel campo della letteratura e delle comunicazione, si può dire che si sia praticata maggiormente la prima strada e che la seconda sia sempre più difficile da perseguire: il vuoto nell’epoca dei social network sembra non esistere nemmeno più.

La lezione sulla molteplicità, l’ultima che Calvino è riuscito a completare, è praticamente un’apologia del romanzo come grande rete. Calvino parte da una citazione di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda in quanto l’autore romano ha sempre cercato di rappresentare il mondo come un garbuglio, un groviglio senza cercare di attenuarne la complessità.

Il romanzo moderno secondo Calvino è un metodo di conoscenza, e soprattutto una rete di connessione tra i fatti, le persone, le cose del mondo, caratterizzato dall’incapacità a essere concluso.

Ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni e divagazioni diventano infinite e per farlo usa tutto il potenziale semantico delle parole. , con la varietà di forme verbali e sintattiche che presenta accostandoli con effetti il più delle volte comici.

Un altro autore che viene citato è Musil, il quale invece esprimeva la tensione tra esattezza matematica e approssimazione degli eventi umani attraverso una scrittura diversa: scorrevole e ironica e controllata.  La struttura dell’opera cambia continuamente, gli si disfa tra le mani. Ma in fondo neanche Proust vede finito il suo romanzo-enciclopedia: il mondo si dilata fino a diventare inafferrabile.

D’altra parte l’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, ma non in letteratura. La letteratura vive solo di obiettivi smisurati, anche al di là di ogni possibilità di realizzazione.

Impegnativa come sfida quella di cercare di parlarne? Certamente sì, noi comunque ci proviamo…

 

Nota: Per questo lavoro è stata utilizzata l’edizione Oscar Mondadori del 1993calvino - lezioni americane

 

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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