The magical mystery tour is hoping to take you away – Lennon-McCartney
Eight billion blood-sucking insects crowd the earth. among them, fifthy thousand live here. hemorrhaging. da qui il mio sguardo spazia dall’italia su qualche brandello d’europa che, sempre da qui, sembra la valigia di un serial-killer, piena di pezzi di carne scannata. in other words, a flat that was lost in the translation into a desert or a landscape of dunes, dune di lenzuoli per tenerla lontana, la polvere. che alla fine passa ostacoli più spessi di un lenzuolo. uno leva il lenzuolo ed eccola lì la polvere dei mesi. degli anni. dei secoli, che è la più appiccicosa. the dust of paradise to tourists noses, paradisi artificiali. polvere tenace su tutti. in controluce chiunque spande una nuvola di polvere, un’aura. un nimbo. e l’odorato fino ma non troppo sniffa il sepolcro. a firenze pattinano in mille tra i sarcofagi di michelangelo. il badge identitario, di qui, degli italiani, è un’aureola di polvere, every breath they take every move they make, sting dear. prosopopea o cultura. it might be necessary to create a new verbal tense, called the missed future. c’è chi non è còlto dalla percezione di essere uno swiffer di ossari, che nuovi abiti, nuove scarpe, nuove auto, tutto si fa strada tra coltri di polvere, come a ogni giro di ruote fanno i tir con la pioggia o la neve. polvere.
Questa che non è una storia, di storia ce n’è poca, è una vicenda balorda che si può situare nell’ambito del costume. Frederico Outéiro è il pretesto o, per certi versi, un capro espiatorio. Lui che sarebbe stato giornalista se solo avesse avuto migliore fortuna in passato e se al presente la professione di pennaiuolo gli avesse reso abbastanza da non doversi mantenere con un lavoro di marketing, ma non di preciso, diciamo analista di qualcosa a distanza e che, invece, gli ha reso. Anche se lui, per natura, avrebbe risparmiato i respiri e i battiti del cuore oltre che il riscaldamento. E quindi vivere è una cosa che sembra non averlo riguardarlo da vicino.
Din don dan don din don dan chiamavano le campane di Lecco fastidiose non meno non più degli allahlà allahlù da un minareto. Frederico Outèiro fu costretto da quel rumore a svegliarsi e poi dalle trombe dei tir che si fanno ogni giorno strada su e giù, verso e da la Valsassina e la Valtellina. Fortuna vuole che lui abiti all’ultimo piano di un condominio peraltro orrendo. Un Lego di cemento e finestre e terrazzi. Anche Outéiro aveva un terrazzo, vista sul lago oltre i tetti più in basso della sua postazione. All’inizio della vicenda, avrebbe chiuso una sua recensione con la frase, Il tempo risulta un love affair di pippe tra tonache. Una frase inammissibile per qualunque quotidiano e se, a una frase così, qualche direttore accorderebbe uno sghignazzo di intesa, un direttore qualunque ricorrerebbe alla cassazione. Ma Frederico, forse ispirato dal caldaista bergamasco che era arrivato alle sette e mezza al suono delle campane e che in cucina, a tempo di cudìu per esorcismo, gli stava accomodando la caldaia che da qualche giorno per via del pressòstato e del flussometro e del qualcosa d’altro non buttava più acqua calda, Frederico avrebbe ormai deciso di concludere con questa nota intuitiva la recensione al saggio Al centro dell’umano, di don Defendènte Ronfàno. Don Defendènte è non solo del territorio, com’usansi chiamar vari tipi di formaggio, ma anche e soprattutto è saggista di successo e amàlgama, sì come quello dei dentisti, del paesaggio italiano, sia il naturale che il culturale, e occupa una cattedra di teologia esegetica in una Università privata. Ah, dirige una rivista, Civitas ecclesiae. Qui nella cittadina lacuale, l’Outéiro invece ci abitava da emigrato, ossia ai margini.
La provincia qui è donne con i polpacci cattolici, cioè tubolari. Dal ginocchio alla caviglia. They’re wearing brown skirts, flat shoes with gum soles. Thick socks. incastrate in una parentesi di tempo dalla quale persino le dame della caritas sono riuscite a tirarsi fuori. chi conta invece cioè le signore e i signori dei circoli nautici, velici, dei social consommés, dei who’s whos, chi conta, del niente che è ha una scellerata prosopopea. as they say it once in milan, del proprio essere un bel nigutin d’or faa su in de la carta d’argent, hanno fatto la propria fiche identificativa. hanno la puzza sotto il naso nei circoli. benché tirino su col naso fino all’anossìa.
Outéiro scriveva con uno pseudonimo che lo rendeva plausibile alle orecchie di chi lo avrebbe potuto altrimenti chiamare Ùtero o, vade retro, Lutèro. Scribacchiava per la testata locale che appunto ha l’orgoglio nativista di chiamarsi La Provincia. Sotto sotto il giornale, che come tutta la stampa stampata ha problemi importanti di sopravvivenza, sta in piedi, si dice, grazie a uno sponsor che è prudente lasciare nell’ombra degli Innominabili, ma si sa : è un mercante globale di proiettili d’ogni calibro che a ogni girone elettorale fa incollare ai muri della città il suo ritratto formato grande fratello di confratello di loggia, fratello di Talia e apologetico mangiatore di polenta. Il lavoro ideologico al giornale lo fa però il direttore, come ogni direttore dotato del potere di cassazione e celebre sui due rami di quel lago per i suoi elzeviri. Vi eccelle come propagandista del tuttosommato, operazione e teoria per cui cambiando l’ordine degli addendi essi mutano in dividendi e divisori. L’operazione permette all’operatore di rilassarsi all’un tempo sui due piatti di ogni bilancia o stadera. Per La provincia commentare l’ultimo tomo del professore don Ronfàno è un imperativo fuori da ogni categoria. Un cammeo.
Outéiro che amava Verdi, inteso Giuseppe e, forse per la sua patente asessualità in calzamaglia, la Taylor Swift, intesa fenomeno dell’intrattenimento mondiale, era responsabile della pagina culturale, in dove si commentano fatti ed eventi che avvengono altrove, e dove si ingrassano di parole quelli locali ; l’ingaggio come redattore del culturale è come ovvio soggetto a un contratto di collaborazione a fattura. Ma aveva il vantaggio di non obbligare Outéiro a un orario, a scrivere in esclusiva da casa, a non passare in redazione se non convocato. Lo svantaggio : che è un lavoro pagato male, malissimo e con quei ritardi che sono di fatto dilazioni, spesso senza una scadenza nota, e che raccontati a un qualsiasi cittadino di un qualsiasi paese non levantino, parrebbero inesplicabili oltre che inaccettabili. Però con il suo lavoro, piuttosto misterioso che altro, Outéiro arrivava a prendere 45 euro all’ora, al netto delle tasse e dell’inglese obbligatorio, non quello di Shakespeare quello dell’Economist, che lui maneggiava con sicurezza. Del resto Outéiro è nato e ha coltivato quattro sole abilità : leggere e capire ; scrivere e farsi capire. Parlare gli interessava meno di poco. E come interlocutrice preferiva nel caso la sua gatta soriana che sia detto a corollario era uno di quei gatti chiacchierini. Chi conosce i gatti sa di che si tratta.
Con l’ultimo cudìu la caldaia finalmente riprese a buttare acqua calda. Il tempo è un love affair di pippe tra tonache era dov’era, nell’ultima riga della recensione, pronta a essere poi vivisezionata e ricucita dal direttore del giornale. Quello che il direttore del giornale si sarebbe aspettato, Outéiro lo sapeva benissimo, cioè un liebig d’inexcelsis sul centro dell’umano nel pensiero del professore Defendènte Ronfàno. Impeccabile nei suoi bei completi grigi, di sartoria curiale, impeccabile e d’intelligenza addestrata agli sgambetti dialettici. Il cattolicesimo si sa peraltro che è un Minotauro imbrigliato nei secoli in un diagramma razionale architettato come un labirinto di Cnosso, ma a pareti mobili ; e Don Defendènte per questo è ubiquo a concerti, proiezioni di film polacchi, presentazioni di libri. È un intoccabile al rovescio per il suo potere tanto simbolico quanto reale – del resto i simboli sono oggetti – e in ogni occasione, dibattiti a seguire o precedere di cui è irrinunciabile conduttore o ago della bilancia. Il religioso trova sempre il modo di ricondurre i terzi movimenti di seste sinfonie, Geschlecht und Charakter, und also gerani a bellagio alla circonvallazione del mistero – o magical mystery tour – ; e qui dal vero non s’allontanerebbe troppo il Defendènte, non dovesse sempre del mistero spacchettare l’involucro col puntiglio della sua mistica mimetica, rivelando la banalità del contenuto ; ma a includere nella propria orbita seduttiva anche qualcuno dei diciotto pensatori liberi igt del paese – gutta che scava la lapide – egli gioca con gusto alla modestia dell’opinione nei teatrini sociali, li spalanca su inconsueti paesaggi ecumenici, fa il pallido Astolfo, Ohhh, mi scuso se parla qui la ragione della mia fede e del mio cuore, custodendo in canonica la superba purezza dell’ Inquisizione.
È evidente che qui si snocciolano premesse che girano intorno a una storia senza mai arrivarci. Se qualcuno, leggendo, sta osservando questo come difetto narrativo ebbene sappia che tiene ragioni a schiovero. Ora, Outéiro avrebbe voluto metterci ma una particola di autentico nell’articolo, contraddire quindi il tònaco. Dovunque nel mondo ti volti ecco che incontri o che ti scontri con apodìssi, con opinioni che crescono a costituirsi in biologie, tali da essere indomabili con le briglie e le selle della critica, che è la semplice applicazione del detto : ascolta, osserva, prova, misura e distingui prima di parlare ; poi, se proprio sei costretto apri bocca ma falla corta. Outéiro però, che era più uomo marketing di quello che uno di lui avrebbe potuto dedurre, era abituato all’analisi di quadri complessi al punto che di tutto non avrebbe saputo trarre nessuna teoria, o regola o denominatore comune. Del resto si appoggiava alla nozione che Einstein non cavò nessuna equazione totalizzante, che definisse e giustificasse il tutto. Tutto avviene a dispetto di tutto ed è già tanto accorgersene. Il caldaista concluse la lista di guasti e ricambi, pressostato, flussometro e e, e timbrò il libretto d’impianto, Outéiro gli pagò centottanta euro poi, prima di salvarla nel mac, prese a riavvolgere a mente la propria recensione al nastro dei volteggi su pei vetri insaponati del Ronfàno, ma un frèmito della vescica e il trillo delle breaking news dalla posta lo distrassero : quaranta tre fronti di guerra, sudan, congo, taiwan, la polio e la polizia croata che pesta, deruba e violenta i migranti, la ministra degli interni che smentisce e contesta le voci. Outéiro andò al gabinetto e liberò la vescica, si scrollò ben bene il pene, strappò un foglietto dal rotolo della carta igienica e si asciugò un ultima goccia dal prepuzio, se lo riaggiustò nelle mutande e nei pantaloni poi si spostò al lavabo e, quasi senza toccarlo aprì il rubinetto, la caldaia cantò buttando acqua di magico tepore, lui si bagnò le mani, prese la saponetta, la bagnò, chiuse il rubinetto, si insaponò e si strofinò ben bene contando a mente fino a trentatre ; aprì il rubinetto di nuovo e si sciacquò via il sapone. Chiuse il rubinetto. Poi tornò al mac e con juicio prese a cercare, correggere, ossia mascherare ogni minimo indizio sospettabile di polemica dal documento, e infine censurò la frase Il tempo è un love affair di pippe tra tonache, prima di adelantarlo al direttore. Poi salvò, spedì e si addormentò con la testa ciondoloni sulla tastiera.
Letto, riletto, smontato e meditato il testo, per propria consueta disdetta il direttore non trovò niente d’infido. Tuttavia risolse per la ritorsione preventiva, tattica simile all’avvertimento di ordine mafioso ; impugnò il suo telefono. Prima che l’altro rispondesse malignò con sé stesso :
– A buon intenditor.
Poi, al sentire la voce di Outèiro e senza buongiorno o buonasera dell’uno o dell’altro :
– Ascolta Utéro per natale ma anche fine mese se vai in vacanza…
Si noti che Outéiro di natali e capodanni ignorava e i motivi e gli standard :
–… Mi scrivi una meditazione, sulla nascita, quello che vuoi la minestra è la stessa. Ah, e mettici pure morte resurrezione e nobiltà Utéro…
– ( sottovoce) E aborto, magari in chiesa
– … E al solito peace and love…
– (come sopra) Piss ends love
– Esatto pace e ammore…
– (come sopra) Senza fantasia. (a voce alta) Direttore con tutti i chierichetti e le associazioni cui fa da tamburino, che conosci e comandi puoi farla scrivere a loro una troiata così, magari paramount
– Eh no, non capisci, tutti sanno che sei vegano, che non mangi in pratica, che non bevi, insomma che stai tra Robespierre e…
– Santa Teresa
– (gli ruba la finale) E Hitler e quindi sei il più qualificato a non giocare in casa sul tema ecumenismo. Ecumenismo Utéro, ripeti con me…
– (ameno) Troiate, femminile plurale.Pensa invece al successo col tuo sponsor ufficiale se aprissi su una prima pagina completa, totalone grassettone, volete voi guerra o pace, guerra guerra (in un fiato tra sé) le galliche selve più che in Norma.
– Fanculo Utéro con ‘ste, con ‘ste…
– Iperboli
– Iperballe. Minchiate. Trovami invece una parola, meglio due, che aprano il teatro della speranza. Comunicare consolazione e comunione e…
– Risarcimento danni a terzi, scusa ma c’hai il ronrónfano a disposizione. Fagli uno dei tuoi linguinbocca. Dagli la prima pagina, grassetta una parola sola due sillabe senza articolo determinante, fè ( accenta le e finali) dè. Salvo tu non riesca a scrivere quella più adatta ( senza accenti) cu lo.
– Non ti ascolto. Un bel coccodrillo Utéro, l’umanità, fammi un totalone sull’umanità che ha bisogno. Insomma capiscimi. Ti riagganci al saggio e…
Outéiro interruppe la conversazione. Poi, ad imitazione della sua gatta, soriana e sorniona nel rimuginare sonnellini solenni, Frederico Outéiro languì per giorni, senza far niente, tranne riguardare i film della Swift a loop avvoltolato nei quattro maglioni che indossava d’abitudine per difendersi dal gelo di casa, dove risparmiava sul riscaldamento, e a rimuginare o la resa al compito o la sua transustanziazione in vendetta capitale.
Who’s who Frederico Outéiro e perché fa niente per aiutare il lettore nel processo d’identificazione col personaggio, alieno insomma a tensioni interiori di eroina e ostile alle congetture sentimentali. Perché amava l’ombra, le golondrine che non aveva mai visto ma che non sono gondole, perché usava una coppola di tela d’estate e una coppola di lana d’inverno, perché detestava il rumore – partorirai a motore – le voci sguaiate, le raucedini dei maschi ubriachi, i ristoranti napoletani e i suoi profeti a due tempi cui augura ogni volta di inchiodarsi; perché sopra ogni cosa, egli studiava con struggimento gli orari dei treni a trovar coincidenze per Lisbona – Lisboa Oriente e non partire mai – perché era lo spaesato adoratore di Taylon Swift,Taylor oh Taylor dei suoi lombi per parafrasare Lolita, perché ne guardava con furore i film e si cantava i suoi di lei brutti songs… domande lecite. Domande che vorticano in un atlantico di risposte, ma intanto, il nome; là tra le elevate al cielo fu trascritto all’anagrafe Federico Utero, senza la bontà di un accento utile ad evitargli lo si apostrofasse ùtero ; con qualche rossore e qualche imbarazzo talvolta. Il padre Inácio, inteso Inassio, non osò opporsi all’uso di storpiare od omettere, nella grafia dei nomi altrui ; Frederico si era lasciato traslitterare dal suo tesserino sanitario, dalla patente di guida e dalla carta di identità elettronica ecco, solo dalla banca Ing che è olandese si sa, era riuscito a farsi scrivere come dovuto ; antenato di sé stesso per necessità di esilio, Frederico pareva appartenere soltanto al ruolo di portoghese, forzato a sgattaiolare senza biglietto nel mondo e in un paese qui cui non voleva male – pur tuttavia – ma che ricorda ehssì che ricorda uno stivale, e dunque un calcio in culo. Dal limbo dei nonni emersi da un Portogallo sottomesso, dall’ultimo re paladino Manuel di Braganza ai Sidonia, ai duci Salazar e Caetano, in una patria dimenticata prima che vi si potesse bagnare di nuovo e in un mare di garofani rossi, suo padre si trovò nella condizione di poter vivere bordo lago da odontotecnico, sua madre, come maestra di canto part-time nel locale istituto per bimbi dabbene Waldorf ; Frederico coltivò sin dall’infanzia il canto, leggi melodramma, più tardi Taylor Swift, e l’inglese, lingua che maneggiare oggi maneggiava in punta di penna, tanto bene che per un po’ la sua debole temperie creativa l’ha sedotto a scriverci, a inseguire Pessoa; solitaria e volubile però la temperie lo abbandonò presto. E allora marketing e pezzotti ricreativi per fedeli di provincia.
the word is birth. we are born unaware. we are born in the unconscious, more specifically, we are born incognitos. it’s a minor sort of death. so that we could say that each birth is a sort of resuscitation. that’s it ! if it were a heresy, it would be charming. i know who’s the sneak, the rat who whispered the brief to my boboboss, mister ronfano. lapàppa papòla amapòla parola is baseball ?Besbul ?
Le signore, i dottori e gl’ingegneri del circolo nautico locale, detto il circolino tanto dicono si bèi di essere ristretto, si comprano le scarpe da barca non del New Hampshire ma nel New Hampshire, dove i figli d’estate vanno a giocare al besbùl e a fare i (plurale) master(singolare). Outéiro l’aveva sentito l’editore poppare palle sul besbùl da uno spritz dai bei capelli argentei e da sua moglie, di lui del direttore, lulandese ammiraglia al burraco, ovaie da scrittrice per bimbi edificabili – oh, pubblicata dalla pia Piemme – in capo un groviglio alla diossina, sentirla come diceva besbùl affilando col Dior ultra rouge il filo dei labbri. La morte corre sui fili. Frederico Outéiro credeva da tempo di avere per destino di svanire com’un tamburino di latta a pila, tiptòp tiptùp to stùp sicché, in un mattino gelido e accecante nel luogo che più di ogni altro rivela l’umano, il gabinetto, egli vide l’istantanea del titolo per un pezzo di sicura epica natalizia e capodannata, Il baseball e il fantasma di Taylor Swift.
Prima delle chiusure festive, Outéiro si calò a Milano, per giorni, a immergersi nel particolato di archivi deserti, della Bertarelli ma meno che della Braidense; disinfettante in tasca, mai fidato Outéiro dell’umano e delle sue mani – i piedi e i cazzi per fortuna sono di norma inaccessibili – e mille volte lavandosi le proprie, mani, e correndo nel gelo o nella fornace dei treni, secondo il clima imposto da impianti di condizionamento paradossali, e starnutendo su per scale infinite, e al termine di defatiganti giornate a suonarsi la sua Swift e a ordinare la nomenclatura di un eden, balk, báse búnt cátcher dóuble playfóul pítcher, swing, alle prime luci di sabato ventuno dicembre, in cui da un prato vicino un sucaminchia del re ebbe la pensata di strizzargli la pazienza col rumore del suo soffiatore di foglie morte – maledetto soffiati i coglioni che magari – malgrado il frastuono, Outéiro però ebbe pronto un fulminante de profundis sul baseball di cui niente aveva capito ma che nella sua interpretazione era sintesi perfetta dell’immaginario ; e sulla Taylor Swift, l’immaginata e sovrapposta a un tale Babe Ruth – 1927, sessanta fuori campo – egli costituì una sintesi della bellezza in quanto negligenza, lasciar cadere, andar oltre e inoltrarsi. Eccèlla là la resurrezione. Batté comando ed esse – così si fa sul mac – e così salvò e strike.
Nella notte appresso, acqua e vento ed elettricità, crumble crumble toil and trouble, si accordarono per far fuori ogni metafora in culla. Nel bel mezzo del sonno Frederico Outéiro fu visitato da una sequenza di sogni che apparivano e sparivano come i fantasmi nel terzo atto del Macbeth di Verdi, ma poi, nell’ora dei decessi e degli infarti al pronto soccorso, verso le tre del mattino, un solo sogno prese forma e costanza ; un sogno che soltanto la nozione privilegiata di chi narra permette di riferire con esattezza. Un sogno a colori e sonoro. Si aprì infatti con uno scampanare dei soliti. Per un breve istante Outéiro pensò che fossero campane vere, le maledette che volevano svegliarlo come di consueto. Ma dormiva e si sentiva dormire in una condizione di coscienza alterata, o ambigua si potrebbe dire, nel senso che lui non riuscì lì per lì a situarsi, se in un sogno o in un son desto. Poi di colpo il rullo del sogno prese a girare : vedeva se stesso precipitarsi in fuga, dalle campane gli era chiaro, giù per diverse rampe ad angolo retto, una dopo l’altra, di scale erte e deserte, di una metropolitana, forse della linea blu a Milano ; giù in fondo la banchina della fermata, ripiena di una folla e di volti e di corpi illuminati a sprazzi dai lampi di lampade rotanti gialle, come quelle dei mezzi di soccorso in autostrada. Di quella massa di facce una non si distingueva da un’altra, tutte sembravano di latinos e lui, ovvero lui visto dal sognatore che era lui stesso, vedeva che tutte erano coperte da mascherine, FFP2 e tutte di un grigio uniforme. Nel sogno gli venne in mente la parola girona, no non girone proprio Girona o Gerona, la città catalana sul fiume Onyar. Tutta la fiumana là sotto era tutta calzata con eguali flipflop, e indossava la stessa maglietta e gli stessi bragoni bianchi e grigi al polpaccio. Tutti reggevano con una o con l’altra mano secchi e borsoni di plastica a strisce, non si capiva di che colore, dai borsoni spuntavano i manici di attrezzi, da pulizie gli sembrava e stracci spuntavano dai secchi, di zinco in apparenza. Lui li guardava tutti quanti come fossero, cioè nel sogno il sé stesso del sogno aveva la sensazione che fossero tutti come sopravvissuti, non a una catastrofe, non ancora, ma a un giorno dei morti messicano, però come fissato in una foto del National Geographic. Questa l’impressione di lui altro nel sogno, oppure di lui stesso nel sonno. Ma chi può dire con esattezza chi è e chi c’è quando dorme, dal momento che si ha ragione di dire che morire dormire nient’altro etc etc. C’era un rumore d’ambiente sulla banchina, come di quelle centinaia di respirazioni in corso riverberate dall’antro della galleria metropolitana e poi, a intervalli una voce, un altoparlante ripeteva, Prìsoners prìsoners o prisonnières. Poi arrivava in banchina un treno. La folla sussultò ma si chetò subito come se quello non fosse il suo, di treno. Si trattava infatti di un vagone solo, una motrice lunga lunga e d’un blu sgargiante e con in fronte tre fari potentissimi, più che accecanti. Nella finestrella in capo alla motrice, in cui di solito è accesa la scritta della destinazione, sfarfallante di glitter, ma è difficile definirli in un modo o in un altro, era composta in chiaro la scritta Non stop. A quel punto del sogno le porte si aprono, ma nessuno dei latinos si muove, anzi si stringono uno sull’altro e contro i muri della banchina, sembrano spaventati o cosa e anche Outéiro esita, il sognatore o l’altro, però poi sale a bordo del treno ; cioè si sente di dover entrare nel vagone e vede che lo fa. Le porte gli si chiudono alle spalle con uno swing. Il vagone era illuminato si e no e arredato per eccesso, come per una resa campale senza condizioni ; c’era un letto sontuoso e innumerevoli tavolini e poltroncine, un frigorifero, tutto il mobilio coperto di glitter multicolori, solo il pavimento del treno era soltanto di legno sbiancato. Questa è l’impressione ma non è detto che sia esatta. Fuori dalle lenzuola, nel letto c’era un fantoccio di paglia, in pigiama, appoggiato alla testiera. Da sotto le lenzuola per gioco invece scivolava via come fanno i gatti, prima la sua soriana, la gatta di Outéiro, poi a sorpresa una donna che parve, ma sì è lei, è la Taylor Swift, la Swift divina. Ha gli occhi di chi si è appena struccato con il latte Nivea, i capelli raccolti alla rinfusa ed è immersa in una vestaglia di un tessuto che sembra di metallo, tutto un brillìo paco rabanne, uno shining ma morbido e troppo tanto – la Austen avrebbe scritto incantevole benché il paragone più prossimo che si sarebbe potuto fare era con il drappeggio della santa Teresa di Bernini – sotto però, nuda. Outéiro pensa, percepisce che è nuda come la Austen avrebbe fatto fatica a pensarla o come al pensarla avrebbe negato di farlo. Lei, la Taylor, scivola come uno swiffer verso Outéiro e, Sono la principessa leszczyńska – gli sussurra ma nel sogno la voce pare di sogno e, La reginella di un portogallo… e tu… uomo che fai. E Frederico che sa di sognare languori e rimpianti non sa però che dire ; si vedeva balbettare senza capire che cosa. Il treno a sorpresa suonò due volte la sirena di partenza. La vestaglia vola via di dosso alla Swift, lui la vede o non la vede, ma sì è nuda, ha le gambe dritte ben fatte anche senza calzamaglia, il pube non si capisce. Sentì invece il treno come se fosse succhiato via in avanti. Gli sembra di essere al posto del macchinista adesso ma non ne è sicuro, vede però il buco nero del tunnel in cui precipita lui col treno e con la luce dei fari che lo illuminano. Tutto. Una voce diceva, Next stop Lisboa Oriente. Tiptòp tiptùp, no stùp. È l’ultima cosa che si sentì e poi il nulla.
Questa novella non ha strade alternative a un vicolo spoglio. Sulla sparizione della gatta e di Frederico Outéiro il direttore si arrovellò per puro gusto enigmistico, poi appagato tacque. Al suo, di Frederico, licenziamento in effige dal giornale, per assenza ingiustificata, provvide. La cassazione. Tacquero e risero scambiandosi barzellette gli homeworkers della redazione.