Enrico Ruggeri, celebre cantautore e presentatore televisivo, è anche uno scrittore. Con il suo ultimo avvincente romanzo, Non si può morire la notte di Natale, affronta il genere del noir: un’indagine psicologica sui rapporti familiari in una famiglia della borghesia milanese. Abbiamo incontrato Ruggeri in occasione dell’evento BookCity e abbiamo avuto l’opportunità di parlare con lui del suo romanzo.
Partiamo dalla scelta del genere, il noir, che presuppone l’indagine del lato oscuro dei personaggi. Ci si immagina che un artista poliedrico come lei abbia spesso a che fare con il proprio lato oscuro.
Io credo di avere sempre trattato il lato oscuro, anche nelle mie canzoni. Per lato oscuro intendo quella parte dell’anima, quei lati della nostra personalità più nascosti nei quali abbiamo bisogno di scavare un po’per conoscerli e capirli. Ritengo pertanto che si possa avere a che fare con il proprio lato oscuro anche senza scrivere un libro noir.
In questo caso, tuttavia, la storia che volevo raccontare aveva una tensione narrativa che poteva sfociare in un delitto, quindi in un noir: è un pretesto narrativo, ma nella trama c’è effettivamente qualcosa di oscuro e di misterioso che va svelato.
Quali sono i suoi riferimenti letterari per il genere noir?
Il mio scrittore preferito è George Simenon, di cui apprezzo l’acume e la capacità di sintesi. Trovo che abbia la straordinaria caratteristica di riuscire a dire in tre righe ciò che altri autori dicono in dieci.
Nel romanzo ci sono tre affermazioni che mi hanno colpito: la prima è la dedica, “Questo libro è dedicato alle poche persone che mi fanno venire voglia di essere migliore”. Chi sono?
Sono le persone a cui voglio bene, che mi stanno vicino e con le quali lavoro. Come dicono i cantanti, sono “quelli che credono in me”. Poi, certamente, anche il lettore può sentirsi autorizzato ad entrare in questa cerchia.
La seconda è un’affermazione del protagonista: “Non ho mai amato fino in fondo, troppo pericoloso” (p.51).
Il protagonista ha paura. Giorgio Sala diversifica le sue scelte affettive e lavorative perché sostanzialmente ritiene che investire tutto in un unico tavolo sia pericoloso: fondamentalmente è un egoista.
La terza: “I fan di un personaggio sono le uniche persone in grado di amarlo davvero, dato che ne conoscono l’aspetto migliore, quello artistico” (p. 72).
Spesso mi è capitato di conoscere delle persone che ammiravo molto artisticamente e di dovermi poi ricrede, pensando che sarebbe stato meglio non averle conosciute dal punto di vista umano. In realtà noi non sappiamo se Caravaggio o Leonardo da Vinci fossero persone piacevoli e simpatiche, ed in fondo questo non ci importa: il destino dell’artista è quello di lasciare al mondo più cose possibili, di lasciarci in dono la sua creatività…e questo è il motivo per cui lo amiamo e lo ricordiamo.
Vuole lasciare un messaggio per i lettori de Gli Amanti dei Libri?
Il grande libro è quello che, leggendolo, ci fa pensare che l’autore ci conosca meglio di quanto ci conosciamo noi stessi, un libro che ci aiuta a mettere a fuoco qualcosa di noi che non avevamo ancora colto. A me è capitato con Dostoevskij, per citare un grande.
Come cantautore, infatti, un complimento bellissimo che mi hanno fatto è stato “Senza saperlo, hai raccontato la mia vita”…questo fa molto piacere!