A tu per tu con… Renzo Cigoi

Abbiamo intervistato il triestino Renzo Cigoi, scrittore, sceneggiatore, pubblicista, poeta e narratore; ha collaborato e collabora con quotidiani e periodici nazionali ed esteri. E’ anche autore del racconto lungo Basso Continuo (Opposto edizioni).

Come e dove nascono i suoi racconti?

Non lo so… Nelle lezioni tenute ad Harvard dal 1967 alla primavera del ’68, Jorge Luis Borges, nell’introduzione alla prima lezione dal titolo L’enigma della Poesia, tra le altre cose dice: “La verità è che non ho rivelazioni da fare. Ho passato la mia vita a leggere, ad analizzare, a scrivere (o a tentar di scrivere) e a gioirne. Ho scoperto che quest’ultimo punto è la cosa più importante. A forza di leggere e rileggere poesia, sono arrivato a una conclusione definitiva sull’argomento: ogni volta che affronto una pagina bianca, sento di dover riscoprire la letteratura da solo. Il passato non mi è di nessun aiuto. Sicché, come ho già detto, ho solo le mie perplessità da offrirvi. Ho dedicato la vita alla letteratura e posso offrivi solo dubbi”.

Cos’è veramente per lei il Basso Continuo?

Sono arrivato a ottantanni accompagnato per tutta la vita dal cupo rumore delle guerre, che gli uomini non hanno mai smesso di fare in qualche angolo del pianeta: è questo il Basso continuo quale rumore di fondo che incombe sull’esistenza di noi tutti.

Secondo lei è corretta l’affermazione: “Per giungere ad un periodo di pace, è necessario passare per un periodo di guerre!”?

Nella premessa al famoso trattato di strategia militare L’arte della guerra, composto nel IV° secolo a.C. da un anonimo che si è ispirato alla tradizione della scuola di Sunzi, Wu Ming scrive: “Sunzi insegna a evitare la guerra. Il bravo stratega rifugge qualunque scontro non inevitabile e, se proprio deve combattere, non combatte un minuto più dello strettamente necessario”. Il testo di Sunzi dice: Non esiste uno stato che tragga profitto da una lunga guerra.

Quale consiglio potrebbe dare Pietro Debelei, protagonista del racconto Basso Continuo, ad un giovane per vivere meglio nella collettività odierna e potersi costruire un futuro?

Dal 1914, quando Pietro Debelei è dovuto andare a combattere sul fronte dei Carpazi, sono passati cento anni: se dovesse rivivere oggi credo che farebbe moltissima fatica – forse inutilmente – a capire in quale mondo è ritornato e a dare consigli.

Può commentare la frase, tratta da racconto Favola: “Ed era proprio questo trascendente silenzio della vittima che aveva in se qualcosa di terrificante e di misteriosamente primordiale. Ma qualcosa di simile a una specie di muta ribellione doveva pur esserci in quella verde immobilità, se al momento di cadere sembrava che l’aureola luminosa, di cui quegli esseri erano soffusi quando dimoravano nella terra, degradasse in toni sempre più smorti e opachi, per poi sparire quasi del tutto: forse la loro voce era un ultrasuono, o il piccolo schianto di ossa spezzate, se poi quella particolare luce di esseri vivi svaniva nel buco nero dell’atmosfera del pianeta” (pag. 264)?

Favola è un racconto che ho scritto a suo tempo per l’Illustrato di un quotidiano in occasione delle feste natalizie. La mia idea era di scrivere un racconto che contenesse nella narrazione una doppia allegoria: la strage di milioni di abeti (a quel tempo non c’erano ancora i vivai, ma non passa molta differenza) in occasione di una festa come il Natale in contrasto con la predicata  pietas cristiana; che però allo stesso tempo ricordasse anche l’Olocausto ebraico avvenuto in tutti i ghetti dell’est europeo ad opera dei nazifascisti. Ci sono voluti molti anni, e solo in occasione della pubblicazione del mio libro, perché qualcuno si accorgesse di questa doppia lettura. Di questo sono grato a Federica Bignardi

Con questa intervista lei ha la possibilità di dare un messaggio ai suoi lettori. Cosa vuole dire loro?

Che senso ha lanciare messaggi a un mondo che cambia tutto per non cambiare nulla… e che sprofonda sempre più in rigidità cadaverica? Il messaggio lo ha lanciato Dante nel 1200 a tutti noi: “Nati non foste a viver come bruti”, eccetera. Mi pare più che sufficiente. Una cosa posso dire: l’Unione Europea sarà una buona cosa per le future generazioni solo se avrà una comune regia.

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