Autore: Dickens Charles
Casa Editrice: Penguin Classics
Genere: Letteratura classica
Pagine: 321
“Hard Times” (“Tempi difficili”), pubblicato nel 1854, non è certo fra i romanzi più letti di Charles Dickens, scrittore assurto quasi a simbolo della letteratura d’Oltre Manica nel periodo Vittoriano, e autore di testi ben più noti, come, per citarne solo alcuni, “Oliver Twist” e “Great Expectations”.
Tuttavia, anche se meno conosciuta, quest’opera – stranamente poco voluminosa per i parametri del prolifico e instancabile autore inglese – contiene descrizioni, personaggi, ambienti e tematiche sociali e morali di indubbia matrice dickensiana.
Per una volta, non è Londra a fare da sfondo alle vicende ma una piccola cittadina, Coketown, immaginaria ma non troppo, in quanto del tutto simile ai tanti centri industriali che contribuivano a far prosperare il regno della pia regina Vittoria e, al contempo, a ispessire l’aria con i pesanti fumi scuri delle fabbriche. Sembra, del resto, che la stessa parola ‘coke’ indichi un tipo di carbone, e che Dickens l’abbia scelta di proposito, a suggerirne la triste natura meramente produttiva, priva di colore, come del resto bene indica anche il nero pesto del fiume che vi scorre e la generale atmosfera deprimente che la caratterizza.
Secondo alcuni, a ispirare Charles Dickens fu la visita a una città industriale nei pressi di Manchester, dove coi suoi occhi vide le condizioni di lavoro, estremamente disagiate, degli operai. Sensibile alle cause dei più deboli e reduce da un’infanzia segnata dai problemi finanziari del padre, incarcerato per debiti, che lo aveva visto costretto ad aiutare la famiglia andando, appena ragazzino, a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe, lo scrittore non poteva certo perdere l’occasione di fare sentire la propria voce, nel fermento sociale ed economico dell’epoca, che vedeva l’Inghilterra diventare sempre più potente ma ampie fasce di popolazione versare ancora in condizioni di grande indigenza.
Ecco, quindi, che a stagliarsi sullo sfondo grigio di Coketown sono, in particolare, due figure: Mr Gradgrind e Mr Bounderby. Facoltosi e rispettabili signori della cittadina, i due uomini, amici fra loro, sono rispettivamente il dirigente di una scuola, con incarichi politici di un certo rilievo, e un ricco banchiere. Entrambi sicuri di se e delle proprie idee, che richiamano quelle della filosofia utilitarista di Jeremy Bentham e James Mill, conducono esistenze monotone ispirate al motto secondo cui, nella vita, contano solo i fatti. I loro corpi, i loro abiti, le loro movenze esprimono – grazie alla geniale ironia e all’insuperabile talento descrittivo di Charles Dickens – tutta la loro sicumera e la loro assenza di autentica vitalità.
Basti pensare alla forma squadrata di Mr Gradgrind, alle sue labbra sottili e serrate, ai pochi e aguzzi capelli sulla sua testa quasi calva, al suo dito (squadrato anch’esso e roteante nell’aria con fare aggressivo) per capire che il sarcasmo di Dickens – il quale ovviamente vuole così indicare la totale mancanza di fantasia, naturalezza e flessibilità mentale di questo personaggio – è in questo romanzo pienamente in azione.
“Facts!”, grida agli allievi intimoriti dietro i banchi delle spoglie aule vittoriane il signor Gradgrind, “Teach children nothing but facts”. Questa è la sua unica, profonda certezza: per educare occorre insegnare i fatti, tutto il resto non serve. Bando, quindi, alle arti e alla poesia, ai sentimenti e alla creatività, inutili e improduttivi orpelli che impigriscono le menti. Bando, insomma, a tutto ciò che non serve a fini meramente pratici. Peccato che già nel nome di questo austero educatore vi sia contenuto già il frutto delle sue teorie pedagogiche: ‘grind’, in inglese, significa macinare e anche opprimere, ed è questo ciò che Gradgrind fa alle personalità dei suoi allievi, nonché dei suoi figli.
Tom, il più piccolo, e Louisa, la maggiore, sono infatti – come la storia lentamente svela – il prodotto della mentalità utilitarista del padre. Educati secondo ferree regole, ispirate al primato del raziocinio sopra ai sentimenti e del materialismo sopra a ogni idealismo, col tempo i due si trasformano, rispettivamente, in un ladruncolo costretto a lasciare la città, dopo che un innocente è stato ingiustamente accusato del furto da lui commesso, e in una donna infelice, sposata a un uomo ricco, ben più anziano di lei (Mr Bounderby, il banchiere amico di Mr Gradgrind), ma invaghita di un altro.
Di fronte al suo fallimento educativo, Mr Gradgrind si trova costretto ad ammettere i propri sbagli e a rivedere la propria visione della vita, supportato dal personaggio positivo per eccellenza di questo romanzo: Sissy Jupe, la sua figlia adottiva.
Finita nella sua scuola, dopo esser rimasta orfana di madre ed essere stata abbandonata dal padre, misteriosamente allontanatosi dal circo in cui lavorava e in cui era affidata agli altri artisti circensi, la ragazzina è il simbolo di un mondo altro, nettamente diverso da quello di Mr Gradgrind. Nomade, vitale, fantasioso, dotato di regole proprie ma non condivise dalla rispettabile società borghese, il circo rappresenta un microcosmo in antitesi con quello della rispettabile società vittoriana.
Pur sottoposta, come Tom e Louisa, ai ferrei insegnamenti del capo famiglia, Sissy preserva intatta la sua generosità e naturalezza.
In questo romanzo, Charles Dickens crea quindi una narrazione vivace, pregna di immagini dotate di dirompente forza descrittiva, toccando argomenti ancora attuali a distanza di secoli, in particolare collegati alle tematiche delle ingiustizie sociali (lo sfruttamento dei lavoratori, il divario economico fra poveri e ricchi) e dell’educazione dei giovani.
Già allora, viene da ricordare, questo grande scrittore inglese – cui certo non mancava una forte dose di pragmatismo, tanto da incarnare, per molti versi, il moderno mito del ‘self-made man’, partito dal basso ma salito in alto, tanto da essere il romanziere prediletto della regina Vittoria – suggeriva che una vera educazione non si realizza con scopi meramente materialistici ma anche come vero e proprio percorso di sviluppo umano e di espressione di creatività personale e talento.