Miss Charity, l’ultimo romanzo di Marie-Aude Murail, racconta la vita di una donna che, sovvertendo tutte le regole borghesi dell’Inghilterra vittoriana, fa della libertà un principio di vita. A Mantova incontriamo questa affascinante scrittrice francese e parliamo con lei del suo romanzo, ma anche di letteratura e vita, e di come l’una e l’altra si influenzino a vicenda.
M.me Murail, se dovesse parlare di Charity, la sua protagonista, come la descriverebbe ad un potenziale lettore? Da dove nasce l’idea del romanzo?
Volevo rendere omaggio a tutte le artiste che hanno segnato il cammino, il percorso. In Francia c’era la Contessa di Ségur, in Inghilterra Emily Brontë… Poi mi sono ricordata che una volta, in occasione di un compleanno, un amico mi aveva regalato il libro Le petit monde animal de Béatrix Potter. Mi sono ricordata che mi ero innamorata dei disegni, ma soprattutto dell’illustratrice. Ho riletto il libro e, infine, ho trovato molte cose in comune con la bambina che è stata lei e quella che sono stata io: un po’ chiusa, ritrosa, ma che ha avuto l’opportunità di diventare creativa, artista. Ho sentito che aveva qualche cosa da dire anche ai giovani di oggi perché, sebbene ora vengono offerti loro degli orizzonti chiusi, molti di essi sentono che la creatività può essere un modo di abbattere questi muri.
In Italia questo libro è presentato come un tributo a Jane Austen. Cosa c’è di vero in questa affermazione? C’è un’affinità, è un’autrice che conosce e che è stata per lei fonte di ispirazione?
Suppongo che questa associazione sia nata dall’ambientazione nell’Inghilterra vittoriana, ma, in realtà, le vicende narrate in Jane Austen sono ambientate nella campagna inglese di fine settecento. Inoltre, in Miss Charity ho avuto l’opportunità di parlare della liberazione, dell’emancipazione della donna, un tema che all’epoca di Jane Austen non era possibile trattare: l’unico modo di emanciparsi, di salvarsi era, in effetti, quello di trovare un buon marito.
I suoi libri sono spesso caratterizzati da tematiche forti e talvolta coperte da tabù. Da cosa nasce questa scelta?
Per scrivere ho bisogno di essere molto motivata, considerando inoltre che i miei destinatari principali sono i giovani. Trovo sia giusto parlare loro di queste tematiche che spesso sono ignorate nei romanzi…c’è un fine educativo nella scrittura. Più invecchio più sento la necessità di trasmettere, in primo luogo la cultura perché è il principio di tutto. Nei miei incontri nelle scuole voglio mostrare ai ragazzi quanto la lettura mi renda felice.
Nei suoi libri fa spesso ricorso a toni umoristici: come mai questa scelta?
Quando scrivo parlo di malattia, omosessualità, morte, orfani…argomenti forti. Usare l’ironia, mi aiuta ad alleggerire questi temi e, nel contempo, mi permette di parlarne. Cerco di dire ciò che è vero e siccome è insopportabile…lo dico ridendo.
Ci sono degli autori, attuali o del passato, che considera delle fonti di ispirazione?
Naturalmente! Posso partire da Tintin e arrivare a Sartre. Possono essere psicologi, economisti, saggisti…non solo necessariamente romanzieri. Amo il teatro, la poesia, i fumetti…sono una lettrice onnivora, è vero, ho fame.
Lascia un messaggio per i nostri lettori?
Bisogna incarnare il libro. Il libro va vissuto, non solo letto. Per questo ritengo che esperienze e opportunità come questa del Festivaletteratura, nelle quali la lettura si condivide, siano preziose: permettono di far vivere i libri.