Nato a Cagliari nel 1952, Paolo Cornaglia Ferraris è sposato ed è padre di tre figli, vive a Genova. Medico specializzato in ematologia e oncologia pediatrica, è stato per vent’anni dirigente dell’ospedale genovese Gaslini. Editorialista del quotidiano «La Repubblica», come scrittore ha firmato tra gli altri il bestseller Camici e pigiami, libro denuncia delle responsabilità dei medici nella malasanità italiana, e più di recente La casta bianca. Ha fondato e presiede l’onlus Camici & Pigiami, impegnata «per una cultura del dialogo tra chi cura e chi è curato e la tutela della buona sanità» (www.camiciepigiami.org) e con questa ha organizzato nel capoluogo ligure un ambulatorio pediatrico e odontoiatrico gratuito per bambini clandestini. Nel contesto del Festivaletteratura di Mantova abbiamo avuto il piacere di assistere all’incontro sull’accanimento pre-morte con Ignazio Marino e Paolo Cornaglia Ferraris e siamo riusciti ad intervistare proprio quest’ultimo.
Il suo libro parla di temi legati alla “gestione della morte” e del desiderio di mantenere una certa dignità fino alla fine. Può spiegare meglio ai nostri lettori che cosa intende?
La moderna medicina riesce a non guarire ma anche a non far morire attraverso una tecnologia fatta di macchine, di sondini, di respiratori automatici, di farmaci sempre più complessi, quindi c’è uno stato di vita-non vita che impegna molto infermieri e medici ma che spaventa alcune persone che invece temono di essere sottoposte ad un accanimento che di fatto ne castiga la dignità, ne prolunga sì l’esistenza ma potrebbe umiliarla ad uno stato quasi vegetativo. Non tutti tollerano e preferiscono essere rispettati nel loro desiderio di finire la propria esistenza in maniera più dignitosa. Parliamo, naturalmente, di casi terminali, di malattie non guaribili. Noi come Stato, come Regione, dobbiamo porci nella posizione di ascoltare e soprattutto rispettare le imposizioni che minacciano l’obbligatorietà di utilizzo di alcune strumentazioni in casi simili a quelli sopra citati, per questo parlo di “accanimento di Stato”. Ciò non deve passare sotto silenzio, i cittadini hanno il diritto di esprimere un parere e di essere rispettati.
Lei offre un quadro di grande impatto nel suo libro. Lei è un medico, a che punto siamo in Italia sotto l’aspetto sanitario per quanto riguarda i temi che lei tratta? Qual è invece la situazione nel mondo?
In questo libro parlo soprattutto del diritto di decidere come si vuole morire, come si vuole essere assistiti, in altri libri invece ho parlato molto del sistema sanitario nazionale, dei suoi pregi ma anche di alcuni dei difetti che lo caratterizzano e che stanno rischiando di farlo ammalare, come per esempio lo spreco. La situazione nel mondo è estremamente eterogenea, ci sono pochi servizi sanitari eccellenti come quello italiano, forse 4 o 5, ci sono sistemi solo per ricchi, come quello statunitense (si veda la situazione di Obama che non riesce a far passare la sua riforma), poi ci sono situazioni come quelle africane in cui i bambini muoiono ancora di morbillo, di lebbra o di tubercolosi. La domanda che da tutto questo sorge e si impone in occidente è “Ce la farà il nostro sistema sanitario a coprire i costi in rapporto alle richieste?”. La risposta secondo me è: “Sì, ce la fa di sicuro ma senza sprecare neanche un euro”.
Esistono paesi nel mondo in cui l’uomo ha la possibilità di decidere della propria morte, come si è arrivati ad una simile situazione? Quali differenze ci sono con il nostro tessuto sociale?
Il nostro tessuto sociale è fortemente condizionato da alcune posizioni ideologiche che nascono dalla fede cattolica ma che poi si stanno sgretolando con esempi come quello del Cardinale Martini che ha ripercorso la scelta per cui aveva già optato Papa Wojtyla con il Parkinson, cioè avevano capito di essere arrivati alla fine e che sarebbe stato inutile rimanere attaccati a respiratori aritificiali o a sondini. Meglio accettare la volontà del Signore, se ci credi, ed andare nelle sue braccia. Per un cristiano non c’è nulla di più importante che farlo accettando questa volontà superiore. Le reazioni di Martini o di Wojtyla dimostrano che l’accanimento è un male anche per un cattolico.
Come vede il futuro sotto queste tematiche? Dove bisognerebbe intervenire per introdurre dei miglioramenti?
Io credo che si debba sicuramente cominciare dalla scuola. Pensiamoci, noi di morte non parliamo mai, la morte è sempre finta. Eppure spesso ad un bambino capita di vivere il lutto di un nonno per esempio, ma noi cerchiamo di nasconderlo. Certo, non possiamo pensare alla morte come quella dei film o dei cartoni animati, dove è ridicolizzata, dove ci sono personaggi che risorgono misteriosamente o che sopravvivono ad incidenti mortali. La nostra società ha paura della morte, non ne parla e non educa. Eppure non c’è nulla di più reale del fatto che tutti moriremo prima o poi, è una cosa assolutamente certa ed uguale per tutti, dal ricco al povero. Penso quindi che la presa in carico di chi non può guarire è uno dei compiti che la medicina deve assolutamente sviluppare. Il medico non si deve sentire sconfitto perchè non ha guarito il paziente, deve sentirsi medico perchè sa prendersi cura anche di chi non può guarire.
Quale dovrebbe essere il ruolo della “cosa pubblica”, soprattutto in tematiche delicate come queste?
Lo Stato non può condannare un medico perchè non ha fatto di tutto e di più per un paziente che non può guarire. Non può essere accusato di non averlo alimentato opportunamente perchè non ha messo un sondino. Esiste una dimensione privata tra medico-paziente-familiari in cui lo Stato meno entra e meglio è. Certo, ci vogliono regole, bisogna essere severi con chi per interesse preferisce far morire un paziente per questioni di eredità. Nella la relazione di cura esiste un’intimità in cui le regole sono pochissime e sono quelle del rispetto reciproco, non solo il codice penale.
Lei è ottimista?
Io sono molto ottimista sotto questo punto di vista. L’attualità, il film che vincerà a Venezia (Eluana Englaro -ndr), la testimonianza della morte di Martini, libri scritti e notizie che circolano stanno facendo crescere la consapevolezza e soprattutto la capacità delle persone di farsi un’idea propria. Più l’idea è diffusa più si riuscirà a far capire ai nostri delegati in Parlamento che occorre fare qualcosa.
Con questa intervista ha la possibilità di rivolgere un messaggio direttamente ai lettori, cosa vorrebbe dire loro?
Non delegate la conoscenza di queste cose al parroco, al vicino di casa, al professore universitario. Fatevi la vostra idea, leggete, informatevi. Solo le vostre opinioni vi tuteleranno da intrusioni all’interno della vostra vita e della vostra privacy. Ribadisco: fatevi la vostra idea!