A proposito di Majorana – Javier Argüello

Titolo: A proposito di Majorana
Autore: Javier Argüello
Data di pubbl.: 2017
Casa Editrice: Voland
Genere: Romanzo
Traduttore: Tiziana Camerani e Francesco Ferrucci
Pagine: 288
Prezzo: € 16,00

Tra il 25 e il 26 marzo 1938 Ettore Majorana, fisico italiano, allievo di Enrico Fermi, sparisce nel nulla. Suicidio? Allontanamento da una famiglia opprimente? O fuga davanti al presentimento di cosa avrebbe significato, in chiave bellica, la fissione nucleare oggetto dei suoi studi? Da allora il geniale scienziato dell’atomo, il siciliano impastato di silenzi, il lettore vorace di Pirandello e di Shakespeare, non si distingue dal caso e dall’indagine che portano il suo nome. Inghiottito da un buco spazio-temporale, l’uomo Majorana ha perso i suoi connotati storici per divenire figura leggendaria.

Due lettere, una indirizzata al direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli e l’altra ai familiari, portano i segni di un enigma irrisolto. “Ti prego di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto… dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo”; “Ho un solo desiderio, che non vi vestiate di nero”. E poi, un traghetto per Palermo, un telegramma inviato dalla città siciliana, un presunto ritorno a Napoli. Il mare, scrive, lo avrebbe “rifiutato”. Si diffondono voci su un suo ricovero in un convento della zona. Col passare delle settimane, dei mesi, l’evento si sfalda e si stempera in una ridda di supposizioni. Scappato in Sudamerica? Rapito da potenze straniere? Niente di certo si saprà della sua sorte. Per la letteratura, è un bene. Sul mistero si innesta un florilegio di libri, tra i quali non si può non ricordare l’inchiesta di Leonardo Sciascia, datata 1974. Javier Argüello, scrittore nato in Cile, cresciuto in Argentina e attualmente residente a Barcellona, è l’ultimo autore in ordine di tempo a cimentarsi con il caso Majorana.

A proposito di Majorana, pubblicato dalla casa editrice Voland e tradotto da Tiziana Camerani e Francesco Ferrucci, è un romanzo denso di colori e atmosfere mediterranee. Ernesto Aguiar, giornalista oramai quarantenne, relegato nel limbo dei necrologi, riceve dal suo caposervizio Ortega l’incarico di recarsi a Napoli per raccattare qualche nota ruffiana sulla scomparsa di Majorana, così da rimpolpare e rendere appetibile al vasto pubblico l’inchiesta condotta dal collega Galìndez al CERN di Ginevra. Si tratta del famoso esperimento sui neutrini, ipoteticamente sparati a una velocità superiore a quella della luce (in realtà, un flop). Galìndez è spocchioso, narcisista e in carriera. Aguiar, invece, ha una fidanzata e prossima sposa, Ana, che forse non ama più, un lavoro frustrante, anche a causa della rivalità con l’odiato collega, e molti dubbi sulla propria vita. «Il primo pensiero che mi venne in mente fu quello di abbandonare la scena. Immagino che sarebbe venuto a chiunque. Al diavolo tutto. Sparire. Non era la prima volta che mi sentivo prendere da un impulso del genere». Aguiar ha un’idea bizzarra: per attraversare il Mediterraneo, da Barcellona a Napoli, ingaggia un ex compagno di scuola, Ross detto il Biondo, un vagabondo dei mari che dà del lei a tutti e che, giorno dopo giorno, rivela la sua natura di conversatore non banale e di uomo in debito con Dio.

La narrazione si articola su due binari paralleli: il presente è Napoli, il (recente) passato è il tempo trascorso sulla solida barca a vela con il Biondo. Un viaggio che fila liscio, finché l’ultima mattina, nei pressi di Sorrento, Aguiar si sveglia e scopre di essere solo. Il Biondo è scomparso. Senza rudimenti di guida nautica, Aguiar è costretto a tuffarsi in acqua per evitare di fracassarsi sulle rocce, proprio nel punto in cui, con ogni probabilità (probabilità, e non certezza!), Majorana si era gettato dal traghetto nel 1938. Una banale coincidenza o una ricorrenza, corrispondente a qualche legge fisica? Aguiar si salva ma, altra stranezza, non affiorano né il corpo del Biondo, né i presunti resti dell’imbarcazione. Verità o sogno? La realtà mostra il suo lato ineffabile, la sua indeterminatezza, la sua consistenza strettamente legata alla presenza un osservatore. Così, Aguiar è sia oggetto di indagine da parte della polizia sia soggetto indagatore di un fatto avvenuto ottant’anni prima.

Il cuore del romanzo è costituito dal rapporto tessuto dal giornalista con la città partenopea e i suoi abitanti: un albergatore, collezionista di presepi, deciso a restare nel suo albergo condannato alla demolizione; un umanissimo commissario attorniato da poliziotti insolenti; una docente di letteratura, pazzoide e saccente, e un tassista siciliano suo amante; un cattedratico della Facoltà di Fisica assertore di un’unica, solitaria ragione, ovvero che, per le scienze fisiche, «il tempo e lo spazio sono tutt’uno». Aguiar, argentino di nascita, diventa il paladino dei camerieri e dei pizzaioli, ancora devoti alle prodezze del dio del calcio per eccellenza, Maradona. Il giornalista conduce le ricerche sul grande fisico muovendosi nei vicoli di Napoli, nel suo ventre ribollente di umanità, di ironia e di dolore. Persone, oggetti, relazioni, tutto sembra fluttuare ai margini di una tragedia vicina e possibile, esemplificata da quel simbolo di morte incombente e di caos primigenio che è il Vesuvio, come se i connotati del reale potessero essere modificati, nella loro radice, da una semplice vibrazione dell’aria o da un sussulto della terra.

Chi è Valeria, la bella ragazza impiegata come barista nel commissariato? Una donna del destino o una conoscenza di passaggio? Perché il commissario Esposito motiva Aguiar a conoscerla, a inseguirla, quasi ne sottolineasse l’irresistibile potere di fascinazione? E chi sono i giovani teppisti che aggrediscono il giornalista nei Quartieri Spagnoli? Delinquenti locali o altro? In definitiva, a chi appartengono le scelte? In una prospettiva filosofica affine alla meccanica quantistica, la vita è un lancio di dadi e il bivio dell’esistenza è un salto. Ogni accadimento è un quid indefinito, un fascio di possibilità, un non-essere in attesa di una Volontà, a noi ignota, che lo piega e lo conduce ad essere. 

«Per tutta la vita Majorana era andato alla ricerca della formula che gli consentisse di accedere alla totalità, quella torre di particelle che in qualche maniera rappresentava l’elemento unico e che, solo agli occhi dei vari osservatori, avrebbe mostrato facce e sembianze diverse… E se avesse trovato la formula per trasformare sé stesso in un campo di probabilità destinato a diventare concreto solo davanti allo sguardo che ogni osservatore avesse deciso di mettere in gioco?»

Javier Argüello, sotto le mentite spoglie di un giallo, comunque anomalo, ha costruito un raffinato pastiche filosofico, sorretto da un’accurata ricerca antropologico-sociale. Allo scrittore di Santiago del Cile, più che il contesto storico (la famiglia di origine, il Fascismo, l’impressione suscitata in lui dalla Germania nazista, temi al centro delle riflessioni di Sciascia), interessa l’Ettore Majorana teoretico, intuitivo, l’esploratore di mondi subatomici in sintonia con le speculazioni di Werner Heisenberg, l’uomo forse desideroso di sperimentare, fino al sacrificio di sé, i paradossi della fisica del Novecento.

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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