E’ a Cascina Cuccagna, l’antica cascina agricola milanese che evoca le atmosfere di Borgo Propizio, che abbiamo incontrato Loredana Limone. L’occasione la presentazione ai blogger del suo ultimo romanzo “Un terremoto a Borgo Propizio” (Salani) in cui i personaggi che abbiamo già avuto modo di conoscere nei precedenti romanzi della serie sono coinvolti in un terremoto che ha distrutto non solo parte del centro storico del paese, ma minato alcune dinamiche ed equilibri personali faticosamente raggiunti. Davanti ad una limonata e ad una sfogliatina di mele freschissime abbiamo cercato di carpire a Loredana qualche curiosità riguardo le storie che racconta che, seppur senza commissari e senza detective, sembrano destinate a proseguire a lungo.
Qual è Il segreto del successo di Borgo Propizio, una ragione per leggere anche questo nuovo romanzo?
Ho un riscontro molto positivo da parte dei lettori. Mi dicono che leggono i miei romanzi con il sorriso sulle labbra, che si affezionano ai personaggi. Non che si identifichino in un personaggio in particolare, è nel loro stato d’animo che si immedesimano, nelle loro storie che appartengono a tutti, nelle loro frustrazioni. Leggendole si sentono meno soli.
Aveva in mente fin da subito di fare di “Borgo Propizio” un romanzo seriale?
In realtà no. Pensavo che la mia storia Borgo Propizio si sarebbe risolta con il primo romanzo, ma evidentemente i miei personaggi avevano ancora molto da raccontare. Sono loro che mi dettano quello che devo scrivere. Io sono un loro strumento. Sembrerà strano ma io quando scrivo non so come andrà a finire una storia. Non faccio schemi. In questo libro, per esempio, l’assessore Conforti muore misteriosamente ma io a ben oltre la metà del romanzo non sapevo chi sarebbe stato il responsabile del suo assassinio.
I suoi personaggi hanno nomi particolari. Come li sceglie?
Nascono così, dal nulla, sono autonomi, mi capita poi di incontrarli anche nella vita reale. Il nome Antonia invece è un nome vero: è il nome di mia sorella a cui sono molto affezionata. Ho voluto che lo avesse un personaggio che sento molto vicino anche se non c’entra nulla con mia sorella.
Quanto c’è di lei nei personaggi, ce n’è uno che le somiglia di più?
C’è un pezzo di me in tutti i personaggi del libro in realtà. Ci sono due sorelle che sento molto vicine. C’è una donna che scappa da una delusione d’amore e il suo dolore è anche il mio. L’essenza di me credo però sia in Virginia, una madre che ha un figlio ormai adulto e che si rifugia nei ricordi di quando era ancora piccolo. Suo figlio si chiama Francesco proprio come mio figlio.
Le dinamiche del borgo sono molto ben descritte. Ha vissuto anche lei in una realtà così piccola?
Verrebbe da pensare di sì ma in realtà io non ho mai vissuto in un borgo. Forse ho avuto qualche antenato borghigiano, chissà. La vita del borgo la sento molto mia e mi piace immaginare che un giorno forse mi ci trasferirò davvero.
Tiene anche dei corsi di scrittura.
Sì, sono più che altro un’occasione di incontro, io non pretendo di insegnare nulla e chi li frequenta non aspira a diventare uno scrittore famoso. Sono un modo per socializzare scrivendo, parlare di sé è molto difficile.
Come si è avvicinata alla scrittura?
Sono nata in una famiglia molto pratica ed ero sostanzialmente una bambina incompresa. Ho cominciato a scrivere poesie durante un periodo che ho trascorso in collegio. Poi fiabe per bambini quando è nato mio figlio. A Borgo Propizio ci sono arrivata in un momento molto brutto della mia vita e mi ci sono rifugiata. Grazie a Silvia, il mio agente letterario, sono arrivata alla pubblicazione.
Quali sono le sue letture. Ci sono autori a cui si ispira?
Leggere è sempre più difficile oggi. Io sono un’autodidatta e sono cresciuta leggendo. Cerco libri “alti” e non è facile oggi trovare libri di scrittori contemporanei da cui imparare e che arricchiscano chi legge. Per questo spesso ritorno ai classici. Amo molto Guareschi di cui consiglio vivamente la lettura: è sempre attualissimo. Mi piacciono molto i libri umoristici. Ho pianto troppo nella mia vita, voglio leggere libri allegri e Guareschi è il maestro dei maestri.
Crede che la letteratura sia pura evasione?
Ha anche un fine pedagogico, questo è certo, ma io non voglio leggere un libro che mi racconti gli eventi tragici o le storie di violenza che già sento al telegiornale. Preferisco farmi una sana risata. Purtroppo c’è chi confonde il livello letterario con il contenuto e pensa che la letteratura umoristica sia di poco spessore. Strappare una risata, regalare un respiro è la vera sfida.